Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14557 del 16/06/2010

Cassazione civile sez. II, 16/06/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 16/06/2010), n.14557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.G., L.R. e BU.Mi., rappresentati

e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.

Gallo Piero Carlo e dall’Avv. Contaldi Mario, elettivamente

domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Pierluigi

da Palestrina, n. 63;

– ricorrenti –

contro

M.P.L., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Terzago Enrico e

Gentile Alfonso, elettivamente domiciliato nello studio di

quest’ultimo in Roma, via dei Pirenei, n. 1;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

M.P.L., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Enrico Terzago e

Alfonso Gentile, elettivamente domiciliato nello studio di

quest’ultimo in Roma, via dei Pirenei, n. 1;

– ricorrente in via incidentale –

contro

B.G., L.R. e BU.Mi.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 581/08

depositata il 24 aprile 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Piero Carlo Gallo;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Ciccolo Pasquale Paolo Maria, che ha concluso:

“concordo con la relazione”.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 11 gennaio 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: “Con sentenza in data 24 aprile 2008, la Corte d’appello di Torino, pronunciando sul gravame proposto da M.P.G. avverso la sentenza del Tribunale di Vercelli in data 23 gennaio 2004, nei confronti di Bo.Da., M. T., B.G., L.R. e Bu.Mi., in riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato che la posizione del fondo di cui al mappale (OMISSIS) del nuovo catasto del Comune di Bianzè, risultante dalle mappe catastali, non corrisponde all’effettiva collocazione del fondo stesso, il cui confine con i terreni già costituenti il mappale (OMISSIS) dello stesso nuovo catasto, un tempo dell’unica proprietaria F.E. e attualmente frazionato a favore di Bo.Da., M. T., B.G., L.R. e Bu.Mi., non è quello risultante dal catasto ma quello descritto dal CTU geom.

b. nelle planimetrie allegate alla relazione peritale depositata il 12 ottobre 2006 sub Z, X e Y, con evidenziazione in rossa; ha determinato il confine tra il fondo di cui al mappale (OMISSIS), attualmente di proprietà M., e il fondo di cui al mappale (OMISSIS), di proprietà di Bo.Da., M.T., B.G., L.R. e Bu.Mi., calcolandone un’ampiezza di metri 2,90 a partire dal chiodo a sinistra del palo ENEL, dando le spalle al muro, preso a riferimento perle misurazioni dal CTU geom. b., e tracciando una linea retta a partire da detto punto verso sud per tutta la lunghezza della proprietà M., parallela al confine individuato nelle planimetrie sopra indicate formate dal CTU; ha accertato la proprietà di M.P. G. sulla porzione di terreno che si trova oltre il confine cosi individuato, posta all’interno del fondo di cui al mappale (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) del nuovo catasto del Comune di Bianzè, la cui estensione non è pertanto di mq. 1630 ma di mq. 2010; ha compensato integralmente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio; ha posto le spese di c.t.u. a carico di Bo.Da., M. T., B.G., L.R. e Bu.Mi.. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno interposto ricorso per cassazione B.G., L.R. e B. M., sulla base di otto motivi.

Ha resistito, con controricorso, l’intimato M.P.G., proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

Nessuno degli otto motivi in cui si articola il ricorso principale – con cui variamente si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e talora anche violazione e falsa applicazione di legge – contiene la formulazione conclusiva – prescritta, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603) – del quesito di diritto (là dove si censurano violazioni e false applicazioni di legge) o di un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) recante la chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, insufficiente o contraddittoria. Nello stessa omissione incorre l’unico motivo del ricorso incidentale”.

Considerato che, preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni relative alla stessa sentenza;

che, sempre in via preliminare, non può essere accolta l’istanza di riunione, presentata dal difensore dei ricorrenti in via principale, della presente causa a quella, pendente tra le stesse parti, iscritta al N.R.G. 11980/05, giacchè le due impugnazioni hanno ad oggetto pronunce diverse, relative, l’una, alla causa petitoria, l’altra alla causa possessoria, a nulla rilevando che entrambe abbiano ad oggetto lo stesso terreno;

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, la quale resiste alle critiche che ad essa sono state mosse nella memoria depositata in prossimità della camera di consiglio dai ricorrenti in via principale;

che, infatti, nessuno dei motivi con cui vengono prospettati vizi di violazione e falsa applicazione di legge (il primo, concernente la violazione e falsa applicazione dell’art. 943 cod. civ.; il secondo, concernente la violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ.; il terzo, concernente la violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ.; il settimo, concernente la violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ.; l’ottavo, concernente la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 disp. att. cod. proc. civ.) è corredato dalla conclusiva formulazione del quesito di diritto, ma si limita a ripetere assertivamente che vi è stata violazione delle norme di legge indicate in rubrica;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corbe di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che, diversamente da quanto sembrano presupporre i ricorrenti in via principale nella loro memoria illustrativa, il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass. Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che, pertanto, i motivi che denunciano vizi di violazione e falsa applicazione di legge sono inammissibili, perchè nessuno di essi si conclude con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che gli otto motivi del ricorso principale, là dove prospettano – talvolta unitamente al vizio di violazione e falsa applicazione di legge – il vizio di motivazione, sono inammissibili, perchè non è stato osservato l’onere, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., della indicazione chiara e sintetica del fatto controverso;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. , deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741) ;

che, in altri termini, il prescritto quesito di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere questo requisito rispettato quando, come nella specie, solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte dei ricorrenti, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis cod. proc. civ. – che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichi quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione;

che, pertanto, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili;

che la prevalente soccombenza dei ricorrenti in via principale impone la condanna dei medesimi, in solido, al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione sostenute dal controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, li dichiara entrambi inammissibili.

Condanna i ricorrenti in via principale, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente M., liquidate in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2010

 

 

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