Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1455 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/01/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 21/01/2011), n.1455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26011 – 2006 proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA “OSPEDALI RIUNITI” di FOGGIA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso lo studio

dell’avvocato DE ANGELIS ANTONIA, rappresentata e difesa dagli

avvocati PAPPALEPORE VITO AURELIO, MASTROPIERI SIMONETTA, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALDAGNO 27,

presso lo studio dell’avvocato BASSO TOMMASO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1017/2 006 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 26/05/2006 R.G.N. 4329/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2010 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato PAPPALEPORE VITO AURELIO; udito l’Avvocato BASSO

TOMMASO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’avv. P.G., vincitore di concorso per dirigente amministrativo, era stato assunto dalla Azienda Ospedali Riuniti di Foggia dal primo luglio 1999 con patto di prova; con provvedimento del 18 gennaio 2000 l’Azienda aveva estinto il rapporto per esito sfavorevole della prova. L’avv. P. impugnava il recesso e, nel contraddittorio con l’Azienda, l’adito Tribunale di Foggia rigettava la domanda. Su appello del soccombente la statuizione veniva riformata dalla Corte d’appello di Bari, che, con la sentenza impugnata, dichiarava illegittimo il recesso con le conseguenze di legge. La Corte territoriale, premesso che oggetto della causa era la tempestività del recesso, rilevava che l’art. 15 del CCNL applicabile al rapporto prescrive che il patto di prova abbia la durata di sei mesi e che, “…ai fini del computo del suddetto periodo, si tiene conto solo del servizio effettivamente prestato. Il periodo di prova è sospeso in caso di assenza per malattia e negli altri casi previsti espressamente dalla legge o dai regolamenti vigenti ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72; decorsa la metà del periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal rapporto in qualsiasi momento senza obbligo di preavviso nè di indennità sostitutiva del preavviso, fatti salvi i casi di sospensione previsti dal comma 3. Il recesso opera dal momento della comunicazione alla controparte. Il recesso dell’azienda deve essere motivato…”.

Osservava la Corte territoriale che il giudice di primo grado aveva rigettato il ricorso ritenendo che il periodo di prova non fosse ancora decorso al momento di intimazione del recesso, sulla base del seguente ragionamento: i sei mesi di prova sarebbero scaduti il 31 dicembre 1999, ma si doveva poi tenere conto dei periodi di sospensione e quindi, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, alla data del 15 gennaio 2000 il termine non era scaduto, dovendo essere recuperati i giorni di sospensione del 4,5,7 e 10 gennaio. Questi quatto giorni avrebbero spostato al 19 gennaio l’ultimo giorno di prova, se non fosse accaduto che il ricorrente non aveva lavorato il 17 e il 19 gennaio, per astensione facoltativa per maternità, per cui, alla data di notifica del recesso, 22 gennaio 2000, il periodo di prova non si era ancora concluso.

I Giudici d’appello disattendevano questa tesi, sul rilievo che essa contrastava con la delibera del 18 gennaio 2000 in cui, si comunicava che, tenendo conto dei diciotto giorni di sospensione, il periodo di prova si concludeva alla stessa data del 18 gennaio 2000. Detto provvedimento era stato però comunicato all’avv. P. solo il 22 gennaio, mentre avrebbe dovuto essere comunicato entro il 18 gennaio.

Inoltre, concedendo il 19 gennaio l’astensione facoltativa per maternità, l’azienda aveva manifestato la volontà di proseguire il rapporto che a quella data avrebbe dovuto già estinguere. La Corte territoriale rigettava invece l’appello incidentale dell’Azienda, volto a dilatare il periodo di prova anche oltre i termini indicati dal giudice di primo grado, perchè così si collideva con la delibera di recesso che, considerando le giornate di sospensione, indicava nel 18 gennaio la data di scadenza del periodo di prova.

Avverso detta sentenza l’Azienda Ospedali Riuniti di Foggia propone ricorso un unico motivo articolato in due censure, illustrati da memoria.

Resiste l’avv. P. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo profilo del motivo, denunziando difetto di motivazione, violazione dell’art. 1362 c.c., dell’art. 15 del CCNL nonchè dell’art. 2096 c.c., e art. 97 Cost., si lamenta che la sentenza avrebbe erroneamente interpretato la delibera di essa Azienda in cui, nella parte dispositiva, si comunicava la risoluzione del contratto dal 19 gennaio 2000 e comunque dal giorno successivo al completamento del periodo di prova; la Corte avrebbe valorizzato la parte narrativa dell’atto (scadenza della prova al 18 gennaio) a scapito del dispositivo, con cui si esternava la volontà di recedere dal giorno successivo al compimento del periodo di prova. Con il secondo profilo di censura ci si duole dell’erroneo rigetto appello incidentale volto a dilatare periodo di prova. Sostiene il ricorrente che il periodo di prova non era terminato alla data del 18 gennaio, ma ben successivamente, di talchè il recesso intimato il 22 gennaio era tempestivo, secondo il seguente ragionamento: i sei mesi scadevano il 31 dicembre 1999, si dovevano poi aggiungere i quattordici giorni di sospensione dell’anno 1999; iniziando il computo dal 3 gennaio (essendo festivi il giorno 1 e il giorno 2); detti quattordici giorni sarebbero quindi scaduti il 16 gennaio; ma poichè il rapporto era stato sospeso nei giorni 4,5,7, e 8 gennaio, si dovevano aggiungere altri 4 giorni, per cui termine scadeva al 20 gennaio, o meglio il 21 gennaio stante l’astensione facoltativa del 17 gennaio. Tuttavia il 19 gennaio il Dr. P. aveva chiesto dieci giorni di astensione facoltativa per maternità, facendo così slittare il termine al 29 gennaio, per cui era pienamente tempestivo il recesso comunicato il 22 gennaio.

Il ricorso non merita accoglimento.

Invero, anche ad ammettere che la volontà dell’Azienda fosse quella di risolvere il rapporto dal giorno successivo al completamento del periodo di prova, privilegiando la volontà espressa nell’ultima parte della delibera a scapito della prima, dove pur si indicava la data del 18 gennaio come quella conclusiva del periodo di prova, il recesso comunicato il 22 gennaio era successivo al completamento della prova, essendo errati i conteggi dei giorni elaborati in ricorso. Pacifico infatti che i sei mesi di prova di cui al CCNL scadevano il 31 dicembre 1999 e che il periodo si doveva far slittare per ulteriori quattordici giorni, pari alle sospensioni dell’anno 1999; detti quattordici giorni si dovevano far decorrere dal primo gennaio, e non già dal 3 gennaio, come si sostiene in ricorso, giacchè i giorni di festività pacificamente non sospendevano il periodo di prova; facendo poi ulteriormente slittare la scadenza del 14 gennaio al 18 gennaio, per tenere conto dei quattro giorni di sospensione (4,5,7, e 8 gennaio) il termine del periodo di prova era il 18 gennaio, o al massimo il 19 gennaio, volendo tenere conto dell’assenza del giorno 17.

Ed allora, come rilevato dalla sentenza impugnata, con la concessione, il giorno 19, di un periodo di astensione facoltativa per maternità, l’Azienda ricorrente aveva manifestato la volontà di proseguire il rapporto di lavoro.

Conclusivamente, risulta in ogni caso tardivo il recesso comunicato il 22 gennaio.

Il ricorso va quindi rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 35,00 per esborsi ed in Euro tremila per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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