Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14550 del 12/06/2017

Cassazione civile, sez. un., 12/06/2017, (ud. 23/05/2017, dep.12/06/2017),  n. 14550

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sezione –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BARRECA Luciana Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3085/2017 proposto da:

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA pro tempore, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrenti –

contro

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO

1/A presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSTANTINO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 206/2016 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 12/12/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2017 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli avvocati Giovanni Aiello per l’Avvocatura Generale dello

Stato e Giorgio Costantino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 17/3-12/12/2016, la Sez. disciplinare C.S.M. ha dichiarato il dott. M.L., giudice in servizio presso il Tribunale di Pisa, assegnato alla sezione esecuzioni immobiliari e alla sezione fallimentare, responsabile dell’illecito disciplinare allo stesso ascritto al primo capoverso della contestazione e rubricato con il numero 1), condannandolo alla sanzione della censura, e lo ha assolto dalle altre contestazioni ascritte ai capoversi dal secondo al settimo, rubricate ai numeri da 2) a 7) incluso, per essere rimasti esclusi gli addebiti.

Il dott. M. era incolpato, con i capi da 1) a 6), dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. g), perchè aveva adottato con grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, nei procedimenti indicati, provvedimenti di liquidazione degli onorari per consulenze tecniche:

in misura superiore a quanto previsto dal D.M. 30 maggio 2002, art. 13, in relazione al D.P.R. 115 del 2002, artt. 49 e 50;

applicando per una parte del compenso le tariffe professionali in luogo delle tariffe ministeriali, in violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 49 e 50;

con i criteri di cui al D.M. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1, in luogo di quelli di cui al comma 2 di detta norma per la stima di immobili, nell’ambito di procedure per concordato preventivo; per attività demandata alle parti secondo l’art. 567 c.p.c.; liquidando per il caso indicato al consulente tecnico la somma di Euro 2534,00 per la valutazione di beni mobili, applicando la tariffa di cui al D.M. del maggio 2002, art. 11, in luogo di quella di cui all’art. 3 dello stesso decreto;

per avere liquidato le spese in assenza della documentazione atta a provare le stesse, in violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56. Col capo 7), era incolpato di avere adottato, con negligenza ed in violazione dei legge, i provvedimenti sopra indicati, nei procedimenti di cui alle schede da n. 1 a n.99, liquidando gli onorari e le spese in misura non conforme alla normativa e comunque in misura superiore ai massimi consentiti, così arrecando ingiusto danno alla parte del procedimento tenuta al pagamento dell’importo (illecito D.Lgs. n. 109 del 2006, ex art. 2, lett. a)).

La Sezione disciplinare, premessa la prova documentale dei fatti in senso oggettivo, posto l’orientamento del S.C. inteso a riconoscere il possibile concorso di norme di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, art. 2, lett. a) e g), nel caso della violazione del dovere di diligenza, ha specificato che il carattere distintivo dell’illecito sub lett. a) è dato dall’ingiustizia del danno, che non può ritenersi in via automatica conseguente alla violazione di legge, posto che il provvedimento di liquidazione non ha immediatamente forza esecutiva, che sopravviene solo al decorso dei termini di impugnazione nelle forme previste dal D.P.R. n. 115 del 2002; ha rilevato che nella specie non risultava provato il danno ingiusto per le parti che avevano sopportato le spese delle liquidazioni contestate, che anzi nessuna delle parti aveva impugnato i provvedimenti in oggetto nè, per quanto risultante dagli atti, aveva formulato alcuna doglianza in relazione al quantum, nè era desumibile il danno ingiusto alla stregua degli importi liquidati, che non presentavano di per sè quella discrasia macroscopica idonea a rendere ex se rilevante il danno, trattandosi, secondo le ipotesi dell’Amministrazione in sede ispettiva, di scostamenti contenuti da quanto dovuto.

Ha pertanto assolto il dott. M. dall’incolpazione sub capo 7), e in ogni caso, quanto alle condotte di cui ai capi da 2 a 6 dell’incolpazione, ha escluso l’antigiuridicità, trattandosi di interpretazione di norme, da cui l’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2.

In particolare, ha ritenuto non censurabili, in quanto dettate da scelte interpretative, le liquidazioni contestate ai capi 2, 3 e 5; che, quanto alla incolpazione sub 4, al limite si sarebbe dovuta contestare la nomina dei consulenti e non già la liquidazione agli stessi dei compensi; che la liquidazione delle spese in via forfettaria invece che a seguito della relativa documentazione non travalica i limiti interpretativi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56.

Ha ritenuto sussistente l’illecito contestato col capo 1), per la reiterata e sistematica liquidazione dei compensi in eccesso rispetto ai limiti di legge.

Ricorrono avverso detta sentenza il Ministro ed il Ministero della Giustizia, con ricorso affidato a due motivi.

Il dott. M. si è costituito ed ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Prima di esaminare i motivi di ricorso, va dato conto della questione processuale sollevata dal dott. M., che, posta la specifica disposizione di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, come modificato dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 3, lett. o), (“1. L’incolpato, il Ministro della giustizia ed il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre, contro… le sentenze della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ricorso per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale… 2. La Corte di cassazione decide a sezioni unite civili, entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso”) e dato conto dell’interpretazione sul punto del giudice di legittimità, che sposta l’applicazione della disciplina del processo civile alla fase successiva alla fissazione della pubblica udienza, ha posto l’alternativa tra il consentire la presentazione di memoria anche all’intimato o il limitare l’operatività del richiamo ai “termini” ed alle “forme” del processo penale alla mera proposizione dell’impugnazione, principale o incidentale, così ammettendosi la possibilità del controricorso ex art. 370 c.p.c., e delle memorie ex art. 378 c.p.c..

A riguardo, va dato conto che questa Corte, specificamente nelle ordinanze interlocutorie del 31 luglio 2007, n. 16873 e del 5 ottobre 2007, n. 20844, si è posta la questione del rispetto del diritto di difesa, come assicurato dal codice di procedura civile, dal momento in cui il processo perviene alle sezioni unite, ritenendo a riguardo che resta assicurata “la facoltà di partecipare alla discussione nella udienza pubblica di cui all’art. 379 c.p.c., nonchè di presentare memorie ai sensi del precedente art. 378, fino a cinque giorni prima di tale udienza;della quale deve darsi comunicazione ex art. 377 c.p.c., alle parti nei cui confronti è stato instaurato il contraddittorio: e quindi non soltanto all’avvocato del ricorrente, ma anche a quelle che per quanto detto non hanno potuto proporre il controricorso di cui all’art. 370 c.p.c.”.

E da tale indirizzo non v’è ragione di discostarsi.

Col primo motivo di ricorso, sotto il profilo dei vizi di violazione di legge e di motivazione, l’Avvocatura dello Stato deduce che non incide sulla configurabilità dell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. a), la mancata proposizione di impugnazioni avverso i provvedimenti illegittimi, richiedendo la norma il danno come elemento obiettivo e non come percepito dalle parti, e che la liquidazione di somma maggiore rispetto a quella che spetta alle parti comporta ex se un danno.

Col secondo, si duole dei vizi di violazione e/o falsa applicazione di legge e del vizio di motivazione, per avere la Sez. disciplinare escluso l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. g), per le incolpazioni di cui ai nn. 2-6, sostenendo che l’applicazione di una disciplina diversa rispetto a quella prevista nel testo unico spese di giustizia non può rientrare nell’attività discrezionale del magistrato, visto che la natura pubblicistica dell’incarico comporta necessariamente l’applicazione delle tariffe ministeriali.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Secondo l’indirizzo di questa Corte, come tra le ultime ribadito nella pronuncia Sez. U. 22/4/2013, n. 9691, le fattispecie di illecito disciplinare previste, rispettivamente, dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. a) e g), – che sanzionano l’una la violazione dei doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio e rispetto della dignità della persona che arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti, e l’altra la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile – non sono tra loro in rapporto di specialità, atteso che l’elemento connotante la prima fattispecie è costituito dalla conseguenza (“ingiusto danno” e “vantaggio indebito”) derivante dalla violazione dei doveri primari incombenti sul magistrato, laddove gli elementi caratterizzanti la seconda fattispecie (gravità della violazione di legge e inescusabilità dell’ignoranza o negligenza) attengono essenzialmente alla condotta ed all’elemento psicologico dell’illecito, sicchè è la loro diversa natura di illeciti “di evento” e “di pura condotta” a comportare che un unico comportamento possa integrare entrambi gli illeciti.

Ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. a), è necessaria pertanto la verificazione di un evento costituito dall'”ingiusto danno” o dall'”indebito vantaggio” per una delle parti del procedimento, non essendo sufficiente la sola condotta del magistrato, consistente nella violazione dei doveri di cui al precedente articolo (così la pronuncia Sez. U, 27/11/2013, n. 26548).

Ciò posto, si deve rilevare che il giudice disciplinare ha escluso la sussistenza del danno ingiusto per le parti, rilevando che queste non avevano impugnato i provvedimenti di liquidazione nè chiesto la revoca nè dedotto a motivo di doglianza l’entità delle liquidazioni e che gli importi liquidati non differivano così macroscopicamente da quelli liquidabili secondo il D.P.R. n. 115 del 2002, da costituire di per sè danno rilevante.

Così argomentando, la sentenza impugnata ha sostanzialmente presupposto la valenza soggettiva del danno ingiusto (salva l’esorbitanza sul piano del quantum idonea a configurare ex se il requisito in oggetto), tanto da ritenere rilevante la reazione delle parti che hanno sopportato le violazioni effettuate dal dott. M., mentre il disposto normativo connota oggettivamente il danno come ingiusto.

E il riferimento alla “non macroscopica” divergenza tra quanto liquidato nei casi indicati e quanto liquidabile normativamente potrebbe se del caso rilevare sotto il profilo della scarsa rilevanza del fatto, ex art. 3 bis, Legge cit., che, come ritenuto nella sentenza della Sez. disciplinare C.S.M. del 26/1/2010, n. 16, ha lasciato proprio al giudice il compito di verificare se, ex post ed in concreto, vi sia stata lesione del bene giuridico, e, quindi, di interpretare la fattispecie alla luce del principio di offensività, attraverso una considerazione congiunta dell’aspetto oggettivo, avente riguardo all’esiguità del danno o del pericolo, e dell’aspetto soggettivo, costituito dal grado della colpevolezza, da cui consegue che deve affermarsi l’irrilevanza della condotta anche nel caso in cui sia contestata la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. g), quando ricorrano l’assenza di qualunque ingiusto pregiudizio o indebito vantaggio per alcuno, come conseguenza oggettiva del comportamento dell’incolpato, l’assenza di neghittosità ed anzi il convincimento, sia pure a torto, di avere agito per il bene delle parti offese, nonchè il difetto della lesione del prestigio e della credibilità dell’Ordine Giudiziario.

Il secondo motivo è infondato.

Come affermato tra le ultime nella pronuncia Sez. U, 29/1/2013, n. 7379, “il comportamento del magistrato può essere censurato sul piano disciplinare con riguardo ad atti e provvedimenti resi nell’esercizio delle sue funzioni e, quindi, anche con riguardo all’attività interpretativa e applicativa delle norme di diritto, solo quando tale attività riveli scarsa ponderazione, approssimazione, frettolosità o limitata diligenza, idonee a riverberarsi negativamente sulla credibilità del magistrato o sul prestigio dell’ordine giudiziario (ex plurimis Cass., sez. un., 4 agosto 2000, n. 538); restando invece esclusa la censurabilità dell’attività interpretativa del magistrato allorchè pervenga a soluzioni non implausibili ancorchè criticabili come non fondate”.

Ora, il giudice disciplinare ha escluso l’antigiuridicità delle incolpazioni di cui ai capi da 2 a 6, ritenendo che nei casi indicati si trattasse di interpretazione di norme (diverso è peraltro l’argomento addotto per escludere la censurabilità della scelta di liquidare onorari ai consulenti per attività asseritamente demandata alle parti, nei cui confronti parte ricorrente non svolge alcuna censura), rientrante nelle facoltà decisionali del magistrato, e di contro a detta valutazione parte ricorrente tenta di far valere come la natura pubblicistica dell’incarico ai consulenti comporti necessariamente l’applicazione delle tariffe ministeriali, per assicurare sia l’assoluta trasparenza delle liquidazioni che la parità di trattamento tra i professionisti chiamati a svolgere compiti ausiliari dell’autorità giudiziaria.

Detta tesi evidentemente prova troppo, e oblitera del tutto il profilo interpretativo che, pur a fronte dell’intento della normativa in oggetto, continua a far capo al giudice del merito, come ampiamente riconosciuto nella pronuncia del 19 dicembre 2014, n. 27126, che ha affermato che in tema di compensi spettanti a periti e consulenti tecnici a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 50 e segg., la determinazione dei relativi onorari costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, e pertanto, se contenuta tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede motivazione specifica e non è soggetta al sindacato di legittimità, se non quando l’interessato deduca la violazione di una disposizione normativa oppure un vizio logico di motivazione, specificando le ragioni tecnico giuridiche secondo le quali debba ritenersi non dovuto un certo compenso oppure eccessiva la liquidazione.

Conclusivamente, va accolto il primo motivo del ricorso, respinto il secondo, e conseguentemente va cassata la pronuncia impugnata, con rinvio alla Sezione disciplinare del C.S.M. in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato.

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinge il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione disciplinare C.S.M. in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA