Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14566 del 04/07/2011

Cassazione civile sez. II, 04/07/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 04/07/2011), n.14566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

VASSALLI s.a.s. di Anna Maria Occhetti & C, rappresentata e

difesa,

in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.

TINCHERA Andrea e Roberto Minutillo Turtur, elettivamente domiciliata

nello studio di quest’ultimo in Roma, via Maria Adelaide, n. 8;

– ricorrente –

contro

BORINI & PRONO COSTRUZIONI s.p.a., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. GUADAGNINI

Matteo, Edoardo Pontecorvo e Luciano Alberini, elettivamente

domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, viale Carso, n. 77;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

BORINI & PRONO COSTRUZIONI s.p.a., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Matteo

Guadagnini, Edoardo Pontecorvo e Luciano Alberini, elettivamente

domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, viale Carso, n. 77;

– ricorrente in via incidentale –

contro

VASSALLI s.a.s. di Anna Maria Occhetti & C;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino n.

873 in data 15 giugno 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentiti gli Avv. Andrea Trinchera e Luciano Alberini;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “aderisce

alla relazione”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 2 marzo 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“La s.a.s. Vassalli di Anna Maria Occhetti & C. ha convenuto in giudizio la s.p.a. Borini & Prono Costruzioni per sentire dichiarare la risoluzione del contratto di appalto stipulato inter partes, perchè fossero accertati i costi occorrenti per l’eliminazione dei vizi e per l’ultimazione delle opere non eseguite, con conseguente condanna della società appaltatrice al risarcimento dei danni cagionati ad essa attrice.

Si è costituita in giudizio la s.p.a. Borini & Prono Costruzioni, chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti e domandando, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al pagamento, in suo favore, del residuo dovutole, pari a L. 79.773.885, oltre accessori.

L’adito Tribunale di Torino, con sentenza in data 27 febbraio 2004, ha condannato la società committente al pagamento, in favore della società appaltatrice, della somma di Euro 35.370,44, oltre accessori.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 873 resa pubblica mediante deposito in cancelleria in data 15 giugno 2009, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato l’appellante società Vassalli al pagamento, in favore dell’appaltatrice, della minor somma di Euro 22.854,60 oltre interessi, al tasso legale, dal 13 giugno 1990 all’effettivo saldo; ha regolato le spese di entrambi i gradi giudizio, ponendo a carico dell’appellante i 2/3 delle stesse, compensando il restante 1/3.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso la s.a.s. Vassalli, sulla base di tre motivi.

Ha resistito, con controricorso, la s.p.a. Borini & Prono Costruzioni, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a quindici motivi.

La s.a.s. Vassalli ha resistito al ricorso incidentale.

Tutti i motivi – tanto del ricorso principale quanto di quello incidentale – sono inammissibili.

Essi sono inammissibili, là dove prospettano vizi nella motivazione, per mancanza del quesito di sintesi, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile.

Invero, secondo la costante giurisprudenza della Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente o contraddittoria, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897;

Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741).

I motivi con cui vengono denunciati vizi di violazione o falsa applicazione di legge, sono inammissibili perchè non recano il conclusivo quesito di diritto, anch’esso imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

La Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. (introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità) rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640).

Per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto (o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma).

Il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153).

Sussistono le condizioni per la trattazione dei ricorsi in Camera di consiglio”.

Lette le memorie depositate in prossimità dell’udienza da entrambe le parti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che, innanzitutto, contrariamente a quanto prospettato dalla ricorrente in via principale nella memoria illustrativa, non rileva – ai fini di rendere inapplicabile il disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – che la sentenza impugnata con il ricorso per cassazione, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 15 giugno 2009, sia stata corretta, perchè affetta da errore di calcolo, con ordinanza del 2 aprile 2010 (con la quale, tra l’altro, l’importo monetario indicato in dispositivo è stato emendato, dovendosi leggere Euro 6.389,02 dove è scritto Euro 22.854,60);

che, invero, dell’art. 288 cod. proc. civ., u.c. – ai cui sensi le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione – vale a spostare in avanti il termine per l’impugnazione, ma non è suscettibile di incidere sulle regole applicabili per la forma dell’impugnazione, ove per esse l’ordinamento abbia riguardo alla data di pubblicazione della sentenza;

che, d’altra parte, va rilevato come, nel caso di specie, le censure svolte hanno ad oggetto, non la legittimità e l’esattezza della disposta correzione, ma le questioni risolte dalla sentenza d’appello pubblicata il 15 giugno 2009;

che stante lo specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che nella specie il quesito era necessario anche in ordine al primo motivo del ricorso principale, perchè la denunciata omissione di pronuncia non integra un mero errore di fatto, ma la mancata valutazione della fondatezza e proponibilità della domanda – in ciascuna delle sue componenti di capitale, interessi e danno – in relazione all’art. 336 cod. proc. civ., nonchè la mancata determinazione della decorrenza degli interessi e l’omessa compensazione tra dovuto e restituendo;

che il rispetto dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era necessario, altresì, in ordine al secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.), dove occorreva il quesito se l’accoglimento in misura minima della domanda e l’ampia riforma della sentenza di primo grado giustificassero la misura delle spese quale deliberata;

che – contrariamente a quanto prospettato dalla ricorrente in via incidentale, che ritiene non necessario il quesito di sintesi là dove il motivo denunci il vizio di motivazione – questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che, al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. Ili, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che nella specie i motivi del ricorso incidentale, formulati ex art. 360 c.p.c., n. 5, sono totalmente privi di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione delle censure;

che, pertanto, il ricorso principale e quello incidentale devono, entrambi, essere dichiarati inammissibili;

che l’esito del giudizio e la reciproca soccombenza giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara, inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2011

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