Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1455 del 19/01/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 19/01/2018, (ud. 30/11/2017, dep.19/01/2018),  n. 1455

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. M.T., N.G. e N.V., eredi di N.R., hanno proposto ricorso, articolato in quattro motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Messina n. 297/2015 del 19 maggio 2015. Resiste con controricorso D.F..

La sentenza impugnata ha rigettato l’appello di M.T., N.G. e N.V. avverso la sentenza resa il 17 ottobre 2007 dal Tribunale di Mistretta, così confermando la fondatezza dell’azione di spoglio spiegata il 22 agosto 2001 da D.F., il quale aveva domandato la reintegrazione nel possesso dell’acqua del torrente (OMISSIS), alla località (OMISSIS), da lui convogliata in una vasca sita nel proprio fondo, e sottratta da N.R. (deceduto in corso di causa), proprietario di fondo limitrofo a quello del D., mediante installazione di una pompa.

La Corte d’Appello di Messina ha rilevato che l’eccezione di tardività per ultrannualità dello spoglio fosse stata sollevata dagli eredi di N.R. solo nel giudizio di gravame e perciò tardivamente; ha quindi evidenziato come l’interferenza tra il pozzo appartenente agli eredi N. ed il cunicolo drenante che alimenta la vasca di raccolta delle acque nel fondo D. fosse stata accertata dalla CTU espletata, nel senso che l’emungimento del pozzo determinasse una diminuzione della portata del cunicolo drenante; ha affermato allora l’avvenuta dimostrazione dello spoglio per il mancato ricevimento delle acque nel fondo N.; ha ritenuto corretta la reintegra disposta dal Tribunale di Mistretta con alternativa imposizione di eliminare la pompa o di adeguarla in maniera che non possa interferire con la portata del cunicolo drenante. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 – bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

I ricorrenti hanno presentato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

2. Il primo motivo del ricorso di M.T., N.G. e N.V., eredi di N.R. , denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 428 e 591 c.c., degli artt. 2697 e ss. e degli artt. 2727 e ss. c.c.. Viene contestato il mancato accoglimento delle eccezioni di inammissibilità (in quanto già formulata in primo grado) e di infondatezza della reintegrazione, come la sussistenza dell’elemento oggettivo e psicologico dello spoglio, assumendosi che gli eredi N. avessero dimostrato che il pozzo in questione esiste sul loro fondo da almeno sessanta anni.

Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 163, n. 5 (richiesta di prova) c.p.c., nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per contrasto col divieto di doppia presunzione in relazione alla ritenuta prova dello spoglio.

Il terzo motivo di ricorso allega la violazione degli artt. 116 e 342 c.p.c., per omessa valutazione delle prove testimoniali assunte circa l’utilizzo del flusso idrico.

Il quarto motivo di ricorso deduce ancora una violazione degli artt. 116 e 342 c.p.c., stavolta per la “mancanza di motivazione circa la presunta sussistenza dell’elemento soggettivo della volontarietà del comportamento turbativo del possesso altrui”.

Tutte le censure evidenziano palesi difetti dei necessari caratteri di tassatività specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata. Si adducono critiche sovente neppure collocabili nell’ambito di alcuna delle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., denunciando la violazione di legge, in spregio al disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, con un’elencazione in rubrica di norme di diritto asseritamente inosservate non accompagnata dalla specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con ciascuna di tali norme e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità.

I quattro motivi possono essere comunque esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, e si rivelano pure del tutto privi di fondamento.

I ricorrenti ribadiscono considerazioni sull’epoca assai remota cui risalerebbe il pozzo e quindi negano che la modifica dello stato dei luoghi sia recente, ma la decisività di tale considerazioni è ovviamente subordinata al superamento della statuizione della Corte d’Appello di inammissibilità per intempestività della eccezione di ultrannualità dello spoglio. Solo l’ultima parte dell’articolato primo motivo di ricorso si dimostra consapevole della valenza pregiudiziale di tale statuizione, e così oppone che l’eccezione di improponibilità dell’azione possessoria era stata già avanzata nell’atto di costituzione in primo grado, assumendo che il N. si limitasse “ad esercitare, così come ha sempre fatto, i diritti che sono conformi al suo titolo di proprietà”. La decisione resa sul punto dalla Corte d’Appello è tuttavia conforme all’orientamento di questa Corte, che va qui ribadito, secondo il quale, in tema di spoglio, il decorso del termine di decadenza di cui all’art. 1168 c.c., non è rilevabile d’ufficio dal giudice, giacchè, vertendosi in materia di diritti disponibili, deve essere eccepito, ai sensi dell’art. 2969 c.c., dalla parte interessata, ed è quindi soggetto al regime delle preclusioni in primo grado, quanto in appello (ove l’eccezione nuova è preclusa dal disposto dell’art. 345 c.p.c.). La parte, peraltro, nel sollevare l’eccezione, deve manifestare chiaramente la volontà di avvalersi dell’effetto estintivo dell’altrui pretesa ricollegato dalla legge al decorso dell’anno dall’asserito spoglio, sicchè correttamente i giudici del merito hanno escluso che potesse ritenersi implicitamente sollevata l’eccezione di decadenza con la riportata difesa, in cui il convenuto genericamente assumeva di aver da sempre esercitato il proprio diritto di proprietà (Cass. Sez. 2, 16/03/2006, n. 5841; Cass. Sez. 2, 11/11/2011, n. 23718).

Le reiterate denunce di violazioni degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c. sono in realtà finalizzate a censurare (non l’astratta applicazione della regola sull’attribuzione dell’onere della prova, o l’avvenuta decisione sulla base di prove non dedotte dalle parti, o l’attribuzione alle prove raccolte di un regime diverso da quello loro spettante per legge, quanto) un’erronea o incompleta valutazione del materiale istruttorio, profilo che esula ormai da ogni sindacato di legittimità pure con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, visto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, nemmeno il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

E’ invece altrettanto consolidata l’interpretazione di questa Corte per cui, ai fini della configurabilità dello spoglio, il quale costituisce un atto illecito che lede il diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa, obbligando chi lo commette al risarcimento del danno, con l’atto materiale deve coesistere il dolo o la colpa, la cui prova incombe su chi propone la domanda di reintegrazione, mentre rappresenta apprezzamento di fatto – riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’accertamento dell’esistenza dell’indicato elemento soggettivo, ed il possessore non deve provare anche la consapevolezza dell’autore della lesione di aver violato l’altrui diritto, bastando riscontrare la coscienza e volontà dell’autore di compiere l’atto materiale nel quale si sostanzia lo spoglio (Cass. Sez. 2, 28/11/2001, n. 15130; Cass. Sez. 2, 18/02/2008, n. 3955; Cass. Sez. 2, 31/01/2011, n. 2316). Deve riaffermarsi quanto già sostenuto in giurisprudenza, per cui l’acqua sorgiva può ben formare oggetto di possesso, se questo si concreta ed estrinseca in un potere di fatto (corrispondente all’acquisto di un diritto reale) autonomo, diretto ed immediato sulle opere indispensabili per la derivazione e l’utilizzazione dell’acqua; possesso tutelabile con l’azione di spoglio nei confronti di chi, ricorrendone l’elemento soggettivo, apra un pozzo che, alimentato dalla stessa falda sotterranea, riduca la portata della sorgente, non rilevando, in contrario, che le acque sotterranee siano defluenti a notevole distanza dalla sorgente, in quanto il possesso di quest’ultima implica anche quello della falda che l’alimenta (Cass. Sez. 2, 16/12/1987, n. 9338; Cass. Sez. 2, 29/10/1971, n. 3061).

La Corte d’Appello di Messina, nella sentenza impugnata, ha così esplicitato in modo logico ed adeguatamente motivato il proprio convincimento che, in assenza di elementi di segno diverso, ha portato a ritenere N.R. autore dello spoglio per la diminuzione della portata d’acqua del cunicolo drenante che alimenta la vasca di raccolta sita nel fondo D., in conseguenza della realizzazione del pozzo nel fondo N..

Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200=, di cui Euro 290 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 30 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018

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