Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14550 del 15/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 15/07/2016, (ud. 26/04/2016, dep. 15/07/2016), n.14550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27830/2011 proposto da:

T.A., (OMISSIS), C.C. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio

dell’avvocato MARCO SPADARO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ALFREDO TESSAROLO;

– ricorrenti –

contro

S.G., S.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MARIANNA GIONIGI 29, presso lo studio

dell’avvocato MARINA MILLI, rappresentati e difesi dall’avvocato

SALVATORE LO GIUDICE;

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA

DIONIGI 29, presso lo studio dell’avvocato MARINA MILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA DI PINO;

– controricorrenti –

e contro

ZURIGO ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1123/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato T.A., difensore dei ricorrenti che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato MILLI Marina con delega orale degli Avvocati DI PINO

e LO GIUDICE difensori dei rispettivi resistenti, che si riporta

agli atti depositati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.A. e C.C. con atto di citazione del 25 gennaio 2002 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Bassano del Grappa S.G., S.M., e L.G. ed esponevano di avere acquistato nel 1991 da S.G. una porzione di casa bifamiliare e che i lavori di costruzione erano stati eseguiti da S.M. su progetto e direzione del geom. L.G.. Dopo qualche tempo, all’interno dell’abitazione si erano manifestate crepe e lesione chela dire dai tecnici interpellati, erano dovuti ad un cedimento strutturale. Le richieste al venditore e all’esecutore dell’opera non avevano trovato alcun riscontro e, dunque, avevano promosso un accertamento tecnico preventivo all’esito del quale il CTU aveva riscontrato ben 250 crepe attribuendone le cause a difetti di progettazione.

Tanto premesso e riscontratala configurabilita’ di una responsabilita’ ex artt. 1669 e 2043 c.c., del costruttore e del progettista e direttore dei lavori, chiedevano la condanna in solido al risarcimento dei danni.

Si costituivano tutti i convenuti, eccependo in via preliminare la prescrizione dell’azione ai sensi degli artt. 1495, 1669 e 1947 c.c., nel merito l’infondatezza della domanda.

L.G. chiedeva ed otteneva la chiamata in causa della Zurigo Assicurazioni al fine di essere manlevato.

Si costituiva la Zurigo Assicurazione e condivideva le eccezioni formulate dai convenuti.

Il Tribunale di Bassano del Grappa, con sentenza n. 224 del 2004, rigettava la domanda proposta dagli attori e dichiarava la decadenza della domanda di garanzia ex art. 1669 c.c., nei confronti di L.G. e la prescrizione dell’azione di garanzia nei confronti di S.G. e di S.M.. Dichiarava la prescrizione dell’azione di responsabilita’ ex art. 2043 c.c.. Compensava tra le parti le spese di lite.

La Corte di Appello di Venezia, su appello di T.A. e C.C., a contraddittorio integro e su appello incidentale proposto dagli appellati per sentire condannare gli appellanti alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado, con sentenza n. 1123 del 2011, respingeva sia l’appello principale, che l’appello incidentale e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio. La Corte di Venezia precisava che l’art. 1669 c.c., prescrive, oltre al termine decennale attinente al rapporto sostanziale di responsabilita’ dell’appaltatore ricollegabile anche alla posizione di venditore costruttore, due ulteriori termini una di decadenza per la denuncia del pericolo di rovina o dei gravi difetti di un anno dalla scoperta dei vizi o dei difetti, e l’altro di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilita’ di un anno dalla denuncia, senza alcun rilievo per eventuali aggravamenti che costituiscono la naturale evoluzione di una grave situazione gia’ precedentemente manifestatosi e denunciata. Nel caso di specie, il termine annuale per l’esercizio dell’ azione era interamente decorso, senza che fosse intervenuto alcun atto interruttivo.

Quanto alla responsabilita’ ex art. 2043 c.c., la Corte di Venezia evidenziava l’impossibilita’ di qualificare la dedotta esecuzione dell’opus con gravi vizi di costruzione, fatto costitutivo del diritto degli appellanti al risarcimento del danno quale reato.

La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta da T.A. e C.C. con ricorso affidato a sei motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., L.G., S.M. e S.G., questi unitamente, hanno resistito con separati controricorsi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- T.A. e C.C. denunciano:

a) Con il primo motivo di ricorso, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1669 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale non avrebbe applicato correttamente la normativa di cui all’art. 1669 c.c., perche’ avrebbe ritenuto che il termine annuale per l’esercizio dell’azione decorresse dal 5 gennaio 1995, cioe’, dalla data di un’iniziale denuncia dei vizi, senza tener conto: a) che i costruttori avevano cercato di ovviare ai vizi con un loro intervento; e, soprattutto, b) che nell’anno 2000, T.A. e C.C., avevano provveduto a rimettere altra denunzia per ulteriori e altri vizi che l’opera nel frattempo aveva presentato, depositando anche ricorso per ATP, il 27 novembre 2000. Sennonche’, rispetto a questa seconda denunzia non si sarebbe verificata alcuna decadenza ne’ prescrizione come avrebbe ammesso la stessa Corte distrettuale anche perche’ gli interessati avevano maturato un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravita’ dei difetti, solo con l’elaborato peritale.

Nonostante i ricorrenti non fossero onerati, hanno egualmente formulato il seguente quesito di diritto: dica la Corte di Cassazione se si debba tener conto quale dies a quo per la denuncia dei vizi occulti, ovvero il momento in cui il committente acquisisce un’apprezzabile grado di conoscenza della gravita’ dei difetti.

b) Con il secondo motivo, la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 1669 c.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Secondo i ricorrenti, l’affermazione della Corte distrettuale secondo la quali i vizi denunciati dagli appellanti nel 2000 e quelli indicati dal CTU sarebbero un aggravamento dei vizi denunciati nel 1995, contrasterebbe con i fatti acquisiti in giudizio. Piuttosto, gli attori hanno potuto conoscere la gravita’ dei vizi solo alla luce degli accertamenti effettuati dal consulente di ufficio. Per altro, la sentenza non avrebbe tenuto conto che verso L.G. non era stata mai presentata alcuna denunzia dei vizi per cui la prima denunzia e’ stata quella con la notifica del ricorso per ATP. Nei confronti del progettista, pertanto, non si sarebbe verificata alcuna decadenza o prescrizione.

1.1.- I motivi appena indicati che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, nonche’ per la loro innegabile connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili per genericita’, dato che il ricorrente non ha avuto cura di riportare sia pure nel contenuto essenziale e/o, comunque, per quanto di interesse in questa sede, ne’ la denuncia del 1995, ne’ la denuncia, che afferma), di aver effettuato prima della richiesta di accertamento tecnico preventivo, ne’ il contenuto della relazione peritale, dai quali si sarebbe potuto verificare quali vizi erano stati denunciati nel 1995, il rapporto che sussisteva tra i vizi denunciati nel 1995 e quelli denunciati nel 2000 e quali vizi erano stati accertati dal CTU e, altresi’, verificare a chi erano state dirette le suddette denunce.

Il ricorrente, non ha tenuto conto che, secondo quanto previsto dall’attuale codificazione dell’art. 366 c.p.c., doveva formulare i motivi di censura in maniera specifica e precisa e indicare esattamente gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda ed, in particolar modo, assolvere all’onere di localizzazione. Nel caso specifico, il ricorrente, non solo, ha omesso di indicare l’esatta collocazione dei documenti richiamati nella compagine dei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio, ma non indica, in modo puntuale, quali vizi aveva denunciato nel 1995, e quelli che sarebbero stati denunciati nel 2000, avendo ritenuto che i vizi delle due denunce “(…) si riferivano a cose ben diverse (..)”. E, cio’, soprattutto, a fronte della chiara affermazione della sentenza, richiamata dagli stessi ricorrenti, secondo cui “sulla base dello stesso tenore letterale delle espressioni utilizzate nella denunzia e nel successivo ricorso per accertamento tecnico preventivo, inoltre, deve ritenersi che gli ulteriori vizi manifestatisi non possono che qualificarsi come aggravamento degli originari vizi denunziati dagli appellanti nel 1995. Per la decorrenza di un nuovo termine prescrizionale sarebbe stato, al contrario, occorsa una diversa situazione di fatto e non un ulteriore aggravamento della gia’ grave situazione manifestatasi gia’ nel 1995 ed accertata anche mediante l’intervento di tecnici”. E di piu’: “C..) la denunzia del 1995 da parte degli appellanti si riferisce ai medesimi vizi o, comunque, a vizi della medesima natura (…) e derivanti dalle medesime cause di quelli posti a fondamento della domanda svolta nel presente procedimento: la loro scoperta e’, pertanto, certamente anteriore al 1995 (….)”.

2.- Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 1669 c.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto. La Corte territoriale, secondo i ricorrenti, non avrebbe tenuto conto che T. e C., sia con il ricorso per ATP, che con l’atto di citazionei si riferivano sia alla originaria garanzia ex art. 1669 c.c. e sia alla garanzia, sempre ex art. 1669 c.c., per le riparazioni fatte nel 1995. Con la considerazione che, essendo i lavori di riparazione eseguiti dopo la denuncia del 1995, da tale data iniziava a decorrere un ulteriore periodo decennale di garanzie per le riparazioni eseguite.

Concludono i ricorrenti formulando il seguente quesito di diritto: dica la Corte di Cassazione se la responsabilita’ ex art. 1669 c.c., per la rovina di un immobile si renda applicabile nei confronti del costruttore, non soltanto con riferimento alla originaria costruzione, ma anche all’opera di riparazione e ricostruzione fatta dallo stesso costruttore per eliminare i vizi costruttivi. Se nel caso di riconoscimento dei vizi e di intervento di riparazione, ricostruzione, inizi a decorrere un nuovo termine decennale per la denuncia dei vizi.

2.1.- Il motivo e’ infondato perche’ essenzialmente non coglie l’esatta ratio decidendi della sentenza impugnata. Infatti, la Corte distrettuale non ha smentito il principio, affermato anche da questa Corte, secondo cui, in tema di appalto, l’esecuzione da parte dell’appaltatore di riparazioni a seguito di denuncia dei vizi dell’opera da parte del committente deve intendersi come riconoscimento dei vizi stessi e, pertanto, il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c., comincia a decorrere “ex novo” dal momento in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravita’ dei difetti (Cass. n. 20853 del 29/09/2009). Piuttosto, la Corte distrettuale, ha dichiarato inammissibile la domanda avente ad oggetto l’inefficacia degli interventi riparatori perche’ introdotta con la comparsa conclusionale e, dunque, tardivamente. Sicche’ dagli atti del processo non risultava presente la domanda di inefficacia degli interventi riparatori, ovvero, e, per quel che piu’ interessa, non risultava dimostrato che il costruttore avesse effettuato un intervento riparatore dei vizi denunciati nel 1995.

3.- Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 , per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Secondo i ricorrenti la sentenza impugnata, erroneamente, avrebbe ritenuto che la domanda esplicata nell’anno 2000 con il deposito del ricorso per ATP fosse inammissibile perche’ prodotta tardivamente. Piuttosto, l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui la domanda di inefficacia degli interventi riparatori, (….), nella fattispecie in esame era stata tardivamente introdotta ed era pertanto inammissibile atteso che gli appellanti avevano fondato la domanda originariamente proposta non gia’ sulla inadeguatezza delle riparazioni ma sui gravi vizi di costruzione del fabbricato (…)” avrebbe travisato i fatti di causa perche’ la domanda e’ stata sempre quella della condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti per vizi dell’opera che sono stati denunciati.

3.1.- Il motivo e’ infondato perche’ non coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

Da una lettura della sentenza impugnata non risulta che la Corte distrettuale abbia dichiarato inammissibile la domanda esplicata nel 2000 con il deposito del ricorso per ATP, ma, al contrario, la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile, perche’ tardivamente introdotta, l’azione (di risarcimento dei danni) fondata sull’obbligazione derivante dall’esecuzione di interventi riparatori (ovvero per inadeguatezza degli interventi riparatori) perche’ tale azione sarebbe fondata su fatti costitutivi (causa petendi) diversi da quei fatti costitutivi della domanda originariamente proposta e, cioe’ il risarcimento del danno per vizi di costruzione del fabbricato.

4.- Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 2043 c.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Erronea dichiarazione di prescrizione dell’azione ex art. 2043 c.c., nei confronti di L.G., S.M. e S.G..

Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe errato nel non aver condannato il L., ai sensi dell’art. 2043 c.c., per responsabilita’ derivanti dalla violazione della L. n. 1086 del 1971. In particolare, per non aver eseguito le procedure previste dalla legge, per non aver depositato al Genio Civile i calcoli in cemento armato, per non aver eseguito indagini geotecniche, per aver progettato un’opera che non poteva progettare.

I ricorrenti concludono proponendo il seguente quesito di dritto: dica la Corte di Cassazione se il progettista il quale non abbia osservato i precetti contenuti nella L. n. 1086 del 1971, per avere esorbitato dalla propria competenza professionale, avendo progettato un’opera in cemento armato che non poteva progettare, non avendo depositato presso l’Ufficio del Genio civile i calcoli in cemento armato, ne’ avendo fatto eseguire le indagine geotecniche, risponda ex art. 2043 c.c., di illecito extracontrattuale nei confronti dell’acquirente dell’abitazione da lui progettata.

4.1.- Il motivo e’ infondato; peraltro la motivazione della sentenza impugnata, va integrata e specificata con quanto si dira’.

Va qui osservato che quando l’opera eseguita in appalto presenta gravi difetti dipendenti da errata progettazione, il progettista e’ responsabile, con l’appaltatore, verso il committente, ai sensi dell’art. 1669 c.c., a nulla rilevando in contrario la natura e la diversita’ dei contratti cui si ricollega la responsabilita’, perche’ l’appaltatore ed il progettista, quando con le rispettive azioni od omissioni – costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse; concorrono in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati nell’art. 1669 c.c., si rendono entrambi responsabili dell’unico illecito extracontrattuale, e rispondono entrambi, a detto titolo, del danno cagionato. Trattandosi di responsabilita’ extracontrattuale, specificamente regolata anche in ordine alla decadenza ed alla prescrizione, non spiega alcun rilievo la disciplina dettata dagli artt. 2226 e 2330 c.c. e si rivela ininfluente la natura dell’obbligazione – se di risultato o di mezzi – che il professionista assume verso il cliente committente dell’opera data in appalto (vedi Cass. n. 13882 del 18/06/2014).

A sua volta, va qui precisato che la previsione dell’art. 1669 c.c., concreta un’ipotesi di responsabilita’ extracontrattuale, con carattere di specialita’ rispetto al disposto dell’art. 2043 c.c., finalizzata ad assicurare una piu’ efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale. Con la conseguenza, che l’azione di cui all’art. 2043 c.c., considerata la specialita’ della normativa di cui all’art. 1669 c.c. e’ esperibile solo quando non sia esperibile l’azione di cui all’art. 1669 c.c..

4.a) Va anche chiarito che l’eccezione, non del tutto comprensibile, secondo cui la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che la condotta del geometra, il quale avrebbe progettato edifici in cemento armato, attivita’ che la legge professionale non gli consentirebbe, costituirebbe un reato permanente ostativo al decorso della prescrizione, e’ inammissibile sia per la ragione assorbente, gia’ evidenziata dalla Corte distrettuale e, cioe’, per tardivita’ della stessa essendo stata formulata solo nella comparsa conclusionale in violazione dell’art. 345 c.p.c., la cui decisione non e’ stata censurata, e sia anche perche’ il ricorrente non ha considerato che la “permanenza” non poteva riguardare la condotta, ma semmai gli effetti, secondo lo schema dei reati istantanei ad effetti permanenti e, come tale, senza effetto interruttivo o sospensivo del decorso della prescrizione.

5.- Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 83 cpc., nullita’ della procura di Zuriga Ass.ni spa. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile per genericita’ la censura riferita alla sentenza di primo grado nella parte in cui quella sentenza aveva rigettato l’eccezione di nullita’ della procura rilasciata da Zurigo Assicurazioni in calce alla copia notificata dell’atto di citazione.

Concludono i ricorrente formulando il seguente quesito di diritto: dica la Corte di Cassazione se la procura alle liti ex art. 83 c.p.c., possa essere opposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione. Se nell’atto con cui il convenuto si costituisce debba essere indicato dove e’ contenuta la procura separata ed i poteri di chi l’ha sottoscritta.

5.1.- Il motivo e’ inammissibile essenzialmente perche’ i ricorrenti non indicano l’esatto contenuto del motivo di appello relativo alla asserita nullita’ della procura di Zuriga Ass.ni spa. Tuttavia, e’ opportuno chiarire anche in questa sede che e’ orientamento pacifico nella giurisprudenza di questa Corte di Cassazione (ex multis Cass. n. 9921 del 05/05/2011) quello secondo cui e’ valida la procura ad litem conferita al difensore in calce alla copia notificata del decreto ingiuntivo (o dell’atto di citazione), quand’anche priva di data e dell’indicazione nominativa del difensore, se l’atto di opposizione (o di risposta) sia redatto dal medesimo avvocato che ha autenticato la sottoscrizione del rappresentato e se il documento che reca la procura sia depositato al momento della costituzione in giudizio. Va, infine, ribadito che quando la costituzione in giudizio della parte abbia avuto luogo senza contestazioni circa il deposito degli atti necessari allo scopo e circa l’esistenza e la tempestivita’ della procura al difensore, deve presumersi la rituale instaurazione del rapporto processuale, se il contrario non risulti da altra emergenza processuale (cfr. Cass. nn. 3998/04 e 11782/06).

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91, condannati in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che vengono liquidate con il dispositivo a vantaggio di ciascuna parte ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido, a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di cassazione che liquida, per ciascuna parte controricorrente, in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera del consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

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