Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14565 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/07/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 09/07/2020), n.14565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24553-2015 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO

56, presso lo studio dell’avvocato GRAZIELLA SILVANA ZARCONE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AMMINISTRAZIONI DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE DELLO STATO, AGENZIA

DELLE ENTRATE UFFICIO PROVINCIALE DI ROMA TERRITORIO;

– intimati –

avverso la sentenza 1640/2015 COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il

19/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 1640/29/15, depositata il 19 marzo 2015, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate e, in integrale riforma della decisione di prime cure, ha rigettato l’impugnazione di un avviso di accertamento catastale col quale, in esito alla procedura Docfa, era stato rettificato il classamento di unità immobiliare sita nel comune di Fiano Romano;

1.1 – a fondamento del decisum il giudice del gravame ha considerato che:

– erroneamente il primo giudice non aveva ritenuto valida la costituzione in giudizio dell’Ufficio siccome il relativo atto riconducibile al titolare dell’ufficio, munito dei poteri di rappresentanza dello stesso;

– l’atto impugnato risultava correttamente motivato con riferimento agli elementi identificativi dell’unità immobiliare, qual desunti dagli stessi atti di parte (della procedura Docfa), ed alla causale concernente la variazione di classamento, quest’ultima non necessitando, peraltro, di previo sopralluogo;

– l’attribuzione della 5.a classe, a fronte della 4.a indicata nella proposta di parte, trovava fondamento nella stima comparativa condotta con riferimento al classamento di “altre abitazioni limitrofe a quella in contestazione, con pari caratteristiche”;

2. – F.C. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, comma 1, lett. b), e dell’art. 354 c.p.c., deducendo, in sintesi, che, – una volta ritenuta l’erroneità della pronuncia del giudice di prime cure quanto alla rilevata invalidità della costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate, – il giudice del gravame avrebbe dovuto rimettere la causa davanti allo stesso primo giudice, senza poter pronunciare nel merito della lite contestata;

– col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., della L. n. 212 del 2000, art. 7, e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 61, deducendo, in sintesi, che l’avviso di accertamento impugnato esponeva una motivazione di mero stile affidata a “formule criptiche e stereotipate”, laddove il riclassamento dell’immobile (in difformità dalla proposta di parte) era stato adottato in difetto di sopralluogo;

– il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 111 Cost. ed all’art. 2697 c.c., sul rilievo, in sintesi, che il giudice del gravame aveva valutato la prova offerta dall’ufficio ma non anche quella di esso esponente, avuto riguardo, in particolare, alla prodotta perizia di stima, così violando il principio costituzionale sulla parità delle armi processuali delle parti;

2. – tutti i motivi sono destituiti di fondamento e vanno senz’altro disattesi;

3. – in ordine al primo motivo occorre rilevare, – in relazione alla tassatività delle ipotesi contemplate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, ai fini della rimessione della causa al primo giudice (v., ex plurimis, Cass., 24 luglio 2018, n. 19579; Cass., 30 giugno 2010, n. 15530; Cass., 20 febbraio 2001, n. 2455), – che l’invalidità della costituzione in giudizio dell’amministrazione, – seppur erroneamente rilevata dal primo giudice, – non poteva determinare la (ora) evocata regressione processuale siccome venendo in rilievo la violazione di disposizioni (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2) involgenti la capacità processuale della parte costituita, laddove la fattispecie contemplata dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, comma 1, lett. b), si verifica quando il processo non si sia efficacemente svolto, per non avervi partecipato, o per non essere stati messi in grado di parteciparvi, tutti i legittimi contraddittori (v. Cass., 19 marzo 2008, n. 7342; Cass., 30 agosto 2006, n. 18824);

4. – in relazione al secondo motivo, con riferimento all’atto di classamento adottato in esito alla procedura docfa (D.M. n. 701 del 1994), – procedura, questa, connotata da una “struttura fortemente partecipativa”, – la Corte ha già avuto modo di (ripetutamente) rilevare che l’obbligo di motivazione “deve ritenersi osservato anche mediante la mera indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’ufficio… e della classe conseguentemente attribuita all’immobile, trattandosi di elementi idonei a consentire al contribuente, mediante il raffronto con quelli indicati nella propria dichiarazione, di intendere le ragioni della classificazione, sì da essere in condizione di tutelarsi mediante ricorso alle commissioni tributarie” (v., ex plurimis, Cass., 13 novembre 2019, n. 29373; Cass., 9 luglio 2018, n. 17971; Cass., 3 febbraio 2014, n. 2268; Cass., 21 luglio 2006, n. 16824; Cass., 7 giugno 2006, n. 13319);

– e si è, altresì, rimarcato che gli indicati termini di riscontro dell’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, adottato in esito alla procedura Docfa, debbono ritenersi inadeguati (solo) a fronte di una immutazione della proposta formulata dalla parte (con la dichiarazione di accatastamento), immutazione rilevante, – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, – qualora incentrata sugli “elementi di fatto” di detta proposta, non anche qualora (ad elementi di fatto immutati) la diversa valutazione della rendita catastale (così come nella fattispecie) consegua “da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni” (v., ex plurimis, Cass., 13 novembre 2019, n. 29373; Cass., 22 maggio 2019, n. 13778; Cass., 7 dicembre 2018, n. 31809; Cass., 23 maggio 2018, n. 12777; Cass., 16 giugno 2016, n. 12497; Cass., 24 aprile 2015, n. 8344; Cass., 31 ottobre 2014, n. 23237);

4.2 – nè, nel sopra ricostruito contesto procedimentale (di cui al D.M. n. 701 del 1994), l’amministrazione era tenuta ad eseguire un sopralluogo posto che, come la Corte ha rilevato con riferimento alle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare, che pur postulano la stima diretta dell’immobile (v. il R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 10, ed il D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 30), l’effettuazione di un previo sopralluogo non costituisce nè un diritto del contribuente nè una condizione di legittimità del correlato avviso attributivo di rendita, integrando soltanto uno strumento conoscitivo del quale l’Amministrazione finanziaria può, ove necessario, avvalersi, ferma la possibilità di compiere le relative valutazioni in forza delle risultanze documentali a disposizione (v., ex plurimis, Cass., 27 marzo 2019, n. 8529; Cass., 7 marzo 2019, n. 6633; Cass., 23 maggio 2018, n. 12743; Cass., 16 febbraio 2015, n. 3103);

5. – col terzo motivo, da ultimo, il ricorrente tende, in buona sostanza, a sollecitare il riesame dei dati probatori che il giudice del gravame ha già debitamente valutato, senza farsi carico, peraltro, della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – qual conseguente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile nella fattispecie, posto che la gravata sentenza è stata pubblicata in data 19 marzo 2015), – e, così, indicare il fatto decisivo il cui esame, in tesi, sarebbe stato omesso;

– in disparte che il motivo in trattazione fa riferimento a dati fattuali (stime dell’ufficio e valori cd. OMI) di cui non v’è traccia nella vicenda processuale in esame, come la Corte ha già statuito, “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale ” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza ” della motivazione.”; e si è, in particolare, rilevato che la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che lo stesso omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881);

5.1 – nella fattispecie il giudice del gravame, ha assolto al compito, a lui riservato, di identificare e valutare le prove offerte al giudizio, e di apprezzarne la rilevanza e concludenza rispetto alle allegazioni delle parti, nè, come si è detto, detta attività valutativa viene oggi debitamente censurata in relazione al dato fattuale, in tesi decisivo, che risulterebbe idoneo ad incrinare l’accertamento operato nella gravata sentenza quanto all’attribuzione della 5.a classe, a fronte della 4.a indicata nella proposta di parte, in relazione alla stima comparativa eseguita dall’Ufficio con riferimento al classamento di “altre abitazioni limitrofe a quella in contestazione, con pari caratteristiche”;

6. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti ricorrono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito, rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, , se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 9 luglio 2020

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