Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14560 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/05/2021, (ud. 08/02/2021, dep. 26/05/2021), n.14560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 25911/2014, proposto da:

Agenzia dell’Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente –

contro

M.G. e A.A., rappresentati e difesi, dall’avv.to

Leone Serena, in virtù di procura in calce al controricorso,

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv.to Tropea

Sergio, in Roma, Via Casetta Mattei, n. 239;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 1642/35/14 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositata in data 17/03/2014, non notificata;

udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita d’Angiolella nella

camera di consiglio del 17 novembre 2020.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. Con scrittura del 20 luglio 2004, i coniugi M.G. e A.A. cedevano alla Parablò s.r.l. l’azienda facente parte dell’impresa familiare per il prezzo di Euro 57.000,00. L’Agenzia delle entrate notificava ai coniugi due distinti avvisi di accertamento con i quali recuperava a tassazione la plusvalenza derivante dalla cessione, calcolata in Euro 20.163,00 per la quota spettante al M.G. e ad Euro 19.373,00 per la parte di A.A., oltre interessi e sanzioni.

2. I coniugi impugnavano gli avvisi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che, con le sentenze n. 313/39/12 e n. 314/39/12, accoglieva i ricorsi proposti da M.G. e A.A. sulla considerazione che poichè la plusvalenza va tassata secondo il principio di cassa, nulla era dovuto dai contribuenti perchè nel corso della procedura si era verificato il fallimento della società Parablò s.r.l. che non aveva pagato il prezzo per difetto di attivo.

3. L’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso tali sentenze, deducendo che, secondo la normativa fiscale in materia di plusvalenza, l’imposizione doveva essere effettuata in base al criterio temporale di competenza e non di cassa.

4. La Commissione tributaria regionale (di seguito CTR), riuniti gli appelli per connessione oggettiva, li respingeva confermando la sentenza di primo grado.

5. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR, affidato ad un unico motivo.

6. Resistono con controricorso M.G. e A.A., che presentano memoria ai sensi dell’art. 380-bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione di legge (artt. 67 e 86 T.U.I.R.) nella parte in cui i secondi giudici hanno ritenuto applicabile alla plusvalenza generata dalla cessione di azienda dell’impresa familiare, il principio di cassa anzichè quello inderogabile di competenza.

2. La questione posta richiede una breve premessa sulla natura giuridica della cessione di azienda e, quindi, sulla normativa fiscale applicabile all’incremento patrimoniale che ne deriva.

3. Considerato che la cessione può riguardare un’azienda (o un suo ramo) posseduta da un prenditore individuale ovvero un’azienda posseduta da un’impresa collettiva, e quindi, oltre che di azienda posseduta da società (società di persone, società di capitali, eccetera), anche di azienda posseduta da un’impresa familiare e considerato che, qualora la cessione avvenga dietro corrispettivo monetario realizza un contratto di scambio con funzione di compravendita, dal punto di vista fiscale ciò che rileva è il valore economico dell’operazione.

Da tale punto di vista, in considerazione del bene oggetto dell’azienda (cd. universalità di fatto), la cessione di un’azienda si configura quale “proiezione patrimoniale” dell’impresa, in quanto organizzazione di elementi personali e reali operata per il raggiungimento di un risultato economico dell’impresa (sulla qualificazione del reddito percepito dal titolare dell’impresa familiare – che è pari al reddito conseguito dall’impresa al netto delle quote di competenza dei familiari collaboratori – quale reddito d’impresa, e sulla qualificazione di redditi di lavoro delle quote spettanti ai collaboratori – che non sono contitolari dell’impresa familiare, cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 34222 del 20/12/2019, Rv. 656645-02).

3.1. Il conseguente valore patrimoniale che si realizza con la cessione spiega, dunque, il perchè, ai fini delle imposte sui redditi, essa trova la sua disciplina principale nell’art. 86 T.U.I.R., che si occupa delle plusvalenze patrimoniali. Il secondo periodo del comma 2, infatti, stabilisce che “concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso”. Il successivo art. 86, comma 4, dispone che la plusvalenza può essere rateizzata in quote costanti per un massimo di cinque esercizi. Ciò a condizione che l’azienda ceduta sia stata posseduta per un periodo non inferiore a tre anni. In tal caso, però, la scelta di frazionare la plusvalenza deve risultare dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui la stessa è realizzata e nel caso in cui la cessione riguardi l’unica azienda dell’imprenditore individuale, la facoltà di rateizzare la plusvalenza in cinque esercizi non può essere esercitata.

3.2. In base alla disciplina in parola, la plusvalenza è la risultante della differenza tra il corrispettivo pattuito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato dei beni costituenti l’azienda stessa. Ciò che rileva ai fini del calcolo della plusvalenza è l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dei beni facenti parte l’azienda – e non quello contabile – con la conseguenza che qualora i valori civili e fiscali dei beni aziendali al momento della cessione non fossero tra loro allineati è soltanto la plusvalenza fiscale a costituire la base su cui determinare le imposte dovute.

4. Considerato, dunque, che la cessione di azienda a titolo oneroso costituisce un’operazione che realizza plusvalori collegati al reddito d’impresa, ne deriva che il criterio di competenza, di cui all’art. 109 T.U.I.R., comma 1, è – salvo le ipotesi tassativamente previste dalla legge – inderogabile per il contribuente, il quale non può dichiarare le componenti positive o negative a sua discrezione, ma solo nel periodo indicato dalla legge come di competenza (ex plurimis, cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 775 del 15/01/2019, Rv. 652189-01).

5. Rispetto alla fattispecie in esame, fermo restando l’inderogabilità del principio di competenza, il tema d’indagine si estende alla rilevanza degli eventi successivi all’operazione di cessione, e quindi al se, rispetto ad essi, la plusvalenza debba essere tassata nel periodo di competenza indipendentemente dal fatto che, eventualmente e successivamente, non si realizzi il prezzo della cessione come per l’ipotesi di fallimento della cessionaria, intervenuto nelle more tra la cessione e la dichiarazione dei redditi effettuati dal contribuente, con carenza di attivo fallimentare.

5.1. E’ indubitabile che il fallimento della Parablò s.r.l. realizzi un evento successivo all’operazione di cessione, in quanto è stato dichiarato con sentenza del Tribunale di Velletri del 23 luglio 2008, mentre la cessione di azienda è avvenuta con scrittura privata autenticata del 20 luglio 2004; l’avviso di accertamento ha riguardato l’annualità 2007, anno in cui M.G. e A.A. hanno dichiarato, nelle rispettive dichiarazioni dei redditi relative all’anno 2007, la sola parte dell’importo di cessione effettivamente corrisposto dalla Parablò s.r.l., minore rispetto a quello concordato.

6. Da tanto ne consegue che nella fattispecie in esame non può che trovare applicazione il principio inderogabile di competenza nonostante il prezzo della cessione non sia stato pagato interamente per effetto del fallimento della cessionaria.

7. In un precedente analogo, deciso da questa Sezione con sentenza del 30 novembre 2016 n. 24378, è stata affermata l’inderogabilità del principio di competenza per il calcolo della plusvalenza derivante da un’operazione di cessione, successivamente annullata con sentenza, con conseguente emersione di un componente negativo di reddito e la restituzione di quanto incassato. Si è osservato che a nulla rileva il fatto che, eventualmente e successivamente, la vendita sia stata annullata con conseguente restituzione dell’incasso, in quanto i due momenti, comportano due eventi fiscalmente autonomi: la realizzazione della plusvalenza per mezzo della vendita, da un lato, e la (successiva) emersione di un componente negativo conseguente all’annullamento della stessa vendita, dall’altro, che vanno dichiarati – l’uno come guadagno, l’altro come perdita – nei distinti periodi in cui si verificano.

8. Tali principi sono applicabili alla controversia in esame ove, pur non vertendosi in ipotesi di componente negativo conseguente all’annullamento di una vendita, ma di incasso parziale del prezzo e di dichiarazione per la sola parte dell’importo di cessione effettivamente corrisposto dalla società, poi fallita, operano gli stessi principi di inderogabilità del principio di competenza, con la conseguenza che plusvalenza va calcolata sulla somma dichiarata all’atto di cessione perchè è in quel momento che si realizza la componente fiscale tassabile.

8.1. In tal senso è stato considerato che, persino in caso di rateizzazione del prezzo, la parte di reddito percepita successivamente al periodo d’imposta non può essere esclusa dal calcolo della plusvalenza, nè è possibile detrarre una somma a titolo di interessi per la dilazione (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 25326 del 15/12/2010, Rv. 615369-01).

9. Il ricorso va, dunque, accolto, avendo la CTR fatto mal governo dei principi in materia di plusvalenza derivante da cessione di azienda, per aver ritenuto applicabile l’art. 67 T.U.I.R., che disciplina la differente ipotesi di partecipazioni possedute da persone fisiche, non imprenditori (capita/ gains) e non invece il principio inderogabile di competenza di cui all’art. 86 T.U.I.R., comma 2.

9.1. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla CTR del Lazio, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi sopra esposti.

10. La CTR in sede di rinvio è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR del Lazio, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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