Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14566 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 26/05/2021), n.14566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21839/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

R.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 617/14 della Commissione tributaria regionale

della Lombardia, sezione staccata di Brescia, pronunciata in data 13

gennaio 2014, depositata in data 3 febbraio 2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 febbraio

2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi avverso R.G. per la cassazione della sentenza n. 617/14 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, pronunciata in data 13 gennaio 2014, depositata in data 3 febbraio 2014 e non notificata, che, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa della cartella di pagamento per Irpef relativa all’anno di imposta 2003, ha rigettato l’appello dell’ufficio, avverso la sentenza della C.t.p. di Bergamo favorevole al contribuente;

a seguito della notifica del ricorso, il contribuente è rimasto intimato;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 10 febbraio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4);

la ricorrente deduce che i giudici regionali non hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio – come eccepito dall’Ufficio fin dal primo grado in quanto proposto oltre il termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, ai sensi del quale “Il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato”;

nel caso di specie, secondo la ricorrente, emergerebbe con chiarezza dagli atti di causa che la cartella di pagamento impugnata è stata notificata in data 23 agosto 2009 e che il ricorso innanzi alla C.t.p. di Bergamo è stato proposto in data 11 gennaio 2010;

da qui la sicura tardività del ricorso, che avrebbe quindi dovuto essere dichiarato inammissibile;

con il secondo motivo, l’Agenzia delle entrate ricorrente denunzia la violazione. e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo la ricorrente, la sentenza in esame, nell’estendere alla controversia sottoposta al suo esame gli effetti della sentenza della C.t.p. di Perugia n. 140/4/10, emessa all’esito di un giudizio svoltosi esclusivamente tra il concessionario per la riscossione per la provincia di Perugia e il sig. R.G., avrebbe violato i limiti soggettivi del giudicato;

il secondo motivo è infondato e va rigettato, con conseguente inammissibilità del primo;

la fattispecie trae origine dalla cartella esattoriale n. (OMISSIS) notificata il 23/08/2009, con cui l’agente della riscossione per la provincia di Bergamo, Equitalia Esatri S.p.a., chiedeva al contribuente il pagamento di un importo complessivo pari ad Euro 2.037.770,63 a titolo di Irpef, interessi e sanzioni derivanti da iscrizione a ruolo effettuata a seguito di avviso di accertamento n. (OMISSIS), emesso dall’allora competente Ufficio Locale di (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, relativo all’anno d’imposta 2003;

avverso la cartella di pagamento proponeva ricorso il sig. R. dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo in data 11/01/2010, lamentando la nullità della notificazione del presupposto atto di accertamento n. (OMISSIS) e la nullità della notificazione dell’impugnata cartella di pagamento, in ragione dell’asserita inesistenza di una cassetta postale intestata al ricorrente;

a tal proposito il sig. R. rendeva noto di aver proposto denuncia-querela per il reato di falsità ideologica nei confronti dell’agente postale, che aveva proceduto, come descritto negli avvisi di ricevimento, a recapitare le raccomandate all’indirizzo di residenza del ricorrente, depositando avviso di giacenza presso cassetta postale riferibile al ricorrente;

con successiva memoria del 23/05/2011 il contribuente aveva fatto presente che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Spoleto aveva proceduto ad archiviare la citata denuncia-querela di falso per insufficienza di indizi;

tuttavia, deduceva che la giuridica inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento era stata accertata, in contraddittorio con il solo Agente della Riscossione, dalla Commissione Tributaria Provinciale di Perugia con sentenza n. 140/4/10, pronunciata in data 11 giugno 2010 e depositata in data 27 luglio 2010, che aveva accolto un ricorso identico avverso lo stesso avviso di accertamento e la medesima cartella di pagamento;

l’Ufficio, costituitosi, aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto proposto oltre il termine di cui al d.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, l’inammissibilità del ricorso in relazione alla asserita nullità della notificazione della cartella di pagamento per difetto di legittimazione passiva dell’Ente impositore e, nel merito, l’infondatezza del motivo di ricorso inerente la nullità della notificazione del presupposto atto di accertamento, ribadendo che, dagli estremi di notifica allegati al ricorso e non smentiti dall’esito della querela di falso, si ricavava che l’atto era entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario, con l’osservanza di tutte le formalità stabilite dalla legge;

la C.t.p. di Bergamo, con sentenza n. 192/08/2011, accoglieva il ricorso del contribuente ritendo di doversi adeguare alla pronuncia della C.t.p. di Perugia, che aveva dichiarato con sentenza la nullità dell’avviso di accertamento e della cartella di pagamento oggetto del presente contenzioso, in quanto meramente consequenziale all’avviso di accertamento risultato illegittimo per vizio di notifica;

la C.t.r. della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza n. 617/66/2014 oggetto di impugnazione, ha respinto l’appello principale dell’Ufficio, nonchè quello incidentale sulla compensazione delle spese del contribuente, ritenendo che il primo giudice avesse “fondato le motivazioni dell’accoglimento del ricorso introduttivo, sulla base del principio del ne bis in idem, che ricorre tutte le volte che i fatti materiali, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica, siano identici”;

il giudice di appello ha poi richiamato la sentenza n. 26414/2012 della Corte di Cassazione, sezione sesta penale, che “ha affermato che ai fini del giudizio occorre conferire rilievo ai fatti indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica”;

tale principio, secondo la C.t.r., “si applica anche nel processo tributario, come recentemente affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 15441/2010 in cui statuisce che occorre sempre procedere a una verifica dei rapporti che possono intercorrere tra i ricorsi introduttivi tempestivamente proposti in tempi diversi e tra i giudizi da essi rispettivamente scaturiti, tenendo presente che il problema non può essere risolto mediante un mero richiamo all’istituto della litispendenza”;

infine la C.t.r. ha concluso affermando che “la considerazione, poi, che la sentenza di Perugia sia passata in giudicato, avvalora la sua forza di giudicato esterno che inibisce questo Collegio di procedere ad analizzare la legittimità del fatto della notifica avvenuta per posta”;

la decisione dei giudici regionali, dunque, trova il suo fondamento nel richiamo alla sentenza della C.t.p. Perugia n. 140/4/10, con cui era stato definitivamente accolto il ricorso proposto dal contribuente contro il medesimo avviso di accertamento e la medesima cartella di pagamento, i cui effetti di c.d. giudicato esterno sono stati applicati alla presente controversia;

l’Agenzia delle entrate sostiene che il giudicato formatosi sulla cartella di pagamento impugnata non sia ad essa opponibile in quanto il giudizio innanzi alla C.t.p. di Perugia si sarebbe svolto nei confronti del solo agente della riscossione;

la ricorrente richiama l’art. 2909 c.c., secondo cui “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto fra le parti, i loro eredi o aventi causa…”;

secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe violato l’art. 2909 c.c., in quanto non ha tenuto conto che il presupposto dell’efficacia del giudicato esterno è che esso si sia formato tra le stesse parti, non essendo sufficiente che esso riguardi un accertamento riferibile ad una questione comune ad entrambe le cause (v. Cass. n. 23658/2008);

la tesi dell’Amministrazione non è condivisibile, in quanto il giudicato formatosi tra il contribuente e l’agente della riscossione spiega in ogni caso effetti anche nei confronti dell’ente impositore;

invero, ai sensi del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39, “1. Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”;

da tale previsione deriva, sul piano processuale, la sostituzione dell’agente riscossione all’ente impositore e, conseguentemente l’operatività nei confronti dell’Agenzia delle entrate del giudicato formatosi nella lite tributaria fra il contribuente e l’agente della riscossione, indipendentemente dalla denuntiatio litis all’Agenzia, la quale potrà unicamente rilevare nel rapporto interno D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39 (sulla scissione tra titolarità ed esercizio del credito tributario e sulle conseguenze processuali di tale configurazione si erano già pronunciate Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1748 del 06/05/1975, Rv. 375393-01, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3328 del 13/06/1979, Rv. 399726-01);

di conseguenza, le pronunce rese nei giudizi instaurati contro l’agente della riscossione spiegano effetti anche nei confronti dell’ente impositore, indipendentemente dalla sua partecipazione al processo, la quale deve essere sollecitata dall’agente a norma del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, ma non costituisce requisito per l’opponibilità delle statuizioni (vedi, da ultimo, Cass. 31476 del 3 dicembre 2019, in motivazione);

diversamente opinando, per considerare inutiliter data la sentenza resa senza la partecipazione al giudizio dell’ente impositore, occorrerebbe ipotizzare un litisconsorzio necessario tra quest’ultimo e l’agente della riscossione, ma ciò si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità a cui si intende dare continuità (sul punto, vedi Cass., Sez. U., Sentenza n. 16412 del 25/07/2007, secondo cui: “L’azione può essere svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l’ente creditore”);

peraltro, sarebbe illogico concludere che l’ente impositore possa fare proprio l’esito favorevole della lite e considerare inter alios – e inopponibile – quello sfavorevole, sia perchè in quest’ultimo caso il contribuente non trarrebbe alcun concreto beneficio dalla decisione resa (dato che l’ente potrebbe sempre reiterare gli atti anche in caso di riconosciuta insussistenza della pretesa tributaria), sia – e soprattutto – perchè si determinerebbe una situazione in cui l’ente impositore non avrebbe mai un effettivo interesse a partecipare alla lite a seguito di denuntiatio, posto che l’esito favorevole all’agente della riscossione gli gioverebbe mentre quello sfavorevole gli sarebbe inopponibile (vedi Cass. n. 16425/2019, in motivazione);

in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato, in quanto il secondo motivo è infondato e, di conseguenza, il primo, sulla tempestività del ricorso, è inammissibile, perchè implicherebbe una valutazione sulla validità della notifica della cartella, preclusa dalla sussistenza del giudicato;

nulla deve disporsi in ordine alle spese, perchè il contribuente è rimasto intimato;

rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio, n. 115, art. 13 comma 1- quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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