Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14563 del 12/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/06/2017, (ud. 01/03/2017, dep.12/06/2017),  n. 14563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13682/2012 proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli avvocati RENATO

SCOGNAMIGLIO e CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la rappresentano e

difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

VALLEBONA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3563/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/05/2011 r.g.n. 7412/2008.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

La Corte d’Appello di Roma con sentenza non definitiva n. 3563/2011, in parziale riforma della pronuncia emessa dal giudice di prima istanza, condannava la società Intesa San Paolo al pagamento in favore del dirigente C.F., al risarcimento del danno patrimoniale connesso al demansionamento ed alla lesione della professionalità, subiti negli anni 1998-2007, e disponeva la prosecuzione del giudizio per lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria in relazione al danno non patrimoniale rivendicato dal lavoratore;

avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.p.a. Intesa San Paolo sostenuto da quattro motivi;

resiste con controricorso C.F.;

entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2112 e 2697 c.c., nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia;

si deduce l’erroneità delle statuizioni della pronuncia impugnata in punto di accertamento dell’intervenuto demansionamento del dirigente, consistito nella prolungata collocazione in condizioni di effettiva inattività, rimarcandosi che questi aveva ricevuto incarichi di particolare rilievo per il suo stretto rapporto fiduciario con il presidente dell’istituto bancario;

si evidenzia quindi che nell’ambito della categoria dirigenziale, incarichi e ruoli particolari non possono entrare a far parte di un bagaglio indisponibile di mansioni ai sensi dell’art. 2103 c.c., che si riferisce a quanto risulta dall’inquadramento contrattuale e non si ritiene applicabile stricto sensu, alla alta dirigenza di una grande impresa bancaria;

si argomenta, infine, in ordine al comportamento del lavoratore che dal 2001 al 2007 non aveva mai sollevato alcuna obiezione o riserva rigdardo al trattamento ricevuto dall’istituto di credito;

2. il motivo presenta evidenti profili di inammissibilità giacchè, per il tramite del vizio di violazione di legge, tende a pervenire ad una rivisitazione degli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito all’esito dello scrutinio del quadro probatorio di riferimento, non consentita nella presente sede di legittimità (vedi ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n. 195);

i giudici dell’impugnazione hanno infatti ritenuto che il ricorrente, dal settembre 1997 capo dipartimento legale dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino e responsabile della segreteria della presidenza con importanti poteri di rappresentanza dell’istituto, a far tempo dal settembre 1998 e sino all’aprile 2002 non aveva ricoperto alcun incarico corrispondente al ruolo rivestito, rimanendo largamente inattivo se non per la sua partecipazione alle riunioni mensili del comitato di sicurezza; per il periodo successivo e fino alla cessazione del rapporto nel luglio 2007, gli incarichi di rappresentante dell’azienda nelle riunioni dei comitati si sorveglianza nelle amministrazioni straordinarie di imprese debitrici e di assistenza giuridica al responsabile, a lui conferiti, erano inferiori alle mansioni in precedenza svolte e alla qualifica rivestita;

3. gli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale, sorretti da adeguata motivazione priva di vizi logici, sono altresì conformi a diritto perchè coerenti con i principi affermati in sede di legittimità alla cui stregua in tema di mansioni del lavoratore, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2103 c.c., sul divieto di demansionamento, non ogni modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore è sufficiente ad integrarlo, dovendo invece farsi riferimento all’incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale raggiunto dal dipendente e sulla sua collocazione nell’ambito aziendale, e, con riguardo al dirigente, altresì alla rilevanza del ruolo; la valutazione della idoneità della condotta del datore di lavoro sotto il profilo del demansionamento a costituire giusta causa di dimissioni del lavoratore ex art. 2119 c.c., si risolve in un accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (principio affermato da Cass. 11/07/2005 n. 14496 e ribadito, più di recente da Cass. 21/8/2014 n. 18121 secondo cui in forza dell’art. 2103 c.c., il prestatore di lavoro che svolga un ruolo dirigenziale deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, cui adde Cass. 19/9/2014 n. 19778);

4. con il secondo mezzo di impugnazione è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2112 e 2697 c.c., nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia;

si critica la sentenza impugnata in ordine alla liquidazione del danno;

si lamenta che la Corte territoriale sia incorsa in errore per avere accertato una diminuzione di reddito a far tempo dal 1998, pari a centomila Euro, omettendo di considerare che nel 1998 la moneta in corso era la Lira. Si deduce, infine, che i modelli CUD posti a base della valutazione del danno non fossero idonei a dimostrare l’asserito pregiudizio patrimoniale, perchè non teneva conto di elementi rilevanti per l’erogazione di compensi ulteriori a carattere occasionale, evidenziabili solo dalle buste paga;

5. il motivo si palesa inammissibile perchè tendente a rilevare un vizio che si traduce in un travisamento di dati desumibili dalla documentazione versata in atti suscettibile di emendamento solo in sede revocatoria (vedi ex aliis, Cass. 14/11/2012 n. 19921 secondo cui l’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, può configurare un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, mentre è sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove si ricolleghi ad una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti);

esso è, inoltre, affetto da evidente difetto di autosufficienza non essendo riportato il tenore della documentazione oggetto di censura;

6. con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 1123, 2697, 2727, 2729 c.c., nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia;

si critica la sentenza impugnata quanto all’accoglimento della domanda risarcitoria concernente il danno alla professionalità, che si assume non supportato da adeguate allegazioni, rimandando a circostanze del tutto generiche che non possono assurgere al ruolo di presunzioni gravi, precise e concordanti;

7. il motivo va disatteso alla stregua dei principi affermati da questa Corte secondo cui il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno, di natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (vedi Cass. 19/9/2014 n. 19778 con cui è stata qualificata in termini di demansionamento, fonte di danno risarcibile, l’assegnazione, ad un dirigente medico, del solo incarico di responsabile del progetto di informatizzazione del pronto soccorso, con esclusione dell’esercizio della professione medica);

8. con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 e 2697 c.c., nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia;

ci si duole che la Corte distrettuale abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno alla salute, limitandosi a rinviare a separata ordinanza l’accertamento del danno mediante CTU medico-legale, senza motivare in ordine alla ricorrenza del danno non patrimoniale nonostante l’istituto nel corso del giudizio, avesse rilevato l’assoluta carenza di qualsiasi certificazione medica per il periodo anteriore al 2006;

si chiede quindi la riforma della impugnata sentenza per omessa pronuncia ed omessa motivazione su una questione controversa in giudizio;

9. il motivo si palesa inammissibile giacchè ogni questione inerente al pregiudizio alla salute lamentato dal C., risulta rinviata dal giudice della impugnazione al prosieguo del giudizio, secondo la discrezionalità riservata ex artt. 277-279 c.p.c.;

10. alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso è rigettato;

non sussistono, infine, i presupposti per l’applicazione dell’art. 89 c.p.c., richiesta dalla parte controricorrente;

per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio si pongono a carico della società nella misura in dispositivo liquidata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali otre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2017

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