Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14566 del 13/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14566 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 19222-2008 proposto da:
LAMONACA

ALESSANDRO

C.F.

LMNLSN53P21E946H,

domiciliato in ROMA, VIA PANARO 25, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCO VISCO, rappresentato e difeso
dall’avvocato VINCENZO DE MICHELE, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2015
1515

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA c.f. 8084439587, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui

Data pubblicazione: 13/07/2015

uffici domicilia in ROMA ope legis, alla VIA DEI
PORTOGHESI n. 12;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 689/2008 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 15/04/2008 R.G.N. 3073/2005;

udienza del 02/04/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato DE MICHELE VINCENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
inammissibilità in subordine rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva accertato la
dipendenza da causa di servizio dell’infarto acuto del miocardio subito il 13 luglio 2001 da
Alessandro Lamonaca, dipendente dall’ l aprile 1981 del Ministero della Giustizia come

occasione del trasferimento sulla propria auto da casa al posto di lavoro e condannato il
Ministero al pagamento delle somme di € 1.793,04 per equo indennizzo e di € 20.000,00 per
danno biologico, entrambe oltre accessori e spese), con sentenza 15 aprile 2008, rigettava la
domanda del lavoratore, compensando le spese dei due gradi.
In esito a critico e argomentato esame della questione in diritto e sulla base delle risultanze
istruttorie, reputate insufficienti (quanto a: modalità di svolgimento delle mansioni stressante
o superiore all’ordinario carico di lavoro comportato dall’attività di autista, addetto nei tempi
di attesa ad adempimenti meramente esecutivi di cancelleria senza responsabilità eccedenti il
profilo professionale attribuito; incidenza negativa del trasferimento quotidiano con mezzo
proprio per recarsi al lavoro), la Corte territoriale escludeva, anche sulla base di rinnovata
C.t.u. medico-legale, il nesso eziologico tra fatti di servizio ed infarto, pure considerata
l’accertata sussistenza di fattori primari di rischio, quali tabagismo, ipercolesterolemia e
ipertensione arteriosa
Con atto notificato il 11 luglio 2008 Alessandro Lamonaca ricorre per cassazione con tre
motivi, cui resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5 c.p.c., sulla insufficienza probatoria, erroneamente ritenuta, in ordine alle
caratteristiche della propria attività lavorativa ed al nesso causale tra il servizio svolto e la
patologia denunciata, per non corretta applicazione dei principi e delle norme in materia di
valutazione della prova, anche in riferimento a non contestazione specifica del Ministero, con
evidenza del vizio motivazionale in base agli atti processuali: allo scop sufficiente

“un

rapido sguardo” agli atti introduttivi del giudizio di primo grado (come suggerito a pg. 17 del
ricorso) e con formulazione della chiara sintesi finale dei fatti controversi, a norma dell’art.

ausiliario in posizione economica B1 presso la sezione lavoro del Tribunale di Foggia, in

366bis, con integrale trascrizione del ricorso di primo grado, delle dichiarazioni testimoniali,
della memoria difensiva di primo grado del Ministero e parte della propria costituzione in
appello, accompagnata da rilievi critici (pgg. da 17 a 84 del ricorso).
Con il secondo, il ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5 c.p.c., in ordine alla recezione delle conclusioni dell’accertamento medico

trascrizione delle relazioni del proprio c.t.p. del 25 giugno 2004 e del C.t.u. di primo grado e
di appello, con rilievo critico del loro contrasto (pgg. da 87 a 142 del ricorso).
Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116,
416, 421 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per mancato
apprezzamento dell’atteggiamento di non contestazione del Ministero (limitatosi in primo
grado alla improcedibilità della domanda) e non ammissione dei mezzi probatori richiesti in
primo grado.
Per la loro stretta connessione, i motivi possono essere congiuntamente esaminati.
Essi sono tutti inammissibili.
I primi due, aventi ad oggetto vizio di motivazione, scontano innanzi tutto l’evidente
inidoneità del momento di sintesi finale, carente di una chiara indicazione del fatto
controverso, omologo al quesito di diritto, in violazione dell’art. 366bis c.p.c. (Cass. 28
dicembre 2013, n. 28242; Cass. 8 marzo 2013, n. 5858; Cass. s.u. 1 ottobre 2007, n. 20603):
per l’incongrua trascrizione, per giunta in tale sede (che dovrebbe limitarsi alla formulazione
di una sintesi finale riassuntiva, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del
motivo, tale da permettere al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso:
Cass. 7 aprile 2008, n. 8897), del ricorso di primo grado, delle dichiarazioni testimoniali,
della memoria difensiva di primo grado del Ministero e di parte della propria costituzione in
appello (il primo motivo) e delle relazioni del c.t.p. di Lamonaca del 25 giugno 2004, nonchè
del C.t.u. di primo grado e di appello (il secondo).
Essi poi si risolvono nella contestazione della valutazione probatoria della Corte, tendente ad
un riesame del merito indeferibile al giudice di legittimità, cui spetta la sola facoltà di
controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni
del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a

rinnovato, con indicazione dei fatti controversi, a norma dell’art. 366bis, con integrale

revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo
2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066).
Ma pure il terzo, se anche formalmente denunciante la violazione di norme di diritto, in
realtà si declina come vizio di motivazione, quale profilo di censura, in sede di legittimità,
dell’allegata erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa,

giudice di merito (Cass. 4 aprile 2013, n. 8315).
Esso è, infatti, carente dei requisiti propri del vizio in questione, non avendo il ricorrente
proceduto, come pure avrebbe dovuto, ad una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica
diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, né alla sussunzione del fatto accertato
dal giudice di merito nell’ipotesi normativa (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756); neppure
avendo specificato le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata
motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da
prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando
altrimenti consentito alla corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di
verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass.
28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
Bene ha motivato il proprio convincimento la Corte, con procedimento argomentativo
corretto ed esente da vizi logico-giuridici, in virtù di un esatto inquadramento della
questione in diritto (a pgg. 4 e 5 della sentenza), di un’accurata disamina critica della prova
testimoniale assunta e delle sue carenze (a pgg. 5 e 6 della sentenza) e degli accertamenti di
C.t.u.: con particolare riferimento, a quest’ultimo riguardo, ai documentati riferimenti clinici
dei fattori di rischio coronarico accertati ad Alessandro Lamonaca (a pg. 7 della sentenza),
riscontrati dalle richiamate risultanze (di ipercolesterolemia in trattamento con statine) della
cartella clinica dell’Ospedale “Santa Maria Bambina” del 21 novembre 2001 (trascritta a pg.
90 del ricorso).
E nel caso di sentenza, che abbia prestato adesione alle conclusioni del C.t.u., è poi noto che il
difetto di motivazione denunciabile in cassazione debba consistere nell’indicazione delle
carenze e deficienze diagnostiche riscontrabili nella perizia, o nella precisazione delle
affermazioni illogiche o scientificamente errate in essa contenute, o nella individuazione di

siccome esterna all’esatta interpretazione della norma, inerendo alla tipica valutazione del

omissione degli accertamenti strumentali imprescindibili per la formulazione di una corretta
diagnosi: non essendo sufficiente la prospettazione, come invece nella specie, di una semplice
difformità tra le valutazioni del consulente e della parte circa l’entità e l’incidenza del dato
patologico. Al di fuori di tale ambito, infatti, la censura di difetto di motivazione costituisce
un mero dissenso diagnostico, non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una

2007, n. 17779; Cass. 17 aprile 2004 n. 7341; Cass. 28 ottobre 2003 n. 16223).
Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso, pertanto da
dichiarare, con la regolazione delle spese secondo il principio di soccombenza.

P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso e condanna Alessandro Lamonaca alla rifusione, in favore del
Ministero della Giustizia, delle spese del giudizio, che liquida in € 4.000,00 per compenso
professionale, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2015

Il Pr sidente

inammissibile richiesta di revisione nel merito del convincimento del giudice (Cass. 21 agosto

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