Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14571 del 04/07/2011

Cassazione civile sez. II, 04/07/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 04/07/2011), n.14571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.M., rappresentata e difesa, per procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avvocato SALVAGGIO Giovanni, elettivamente

domiciliata in Roma, via Appia Nuova n. 543, presso lo studio

dell’Avvocato Rita Ruscitti;

– ricorrente –

contro

B.C., L.M.C., B.G.;

– intimati –

avverso le sentenze del Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di

Canicattì n. 20 del 2002, depositata il 28 febbraio 2002, e della

Corte d’appello di Palermo n. 1436 del 2008, depositata il 4 novembre

2008.

Udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3 maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, il quale nulla ha osservato rispetto alla

relazione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che A.C., nella qualità di procuratore generale di I.M., assumendo che quest’ultima era proprietaria per giusti titoli di un appezzamento di terreno con fabbricato rurale in Comune di Canicattì e che L.M.C., con atto del 25 settembre 1990, aveva donato il fondo in questione ai figli B. C. e B.G., ha chiesto al Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Canicattì, di accertare, nel contraddittorio con L.M.C., B.C. e B.G., la nullità del predetto atto di donazione, con condanna dei convenuti al rilascio del fondo;

che i convenuti si sono costituiti, chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, che venisse dichiarato che L. M.C. aveva usucapito la proprietà del terreno;

che il Tribunale adito ha rigettato la domanda dell’attore e ha accolto quella riconvenzionale;

che avverso questa sentenza ha proposto gravame S.M., assumendo di essere l’erede universale di I.M.; si è costituita in appello B.C., mentre L.M.C. e B.G. sono rimasti contumaci;

che la Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 4 novembre 2008, ha rigettato il gravame;

che la cassazione di questa sentenza, nonchè della sentenza di primo grado, è chiesta da S.M., sulla base di due motivi;

che gli intimati non hanno svolto attività difensiva;

che, con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 922, 1158 e 2943 cod. civ., nonchè vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla nullità, annullabilità o inefficacia dell’atto impugnato, sostenendo che L.M.C. non poteva donare un bene del quale ella non era proprietaria;

che, con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 2943 cod. civ. nonchè vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla inammissibilità e inutilizzabilità della prova testimoniale;

che, ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., ai sensi di tale norma è stata redatta la prevista relazione, depositata il 10 marzo 2011, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Il ricorso è inammissibile.

E’ inammissibile, innanzitutto, con riferimento alla sentenza n. 20 del 2002, emessa dal Tribunale di Agrigento – sezione distaccata di Canicattì, avendo detta sentenza formato oggetto di appello, deciso con l’impugnata sentenza della Corte d’appello di Palermo.

Per quanto riguarda le censure rivolte avverso la sentenza di appello, entrambi i motivi non rispondono ai requisiti di cui all’art. 366 bis, cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006 e sino al 4 luglio 2009, ai sensi del quale i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 cod. proc. civ., n. 5), dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), e, qualora – come nella specie – il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

In proposito, le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., S.U., n. 20603 del 2007).

In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).

Entrambi i motivi di ricorso non corrispondono ai requisiti ora indicati.

Quanto alle denunciate violazione di legge, l’inammissibilità dei motivi discende dalla mancata formulazione del quesito di diritto.

Quanto ai denunciati vizi motivazionali, del pari difettano sia la chiara indicazione del fatto controverso, sia il momento di sintesi delle ragioni per le quali la sentenza sarebbe affetta dal vizio di motivazione. Le censure, peraltro, non sembrano tenere debitamente conto delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata e si risolvono in una inammissibile richiesta di riesame delle circostanze di fatto, già adeguatamente valutate dalla Corte d’appello, con motivazione congrua. Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”;

che la richiamata proposta di decisione è condivisa dal Collegio;

che, invero, le critiche svolte dal ricorrente nella memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ., comma 3, non appaiono idonee ad indurre a differenti conclusioni;

che questa Corte regolatrice, infatti – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr., L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007);

che, al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass. n. 27680 del 2009);

che nella specie il motivo di ricorso, formulato ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è totalmente privo di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione dei motivi;

che, d’altra parte, non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che, invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass. n. 22578 del 2009; Cass. n. 7119 del 2010);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2011

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