Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14553 del 16/06/2010

Cassazione civile sez. II, 16/06/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 16/06/2010), n.14553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.M.F., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Bucciante Alfredo,

elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma, piazza Prati degli

Strozzi, n. 26;

– ricorrente –

contro

F.I.M., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Stefano Bruno,

elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Pio Corti in Roma,

viale dei Paridi, n. 47;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2196/08

depositata il 17 luglio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Alfredo Bucciante;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Ciccolo Pasquale Paolo Maria, che ha concluso:

“concordo con la relazione”.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 11 gennaio 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: ” F.I.M., vedova ed unica erede di D.M.E., convenne in giudizio avanti al Tribunale di Varese il cognato, D.M.F., intestatario simulato di un immobile di proprietà del de cuius e sempre da lui posseduto a titolo abitativo, chiedendone la condanna al trasferimento in favore di essa attrice della formale proprietà di detto immobile, quale erede di D.M.E..

L’adito Tribunale condannò il convenuto a trasferire l’immobile all’attrice.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata il 17 luglio 2008, ha respinto l’impugnazione del soccombente ed ha rideterminato in aumento, in accoglimento del gravame incidentale della F., le spese del giudizio di primo grado.

La Corte territoriale ha evidenziato che correttamente il primo giudice aveva rilevato – sulla scorta della scrittura privata in data 27 maggio 2002 tra D.M.E. e D.M.F., scrittura privata riconosciuta in causa – che nell’atto in data 19 maggio 1971 vi fu un’interposizione reale di D.M.F. in luogo di D.M.E. quale acquirente.

Ha altresì rilevato: che la bassa scolarità e l’età avanzata (in realtà soltanto 59 anni) di D.M.F. erano inidonee, di per sè, a comportare l’annullabilità del negozio racchiuso nella scrittura privata del maggio 2002; che l’erede F. subentra nella medesima posizione del de cuius e quindi, ad evidenza, dei suoi diritti; che, vertendosi in materia di diritti reali, il comportamento tacito invocato dall’appellante non potrebbe in nessun caso infirmare le univoche risultanze della scrittura privata da lui sottoscritta; che dal comportamento delle parti si desume una piena conferma dell’effettiva proprietà dell’immobile in capo ad D.M. E., che lo ha occupato tranquillamente per oltre trent’anni. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha interposto ricorso D.M.F., sulla base di tre motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1414 cod. civ. e 102 cod. proc. civ., e si conclude con il quesito se la interposizione fittizia di parte acquirente in un contratto di vendita di immobile implichi tra interposto, interponente e terzo una ipotesi di litisconsorzio necessario e se nel relativo giudizio volto alla declaratoria di simulazione dell’atto di vendita la mancata chiamata del terzo nel processo si traduca in un difetto di contraddittorio tale da rendere nulla la sentenza di merito.

La censura è inammissibile per difetto di pertinenza. Essa non tiene conto che il giudice del merito ha ravvisato nella specie, non una simulazione del contratto per interposizione fittizia di persona, ma una interposizione reale. Ora, l’interposizione reale di persona – la quale, a differenza dell’interposizione fittizia, non configura un’ipotesi di simulazione relativa – si basa su un particolare rapporto tra interponente ed interposto e si verifica allorquando un soggetto, l’interposto, d’intesa con un altro soggetto, l’interponente, contratta in nome proprio con un terzo soggetto e diventa titolare effettivo dei diritti derivanti dal contratto, con l’obbligo, nascente dal rapporto interno con l’interponente, di ritrasferire a quest’ultimo i diritti in tal modo acquistati.

Nell’interposizione fittizia si ha, invece, un accordo simulatorio intercorrente fra tre soggetti – il contraente effettivo o interponente, il contraente fittizio o interposto e l’altro contraente – per effetto del quale la stipulazione del negozio con la persona interposta è soltanto apparente, poichè nella realtà il vero contraente è la persona che non figura nel negozio nei cui confronti l’altro contraente intende assumere tutti i diritti ed obblighi contrattuali (Cass., Sez. 1^, 22 giugno 1974, n. 1891).

Il secondo motivo, con cui si denuncia violazione dell’art. 1414 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.c., n. 5, per contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa, è anch’esso inammissibile. Esso, infatti, non si conclude – come prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – con la chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume contraddittoria, ma con la proposizione di una ricostruzione complessiva della vicenda e della scansione procedimentale, mescolandosi la narrativa del fatto e dello svolgimento del processo con giudizi assertivi di incompatibilità razionale tra motivazione e dispositivo della pronuncia, che non tengono conto che le espressioni “intestatario simulato” e “dissimulatamente”, nell’ambito della complessiva motivazione del giudice del merito, sono da intendere come ricognitive del rapporto, interno alla sfera giuridica dei due fratelli D.M., in virtù del quale l’immobile de quo era stato acquistato da D.M.E. in nome proprio ma per conto e nell’interesse di D.M. F..

Per la stessa ragione, è inammissibile il terzo motivo, con cui si denuncia omessa ed insufficiente motivazione, posto che il fatto controverso è descritto con rinvio per relationem al non idoneo quesito che conclude il secondo motivo”.

Letta, la memoria della parte controricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che deve ribadirsi che tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello hanno ravvisato nel caso di specie un’ipotesi di interposizione reale di persona;

che, tanto premesso, la censura svolta con il primo motivo non è pertinente, perchè, nel denunciare la mancata partecipazione al giudizio del venditore, muove dal presupposto – erroneo – che nel caso ricorra un’ipotesi di interposizione fittizia di persona;

che la giurisprudenza di questa Corte esclude il litisconsorzio necessario del venditore in ipotesi di interposizione reale (Cass., Sez. 3^, 22 ottobre 1963, n. 2801);

che, d’altra parte, anche a ritenere diversamente, che cioè nella specie si versasse in un’ ipotesi di interposizione fittizia, il motivo sarebbe in ogni caso infondato, giacchè, secondo la più recente giurisprudenza (Cass., Sez. 2^, 7 luglio 2009, n. 15955), nella simulazione relativa della compravendita per interposizione fittizia dell’acquirente, non è indispensabile la presenza in giudizio del venditore, in qualità di litisconsorte necessario nella controversia promossa dal terzo creditore nei confronti dell’acquirente dissimulato e dell’acquirente interposto, ove il contratto sia stato integralmente eseguito nei confronti del venditore medesimo e sia, conseguentemente, escluso ogni suo interesse a conservare quale contraente la persona interposta, anzichè la persona reale, partecipe effettiva del negozio;

che il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili per le ragioni indicate nella relazione;

che, pertanto, il ricorso per cassazione deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2010

 

 

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