Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14569 del 13/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14569 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 26663-2009 proposto da:
TRENITALIA S.P.A. C.F. 05403151003, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015

contro

1805

MORA

SERGIO

MROSRG61A07E865Y,

NOBILE

GIUSEPPE

NBLGPP61P10B460J, PRATI MERI PRTMRE53H69A182B, NURISSO
MAURO NRSMRA59L24L013W, elettivamente domiciliati in

Data pubblicazione: 13/07/2015

ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato
SERGIO VACIRCA, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ELENA POLI, giusta delega in
atti;
– controricorrenti

di TORINO, depositata il 28/11/2008 r.g.n. 1406/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/04/2015 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI G. per delega
verbale PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 1133/2008 della CORTE D’APPELLO

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

Svolgimento del processo

1.— Con sentenza del 28 novembre 2008 la Corte di Appello di Torino ha
confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda proposta
da Sergio Mora, Giuseppe Nobile, Mauro Nurisso e Meri Prati nei confronti di
Trenitalia Spa volta ad ottenere le maggiorazioni sull’assegno di confine per

servizio, sino all’agosto 2003.
La Corte territoriale, interpretando l’Allegato 12 del CCNL dei ferrovieri 1990 1992, siglato il 18 luglio 1990, ha ritenuto che dal complesso delle previsioni
contrattuali e dal comportamento successivo delle parti, anche in relazione al
contenuto del “Foglio Disposizioni Direzione Compartimentale” n. 145 del 15
ottobre 1990, dovesse concludersi che l’adeguamento della predetta indennità al
costo della vita dello stato estero, dovesse essere automatica, e non lasciata ad
una successiva determinazione tra l’azienda e le parti collettive, come invece
sostenuto dalle Ferrovie.

2.— Per la cassazione di tale sentenza Trenitalia Spa ha proposto ricorso
affidato a tre motivi. Hanno resistito con controricorso gli intimati.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

3.— Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione al principio generale

“in claris non fit

interpretatio” nonché difetto di motivazione, assumendo al riguardo che il
suddetto allegato per il suo tenore letterale attestava che i sindacati e l’azienda si
erano accordati nel senso di riconoscere alle Ferrovie dello Stato il potere di
maggiorare o ridurre l’assegno di confine e di compiere tale operazione in base
alle variazioni al costo della vita sicché non si configurava un diritto dei lavoratori
all’adeguamento automatico di tale assegno.
Con il secondo motivo la società addebita alla impugnata sentenza violazione
o falsa applicazione dell’art. 1363 c.c. con riferimento alla interpretazione
complessiva dell’allegato 12 al contratto collettivo 1990-1992.

R.G. n. 26663/2009
Udienza 23 aprile 2015
Presidente Macioce Relatore Amendola

l’adeguamento alle variazioni del costo della vita nello Stato estero sede di

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Sezione Lavoro

Si contesta che i giudici d’appello, malgrado la lettera dell’accordo, abbiano
tratto la dimostrazione che le parti non intendessero riconoscere all’azienda una
potestà relativa al riconoscimento del beneficio sulla base del primo capoverso
del comma 2 del testo oggetto di interpretazione secondo il quale “…la prima
variazione successiva all’attuale verrà apportata con decorrenza 1.1.91″.
Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1362

Disposizioni Direzione Compartimentale” delle Ferrovie dello Stato n. 145 del 15
ottobre 1990 ed ancora carenza di motivazione.
Si lamenta che la Corte di merito abbia errato nell’applicare i criteri
ermeneutici codicistici con riferimento al contratto collettivo del 1995 e ad una
disposizione interna avente natura esecutiva, assegnando un rilievo decisorio alla
ricostruzione della volontà delle parti dell’allegato citato sulla base di tali
comportamenti successivi alla sua stipula, senza considerare che le
rappresentanze sindacali non avevano mai sollevato contestazioni di sorta sul
mancato adeguamento automatico dell’assegno.

4.—

Pregiudizialmente occorre rilevare la procedibilità del ricorso per

cassazione, atteso che la società, nel presente giudizio, ha assolto agli oneri
formali imposto dall’art. 369, co. 2, n. 4, c.p.c., depositando, contestualmente
all’atto introduttivo, “copia integrale con allegati del CCNL Ferrovie 1990 – 1992”
nonché “Accordo 10.5.1995”, in conformità all’indice in calce al ricorso
medesimo.

5.— Ciò posto, il Collegio giudica il ricorso infondato sulla base delle ragioni
già espresse da questa Corte in analoghi precedenti (tra gli altri v. Cass. 26738
del 2014).

6.— Di recente questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto:
“La denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi
collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., come modificato
dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, è parificata sul piano processuale a
quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità,
l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica
negoziale (artt. 1362 ss. cod. civ.) come criterio interpretativo diretto e non come

\eu

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Udienza 23 aprile 2015
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c.c., comma 2, in relazione all’accordo del 10 maggio 1995 ed al “Foglio

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Sezione Lavoro

canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della
motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di
una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse
contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali
assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni
illogiche od insufficienti” (Cass. n. 6335 del 2014).

applicazione di norme … dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” al
fianco del vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, introdotta
dall’art. 2 del d. Igs. n. 40 del 2006 al n. 3 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., abbia
segnato “il punto di approdo … del movimento di distacco (sul piano processuale)
del contratto collettivo dallo schema del negozio giuridico”, in uno all’introduzione
dell’art. 420 bis c.p.c. ed in simmetria con quanto già previsto dagli artt. 63, co.
5, e 64 d. Igs. n. 165 del 2001.
“Ciò comporta all’evidenza – continua la Corte – la necessità di ascrivere la
doglianza all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione senza
(più) la necessità di indicazione, a pena di inammissibilità della doglianza, del
criterio ermeneutico violato (artt. 1362 ss. c.c.), così come analoga indicazione
non è necessaria per le altre norme di diritto (con riferimento, in particolare,
all’art. 12 disp. prel. c.c.)”.
Pertanto la pronuncia ha ritenuto non più rispondente alla modifica normativa
quell’insegnamento giurisprudenziale secondo cui l’interpretazione dei contratti
collettivi di lavoro integrerebbe un’indagine di fatto riservata al giudice di merito
e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata,
ovvero di violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli
artt. 1362 ss. c.c..
In continuità con il richiamato indirizzo si è successivamente affermato che “la
parificazione, sul piano processuale, dei “contratti o accordi collettivi di lavoro”
alle “norme di diritto” ad opera dell’art. 2 d. Igs. n. 40/2006 comporta che la
cassazione per violazione del c.c.n.l. dà luogo all’enunciazione del principio di
diritto ai sensi dell’art. 384, co. 1, c.p.c. ed alla decisione della causa nel merito,
ai sensi del secondo comma, quando non siano necessari ulteriori accertamenti di
fatto” (Cass. n. 19507 del 2014).

m

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La sentenza ha rilevato come l’aggiunta del vizio di “violazione o falsa

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7.— Il Collegio, avuto riguardo alla controversia in esame, intende dare
seguito all’esposto orientamento.
Da esso consegue che la traslazione, dal fatto al diritto, del vizio di “violazione
o falsa applicazione di norme … dei contratti e accordi collettivi nazionali di
lavoro” non solo influisce sulle modalità attraverso cui può essere proposta la
censura, ma incide sul tipo di sindacato che dovrà essere svolto dal giudice di

Vuole dirsi che se non è indispensabile la mediazione dei canoni ermeneutici
asseritamente violati per ammettere la doglianza, corrispettivamente è sufficiente
che si ponga questione dell’interpretazione di una disciplina collettiva nazionale
per attivare il sindacato di legittimità con una latitudine analoga a quella che si
esercita per gli errori in punto di diritto.
Con l’ulteriore inevitabile conseguenza che si prescinde non solo dalla
proposta interpretativa formulata da parte ricorrente, ma che diviene irrilevante
anche la motivazione offerta dalla sentenza impugnata, come accade in tutti i
casi in cui il giudice di merito abbia erroneamente o insufficientemente motivato
la propria decisione in diritto.
Del resto già Cass. SS.UU. n. 20075 del 2010, scrutinando le modifiche
processuali innanzi richiamate, ha avuto modo di affermare che, con esse, questa
Corte “è stata investita di un sindacato di legittimità esteso a norme contrattuali
collettive nell’evidente intento di uniformare la loro interpretazione ad immagine
della funzione nomofilattica che riguarda segnatamente le norme di diritto”, al
fine di alimentare “un circuito virtuoso per accelerare la formazione della
giurisprudenza sulle norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro e
quindi per promuovere una nomofilachia anticipata e più rapida”, con una
pronuncia idonea “a trascendere il caso di specie nel senso che ha una qualche
incidenza anche in altri giudizi che pongono la medesima questione interpretativa
della normativa collettiva di livello nazionale”.
Dunque il giudice di legittimità chiamato a svolgere questo ruolo “di nuovo
conio” esercita “un sindacato che tendenzialmente è modellato ad immagine del
sindacato sulle norme di legge. Come quest’ultimo – prosegue la pronuncia facoltizza questa Corte a tener conto di qualsiasi norma, primaria o subprimaria
nella gerarchia delle fonti, anche se non indicata dalla parte ricorrente a
parametro delle sue censure di violazione di legge mosse alla sentenza
impugnata, ma pur sempre nel rispetto del contenuto oggettivo del ricorso che è

P

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legittimità.

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fissato dalla parte ricorrente, analogamente il sindacato che abbia come
parametro la contrattazione collettiva di livello nazionale facoltizza questa Corte
all’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali ex art. 1363 c.c. che in
generale prescrive che le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo
delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto”.
A tutto ciò costituisce unico limite, ma invalicabile, affinchè la Corte venga

conoscendo il quadro della normativa collettiva (tendenzialmente) complessivo”,
il rigoroso rispetto degli oneri imposti dall’art. 369, co. 2, n. 4, c.p.c., mediante la
produzione del testo integrale, a pena di improcedibilità, del contratto o accordo
collettivo su cui il ricorso si fonda, così come statuito appunto da Cass. SS.UU. n.
20075/10 cit..
Alla stregua delle considerazioni che precedono, avendo parte ricorrente
censurato con i tre motivi di impugnazione, anche sotto il profilo della violazione
dei criteri di ermeneutica contrattuale, l’interpretazione del contratto collettivo di
livello nazionale proposta dalla Corte di Appello, occorrerà procedere alla
trattazione congiunta di essi per addivenire all’interpretazione di detta disciplina
ad opera di questa Corte, senza esser vincolati dalla ricostruzione offerta dal
giudice di merito e dalla sua motivazione.

8.—

Indispensabile premettere la ricognizione delle disposizioni della

contrattazione collettiva nazionale ritenute rilevanti ai fini del decidere ed
acquisite al giudizio.
L’allegato 12 al CCNL dei ferrovieri 1990 – 1992 contiene un “verbale di
accordo avente per oggetto la rivalutazione dei compensi attribuiti al personale
che presta servizio nelle località di confine” e così stabilisce:
“1. Con decorrenza 10 maggio 1989 l’assegno base di confine, corrisposto al
personale ferroviario che per ragioni di servizio risiede permanentemente in
territorio estero di confine con l’Italia, (Francia, Svizzera ed Austria), in
aggiunta alla retribuzione prevista per l’interno, è rideterminato secondo le
misure mensili in valuta estera locale indicate per ciascuno dei predetti stati
esteri e per ciascuna categoria o gruppi di categoria nelle allegate tabelle A e B,
riportate nell’allegato I che costituisce parte integrante del presente accordo.
Detto assegno base è maggiorato del 100%.

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“posta in condizione di esercitare tale funzione nomofilattica

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2. L’assegno di confine non ha natura retributiva essendo destinato a
sopperire agli oneri derivanti dal servizio all’estero e può essere
maggiorato o ridotto dopo ogni biennio in relazione alle variazioni del costo
della vita della località di confine dello stato estero sede di servizio. Tali
variazioni introdotte in misura uguale per tutti, sono calcolate sull’assegno
base di confine corrispondente, per ciascuno stato estero, alla sesta categoria

rilevato alla fine del biennio precedente.
La prima variazione, successiva all’attuale, verrà apportata con decorrenza
1.1.1991.”
Con successivo Accordo nazionale del 10 maggio 1995, al punto 8, si è poi
previsto:
“Per quanto riguarda l’adeguamento al costo della vita di cui all’allegato 12 de
CCNL 90-92, confermato dall’attuale CCNL, la Società è impegnata a provvedere
con decorrenza 1.1.1995 all’adeguamento dell’assegno in corso rispetto
all’inflazione per il periodo 91-94 nella misura percentuale di 11% per l’Austria,
11% per la Francia, 10% per la Svizzera per la misura media del 6° livello. Per il
periodo pregresso si procederà alla corresponsione di una una tantum pari al
50% degli importi scaturenti”.
E’ incontroverso tra le parti che dal 1° gennaio 1995 l’assegno non è stato più
adeguato venendo erogato negli importi determinati in base all’accordo del 10
maggio 1995.
Con il CCNL del 16 aprile 2003, in vigore dal 1° agosto 2003, la nuova
disciplina dell’assegno di confine ha escluso ogni meccanismo di adeguamento di
esso.

9.— La società non ha corrisposto la rivalutazione dei compensi erogati a
titolo di assegno di confine ai lavoratori che li hanno giudizialmente richiesti per il
periodo sino all’agosto 2003.
Sostiene che il dato letterale di cui al punto 2 dell’Allegato 12, nella parte in
cui prevede che “l’assegno di confine … può essere maggiorato o ridotto dopo
ogni biennio in relazione alle variazioni del costo della vita della località di
confine dello stato estero sede di servizio”, sarebbe chiaro nel palesare
l’intenzione dei contraenti nel senso di subordinare l’effettiva elargizione

\Rg

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quale risulta dalle allegate tabelle A e B aggiornate con il costo della vita

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dell’adeguamento ad un successivo accordo con i sindacati, perché è stata
utilizzata la parola “può” e non la parola “deve”.
L’assunto non può essere condiviso.
In tema di interpretazione del contratto l’art. 1362, co. 1, cod. civ.
testualmente onera di “indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti”
e, anzi, esplicitamente impone all’interprete in tale ricerca di “non limitarsi al

Rispetto all’esigenza primaria di ricostruire la comune volontà delle parti, il
tradizionale principio in claris non fit interpretatio postula che la formulazione
testuale sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa (da
ultimo, Cass. n. 12360 del 2014; secondo Cass. n. 6366 del 2008 deve trattarsi
di un’evidenza tale da non lasciare alcuna perplessità sull’effettiva portata della
clausola); ma la sussistenza di tale chiarezza costituisce peraltro propriamente il
thema demostrandum, e non già premessa argomentativa di fatto (v. Cass. n.
12957 del 2004).
Sotto altro versante è stato anche più volte ribadito che, in materia di
contrattazione collettiva, la comune volontà delle parti contrattuali non sempre è
agevolmente ricostruibile attraverso il mero riferimento al senso letterale delle
parole, atteso che la natura di detta contrattazione, spesso articolata in diversi
livelli (nazionale, provinciale, aziendale, ecc), la vastità e la complessità della
materia trattata in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della
posizione lavorativa, il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni
industriali non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il
carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi,
costituiscono elementi tutti che rendono indispensabile nella materia della
contrattazione collettiva una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che di
detta specificità tenga conto, con conseguente assegnazione di un preminente
rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 cod. civ. (cfr. ex plurimis:
Cass. n. 6264 del 2006 ed in tali termini tra le altre: Cass. n. 14461 del 2006;
Cass. n. 10636 del 2006; Cass. n. 6264 del 2006, cui adde, in epoca più
risalente, Cass. n. 7296 del 1998).
Nella specie l’utilizzo del verbo “può” non rappresenta certo indice inequivoco
della volontà delle parti contraenti di rinviare a successivi accordi la rivalutazione
del compenso in questione, essendo peraltro la “possibilità” di cui si discute
riferibile non alla concessione di una mera facoltà di scelta discrezionale ma alla

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senso letterale delle parole”.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

.

“possibilità”, appunto, che l’assegno risultasse “maggiorato o ridotto” in relazione
alle variazioni effettive del costo della vita.
Piuttosto questa Corte ritiene che, dall’interpretazione complessiva delle
clausole contrattuali citate, emerga che la comune volontà degli stipulanti non
era affatto quella di demandare ad una futura intesa, incerta nell’an e quindi
anche nel quando, la rivalutazione dell’assegno di confine.

l’emolumento in parola è “destinato a sopperire agli oneri derivanti dal
servizio all’estero” e ne prevede l’adeguamento “in relazione alle variazioni del
costo della vita della località di confine dello stato estero sede di servizio”.
Non avrebbe avuto significato predisporre, per chi prestava servizio all’estero,
un meccanismo di agganciamento del potere reale di acquisto della retribuzione
al costo della vita, condizionandolo poi alle trattative per ottenere un
determinante ed affatto scontato consenso datoriale.
In alcun punto dell’accordo, poi, vi è il benché minimo cenno a questa
necessità di una ulteriore intesa per erogare l’adeguamento.
Al contrario, da subito, sono fissate le decorrenze: “la prima variazione,
successiva all’attuale, verrà apportata con decorrenza 1.1.91”; per le successive
è previsto che siano disposte “dopo ogni biennio”.
Da subito è stabilito finanche il meccanismo di quantificazione (punto 2,
seconda parte).
Decorrenze e quantificazione immediata sono incompatibili con una volontà
che volesse subordinare la rivalutazione a successivi accordi, ai quali sarebbe
stato ovvio demandare date e importi.
L’esegesi qui condivisa trova conferma infine, ai sensi dell’art. 1362, co. 2,
c.p.c., nel comportamento successivo delle parti concretizzatosi nell’Accordo del
10 maggio 1995 innanzi riportato.
Con esso si richiama espressamente l’Allegato 12 del CCNL ritenuto
chiaramente produttivo di autonomi effetti e, al fine di regolare il mancato
pagamento dell’adeguamento dell’assegno di confine per il periodo pregresso, si
conviene che “si procederà alla corresponsione di una una tantum pari al 50%
degli importi scaturenti”. Con ciò si avvalora che l’adempimento era dovuto e con
l’accordo delle parti se ne dimezza l’ammontare per il passato, confermandolo per
il futuro.

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Innanzitutto il punto 2 del citato Allegato 12 espressamente enuncia che

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Sezione Lavoro

10.— Conclusivamente, in considerazione delle ragioni che precedono, il
ricorso deve essere respinto, in quanto la Corte territoriale ha accolto le domande
facendo corretta applicazione delle norme dei contratti e accordi collettivi
nazionali di lavoro che disciplinavano la fattispecie.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo/ Cott cit’Srateuge
,

‘M eta 9 VIA_ i

La Corte rigetta il ricorso il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 3.100,00, di cui
euro 100,00 per esb rsi, oltre accessori secsndo legge e spese generali al 15%,
clte et4& Ì4..

Volte 4et e-1191149i elet coutioitico”it

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 23 aprile 2015

Il rel tore est.

Il Pre dente

P.Q.M.

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