Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14546 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 09/07/2020), n.14546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo A. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11420/2019 proposto da:

J.L., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Cristina Martini, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

Avverso il decreto n. 1729/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato

il 01/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

J.L., nato in (OMISSIS), propone ricorso per cassazione con due mezzi avverso il decreto del Tribunale di Venezia che ha respinto la domanda proposta del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, di protezione internazionale in tutte le sue forme, già denegata dalla Commissione territoriale. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese, ove simpatizzava per il partito UDP che si opponeva la dittatore Ja., perchè aveva subito delle minacce da parte di aderenti al partito avverso, tra cui quella di perdere il lavoro di benzinaio; nonostante avesse deciso di lasciare questo lavoro di sua iniziativa, tempo dopo era stato arrestato per furto di gasolio assieme ad altre persone e rilasciato dietro pagamento di una cauzione; avendo ricevuto minacce di morte da parte dei (OMISSIS), della stessa etnia di Ja., e temendo l’arresto aveva deciso di fuggire dal Gambia.

Il Tribunale ha ritenuto che le ragioni esposte in merito all’allontanamento dal Gambia non erano credibili, rivelando la contraddittorietà e la genericità di quanto riferito.

Ha, quindi, escluso, stante anche la non credibilità del suo racconto, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non ravvisando persecuzioni per motivi di razza, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, e della protezione sussidiaria, non ritenendo che ricorresse, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il rischio grave di morte o di assoggettamento a trattamenti inumani e degradanti, e non ravvisando – sulla scorta dell’esame delle fonti accreditate (Amnesty International 2015-2016; EASO 2017) – a seguito dell’elezione del Presidente A.B., una situazione di violenza generalizzata nella regione del Paese di provenienza del richiedente, tale da porre in pericolo la vita di un civile a cagione della sua presenza nel territorio dello Stato rilevante ex ahiedente la ricorrenza di una situazione personale di vulnerabilità specifica e non emergendo rilevanti condizioni di integrazione in Italia, attesa la scadenza del contratto di lavoro ben prima dello svolgimento dell’udienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

A parere del ricorrente il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non credibile e contraddittorio il suo racconto sulle ragioni di fuga, dall’altro non avrebbe considerato che la situazione socio/politica del Gambia non si era ancora normalizzata.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver considerato elementi oggettivi e soggettivi al fine del riconoscimento della protezione umanitaria, lamentando la mancata valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente, della condizione di vulnerabilità del ricorrente e la errata motivazione sulla mancanza di integrazione.

3. I due motivi, da trattatati congiuntamente per connessione, sostanzialmente presuppongono la credibilità del ricorrente e confliggono, pertanto, con l’accertamento di non credibilità del narrato compiuto dal Tribunale, che non risulta specificamente impugnato.

4. I motivi sono inammissibili perchè, lungi dal confrontarsi con la

statuizione di non credibilità circa le ragioni della fuga, sollecitano un sindacato di fatto conforme alla personali aspettative del ricorrente, inammissibile in sede di legittimità.

Nel caso di specie, peraltro, la motivazione circa il giudizio di non credibilità senz’altro possiede i requisiti del minimo costituzionale ed il ricorrente, criticando la decisione assunta, non ha tuttavia indicato alcun fatto di cui sia stato omesso l’esame, di guisa che la censura non risponde nemmeno al modello legale del vizio motivazionale, attraverso il quale avrebbe potuto essere criticato l’accertamento in fatto compiuto dal Tribunale e si palesa del tutto generica (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

A ciò va aggiunto che, in materia di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) – oggetto del primo motivo di ricorso -, ove il vaglio di credibilità soggettiva, condotto alla stregua dei criteri indicati nell’art. 3, comma 5, del D.Lgs. cit., abbia avuto esito negativo, trova applicazione il principio secondo il quale l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine (cfr. Cass. n. 15794 del 12/06/2019; Cass. n. 4892 del 19/02/2019).

Quanto alla domanda di protezione umanitaria, il Tribunale la ha motivatamente respinta in quanto ha escluso sia la ricorrenza di una condizione di vulnerabilità specifica, per la carenza di attendibili informazioni circa la personale condizione di vita nel Paese di origine, stante la non credibilità del ricorrente, che la sussistenza di integrazione sociale in Italia, in ragione della occasionalità delle attività riferite (attività lavorativa a tempo determinato, oramai cessata) e la decisione appare in linea con i principi enunciati da Cass. n. 4455 del 23/2/2018: a fronte di ciò, la censura configura una pura e semplice critica di merito riguardante l’accertamento di fatto della insussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa, nè il ricorrente ha precisato se e in quali termini altre circostanze di fatto decisive e la situazione del paese di origine siano state dedotte, nel giudizio di merito, a fondamento della domanda di protezione umanitaria.

5. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensive del resistente.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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