Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14549 del 12/06/2017

Cassazione civile, sez. un., 12/06/2017, (ud. 11/04/2017, dep.12/06/2017),  n. 14549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26997/2016 proposto da:

M.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SAVERIO

MARINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrente successivo –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA,

depositata in data 13/10/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/04/2017 dal Consigliere D.ssa MAGDA CRISTIANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso del Ministero ed il rigetto del ricorso del M.;

uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini e Giacomo Aiello per

l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Ministero della Giustizia esercitò l’azione disciplinare nei confronti del Dr. M.T. che, nel luglio del 2006, nell’esercizio delle funzioni di giudice delegato presso la sezione fallimentare del Tribunale di Roma, aveva autorizzato il curatore del Fallimento di (OMISSIS) s.r.l., dichiarato l’8.4.99, a cedere il credito IVA, di oltre 400.000 Euro, vantato dalla società poi fallita nei confronti dell’erario, al prezzo di 30.000 Euro, peraltro neppure riscossi.

Furono contestati al Dr. M. gli illeciti di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a) e g), per aver disatteso le disposizioni della L. Fall., artt. 25 e 31, ratione temporis vigenti – che gli imponevano di esercitare compiti di direzione e di vigilanza, sull’operato del curatore – ed aver in tal modo cagionato un danno ingiusto, di rilevante entità, ai creditori concorsuali, consistito nel mancato incasso del credito.

La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza del 13 ottobre 2016, ha dichiarato il Dr. M. responsabile del primo illecito, infliggendogli la sanzione della censura, mente lo ha assolto dal secondo.

Il giudice disciplinare – rilevato che il curatore, con la complicità dell’amministratore della società cessionaria, suo prestanome, aveva riscosso interamente il credito ed era stato poi condannato per il reato di bancarotta fallimentare – ha ritenuto che l’incolpato, pur se totalmente estraneo all’azione delittuosa, ne avesse agevolato la commissione con il suo comportamento negligente, che aveva contribuito in maniera determinante alla produzione del danno subito dai creditori concorsuali, consistente nel mancato incasso delle somme di cui l’erario era debitore verso la fallita.

Ha osservato al riguardo che il credito IVA è sostanzialmente un credito certo nell’an, anche se, in presenza di alcune variabili, non è certo il recupero del suo valore nominale, cosicchè è necessario che gli organi della procedura pongano la maggior cura possibile nella verifica della sua consistenza ed esigibilità, al fine di valutare se sia più conveniente chiederne il rimborso – che è subordinato alla stipulazione di una polizza fideiussoria – ovvero, tenuto conto dei tempi di riscossione, optare per la sua cessione pro soluto, che va comunque preceduta da adeguata pubblicità e deve essere preferibilmente stipulata con una banca o con altro intermediario finanziario.

Ciò premesso, ha escluso che il Dr. M. avesse tenuto una condotta consona ai canoni di diligenza richiestigli nel caso, in quanto: 1) aveva disposto che la pubblicità della cessione venisse effettuata sul periodico (OMISSIS), anzichè su un quotidiano od una rivista specializzati, usualmente consultati dalle società finanziarie che operano nel settore dell’acquisto dei crediti; 2) non aveva fatto precedere la pubblicazione da un’indagine di mercato, al fine di verificare la congruità del prezzo base della cessione; 3) non aveva controllato il testo dell’annuncio, che non riportava neppure il valore nominale del credito, nè si era reso conto che la pubblicità era stata diffusa per un solo giorno; 4) aveva utilizzato le scarse liquidità acquisite all’attivo della procedura per il pagamento di acconti al curatore ed ai legali incaricati di prestazioni di assistenza e di difesa, anzichè per la stipulazione della polizza fideiussoria richiesta dall’erario ai fini del rimborso; 5) aveva rinunciato ad ogni attività utile ad accertare l’effettiva consistenza del credito, affidandosi sul punto unicamente alle valutazioni del curatore; 6) aveva autorizzato la cessione per un importo inferiore al 10% del valore nominale del credito stesso; 7) non si era curato di verificare se il corrispettivo della cessione fosse stato effettivamente versato dalla cessionaria; 8) aveva addotto a giustificazione del proprio comportamento una ragione (l’ammissione dell’amministrazione delle finanze al passivo della procedura per crediti, di importo pressochè equivalente al debito della stessa per IVA, ed opponibili in compensazione) che risultava smentita dal fatto che la cessionaria aveva ottenuto il rimborso e che appariva priva di consistenza anche perchè, indipendentemente dalla sua compensabilità, il credito IVA era comunque destinato a formare la massa attiva del fallimento.

Il giudice disciplinare, accertata la ricorrenza del primo degli illeciti contestati al Dr. M., ha poi affermato che l’addebito ravvisabile nella condotta del magistrato non consisteva nella violazione delle norme di cui alla L. Fall., artt. 25 e 31, per negligenza inescusabile, ma nell’inosservanza dei suoi doveri di correttezza e diligenza, che aveva determinato la mancata adozione dei provvedimenti che avrebbero consentito di evitare il danno dei creditori.

La sentenza è stata impugnata dal Dr. M. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi e illustrato da memoria, e dal Ministero della Giustizia con successivo ricorso, da qualificare incidentale, sorretto da due motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione del art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a) e g), nonchè vizio di illogicità della motivazione.

Il ricorrente rileva che la sentenza lo ha assolto dall’addebito di aver gravemente violato, per negligenza inescusabile, i doveri di direzione e di vigilanza che gli incombevano, quale giudice delegato, ai sensi della L. Fall., artt. 25 e 31 e deduce che tale statuizione si pone in insanabile contrasto con quella di accertamento della sua responsabilità per negligenza, causativa di un danno ai creditori, consistita nel non aver esercitato il dovuto controllo sull’attività del curatore. Sostiene che l’accertata insussistenza degli elementi costitutivi del secondo degli illeciti contestatigli avrebbe dovuto condurre alla sua assoluzione anche dal primo.

2) Una speculare censura è svolta dal Ministero della Giustizia con il primo motivo del ricorso incidentale, nel quale si deduce che il giudice disciplinare, una volta affermata la responsabilità del Dr. M. per l’illecito di cui al capo a), non poteva mandarlo assolto da quello di cui al capo b).

I motivi, esaminabili congiuntamente, devono essere respinti.

Sia l’art. 25, sia l’art. 31 L. Fall., sono norme a contenuto indeterminato, attinenti l’una ai poteri del giudice delegato e l’altra a quelli del curatore, che (nel testo vigente all’epoca dei fatti, anteriore alle modifiche apportatevi dal D.Lgs. n. 5 del 2006, e per ciò che in questa sede interessa), si limita(va)no a prevedere rispettivamente, al comma 1, che “Il giudice delegato (..) vigila l’opera del curatore …” e che “Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato”, senza ancorare i compiti di vigilanza e di direzione del giudice a specifiche regole di condotta.

E’ dunque ben possibile che, nell’adempimento delle proprie funzioni, il giudice delegato venga meno al proprio più generale dovere di diligenza, che gli impone l’uso di una particolare attenzione e ponderatezza nell’indirizzare le scelte del curatore e nell’autorizzarlo al compimento degli atti che questi gli prospetta come maggiormente convenienti per il fallimento, senza che ciò si traduca nella grave violazione delle predette disposizioni, ovvero in comportamenti od omissioni di tale rilevanza da comportare il mancato o il grandemente deficitario esercizio dei suoi poteri di controllo sull’operato dell’organo di gestione della procedura.

Va escluso, pertanto, che la sentenza impugnata sia viziata, sotto il profilo dell’errata applicazione di norme di diritto, laddove, pur accertando il venir meno del Dott. M. alla diligenza ed alla correttezza da lui dovute ai sensi del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 1, ha ritenuto che la sua condotta non integrasse gli estremi dell’illecito di cui al successivo art. 2, lett. g) del D.Lgs. cit.; nè, sul punto, può configurarsi un vizio di contraddittoria motivazione, atteso che il giudice disciplinare ha raggiunto il proprio convincimento all’esito di una completa disamina degli elementi istruttori raccolti, con la conseguenza che la sua valutazione – di un complessivo, inadeguato e poco penetrante controllo del Dr. M. sull’attività del curatore, non connotato però da negligenza inescusabile atta a determinare grave violazione delle norme attributive di tale potere non può essere censurata nella presente sede di legittimità.

3) Il secondo motivo del ricorso principale investe la motivazione in base alla quale il giudice disciplinare ha affermato che il mancato incasso del credito IVA ha cagionato un danno ai creditori.

Il Dr. M. sostiene che il credito non poteva considerarsi esistente, o comunque di entità così rilevante da poter effettivamente danneggiare il fallimento, atteso che allo stato passivo erano stati ammessi crediti tributari per circa 346.000, che avrebbero dovuto essere maggiorati degli interessi, così da giungere ad una somma quasi coincidente con il credito IVA vantato dalla fallita verso l’erario, che dunque sarebbe risultato estinto per compensazione. Ciò premesso, assume che, proprio per tale ragione, egli aveva ritenuto inutile (ed anzi dannoso per la procedura) stipulare la polizza fideiussoria ed aveva optato per la cessione del credito. Aggiunge che la prova che il credito non sarebbe stato rimborsato emergeva da due circostanze documentate, di cui il giudice a quo non avrebbe tenuto conto, ovvero: dalla nota 18.11.2005 con cui l’Agenzia delle Entrate, rispondendo alla domanda di rimborso inoltrata dal curatore tre anni prima, non si era limitata a richiedere la prestazione della garanzia, ma aveva specificato che il pagamento era comunque subordinato alla mancanza di pendenze tributarie in materia di IVA; dall’esito negativo del primo tentativo di vendita del credito in questione, esperito nel 2001, dovuto al suo mancato riconoscimento da parte dell’amministrazione finanziaria, stante il debito maturato da (OMISSIS) per l’omesso versamento di IVA pregressa. Rileva, ancora, che la compensazione avrebbe potuto essere opposta dall’Agenzia delle Entrate anche alla società cessionaria, e che pertanto il fatto che il curatore sia riuscito, per il tramite di questa, ad ottenere il rimborso non è altrimenti spiegabile se non ipotizzando un macroscopico errore dell’amministrazione od il concorso di un suo dipendente nella commissione del reato. Assume, inoltre: che la scelta di effettuare la pubblicità sul periodico (OMISSIS) trovava la sua ragion d’essere nella scarsa entità del credito e nella gratuità dell’annuncio; che era del tutto normale che la pubblicità non recasse l’indicazione del valore nominale del credito IVA, atteso che – come era in effetti avvenuto – gli interessati all’acquisto potevano rivolgersi al curatore per ottenere maggiori informazioni; che il mezzo era risultato idoneo allo scopo, ma che le altre società che avevano contattato il curatore avevano formulato offerte inferiori a quella della cessionaria ed avevano rifiutato di partecipare ad una gara per l’aggiudicazione; che, tenuto conto della sicura compensabilità del credito, la nomina di un consulente per la sua valutazione sarebbe stata antieconomica e che, comunque, non v’erano motivi per diffidare del curatore, che era un commercialista. Contesta, infine, che possa essergli addebitato di non aver controllato l’avvenuto versamento del prezzo della cessione, intervenuta con scrittura privata del 19.9.2006, in quanto nel gennaio dell’anno successivo egli era stato assegnato ad altra sezione del tribunale.

4) Con il terzo motivo il Dr. M. si duole del rigetto della sua domanda subordinata, con la quale aveva chiesto l’applicazione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, per la scarsa rilevanza del fatto.

5) Con il secondo motivo del ricorso incidentale il Ministero lamenta, anche in questo caso muovendo da una prospettiva contrapposta a quella del ricorrente principale, che il giudice disciplinare, dopo aver ripetutamente affermato che il danno subito dai creditori era di ingente ammontare, abbia inflitto al Dr. M. la sola sanzione della censura, così violando del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 12, comma 2, lett. a), che prevede l’applicazione di una sanzione non inferiore alla perdita dell’anzianità per i comportamenti che, violando i doveri di cui all’art. 1, arrecano grave danno ad una delle parti.

6) I motivi, che attengono alla medesima questione e meritano trattazione congiunta, devono essere respinti., anche se va parzialmente corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione che sorregge i capi della sentenza con essi impugnati.

Va intanto ribadita l’inammissibilità delle ragioni di doglianza con le quali il ricorrente principale, pur se nell’ambito del secondo mezzo, richiede a questa Corte una diversa valutazione dei fatti in base ai quali il giudice del merito ha accertato che egli era venuto meno ai propri doveri di diligenza.

Quanto al tema in discussione, sia l’assunto del Dr. M., secondo cui, nella specie, i creditori concorsuali non avrebbero subito alcun danno, od, eventualmente, solo un danno di lievissima entità, stante la compensabilità del credito IVA del fallimento con i controcrediti dell’amministrazione delle finanze ammessi al passivo, sia l’assunto del Ministero, secondo cui il danno, determinabile in misura pari all’intero valore del credito non rimborsato, sarebbe invece grave, si rivelano infondati.

Il ricorrente incidentale – incorrendo nel medesimo errore che inficia il ragionamento logico del giudice disciplinare – non considera, infatti, che la compensabilità dei contrapposti crediti e debiti erariali era certa e che l’eccezione di compensazione era indubbiamente opponibile anche alla società cessionaria. Non v’era, in sostanza, alcuna ragionevole aspettativa di integrale riscossione del credito IVA, ed il danno subito dai creditori concorsuali non può essere determinato in misura pari al suo valore nominale solo perchè il curatore è riuscito ad ottenerne il rimborso: come correttamente rilevato dal Dr. M., il successo del piano fraudolento architettato dal curatore non può essere altrimenti spiegato se non ipotizzando un macroscopico errore dell’amministrazione finanziaria o la complicità di un dipendente della stessa, fatti entrambi non collegati da nesso di causalità alla condotta addebitatagli.

Non per questo, tuttavia, può giungersi alla conclusione che detta condotta non sia stata produttiva di alcun danno, o di un danno di entità irrilevante.

In proposito, va in primo luogo rilevato che, come riconosciuto dallo stesso ricorrente principale, i crediti dell’erario ammessi al passivo erano di importo inferiore (per circa 60.000 Euro) al credito IVA di (OMISSIS) e che non risulta che si trattasse di crediti interamente, od anche solo in parte, privilegiati, e perciò da maggiorare degli interessi L. Fall., ex art. 55: ne consegue che, una volta operata la compensazione, sarebbe comunque residuato un credito della fallita di ammontare non esiguo, la cui acquisizione all’attivo non poteva ritenersi indifferente per i creditori.

In ogni caso, ed il rilievo risulta dirimente, il danno non potrebbe essere determinato in un ammontare inferiore alla somma (anch’essa certamente non esigua) di Euro 30.000, corrispondente al prezzo della cessione mai corrisposto dalla cessionaria: il periodo di quattro mesi intercorso fra la stipulazione dell’atto ed il trasferimento del Dr. M. ad altra sezione era infatti più che sufficiente a consentire al giudice di operare i dovuti controlli (tanto più che nel vigore della L. Fall., anteriore alla riforma il curatore era tenuto a depositare una relazione mensile dei risultati della sua amministrazione), e ad attivarsi al fine dell’esperimento delle iniziative necessarie alla tutela delle ragioni del fallimento.

Il rigetto di entrambi i ricorsi giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

PQM

 

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2017

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