Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14544 del 15/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 15/07/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 15/07/2016), n.14544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28089/2011 R.G. proposto da:

M.G., c.f. (OMISSIS), rappresentato e difeso in virtu’ di

procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Franco Tului ed

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Antonio Stoppani, n. 34,

presso lo studio dell’avvocato Adriano Aureli;

– ricorrente –

contro

C.A., c.f. (OMISSIS) (quale erede di Ma.An.),

rappresentato e difeso in virtu’ di procura speciale a margine del

controricorso dall’avvocato Salvatore Onnis ed elettivamente

domiciliato in Roma, al Lungo Tevere dei Mellini, n. 10, presso lo

studio dell’avvocato Filippo Castellani;

– controricorrente –

e

L.D. c.f. (OMISSIS), L.D. – c.f. (OMISSIS) –

L.P. – c.f. (OMISSIS) – (quali eredi di L.D.

senior, a sua volta erede di Ma.Ce.), rappresentati e difesi

in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso

dall’avvocato Sandra Macis ed elettivamente domiciliati in Roma,

alla via Giulio Venticinque, n. 23, presso lo studio dell’avvocato

Paolo Urbani;

– controricorrenti –

e

F.P. (quale erede di M.A.) e L.G. (quale

erede di L.D. senior, a sua volta erede di Ma.Ce.).

– intimati –

avverso la sentenza n. 287 dei 10.6/15.7.2011 della corte d’appello

di Cagliari;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 7

aprile 2016 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Adriano Aureli, per delega dell’avvocato Franco

Tului, per il ricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per la declaratoria

di inammissibilita’, in subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 15.5.1998 M.G. citava a comparire innanzi al tribunale di Cagliari Ma.An., Ma.Ce. e L.D., quest’ultimo in proprio ed in qualita’ di tutore di Ma.An..

Esponeva che da oltre trent’anni, segnatamente a decorrere dal 1967, possedeva in via continuativa ed in maniera esclusiva taluni fondi in agro di (OMISSIS), terreni per i quali solo formalmente perdurava l’intestazione a nome di Ma.An. e Ce..

Esponeva in particolare che “aveva utilizzato, anche attraverso terzi, e coltivato tutti i terreni per cui e’ causa, senza rendere conto alcuno in ordine al loro godimento (…) e senza avere mai (…) corrisposto alcunche’ a titolo di canone ovvero a qualsiasi diverso titolo ne’ alle Ma. ne’ al L.” (cosi’ ricorso, pagg. 7 – 8).

Esponeva dipoi che L.D., quale procuratore generale delle convenute, a sua volta ed in precedenza lo aveva citato a comparire dinanzi alla sezione specializzata agraria del tribunale di Cagliari, aveva in quella sede dedotto di avergli concesso in affitto gli stessi fondi ed aveva chiesto la sua condanna alla restituzione dei terreni previo accertamento dell’intervenuta scadenza del contratto; che, dal canto suo, aveva eccepito l’intervenuto acquisto per usucapione, sicche’ il giudizio dinanzi alla sezione agraria con provvedimento dell’8.6.1998 era stato sospeso.

Chiedeva pertanto che il tribunale acclarasse l’avvenuto acquisto per usucapione da parte sua dei terreni de quibus.

Costituitisi, i convenuti instavano per il rigetto delle avverse domande.

All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 2593/2007 il giudice adito dichiarava il difetto di legittimazione di L.D. a resistere in proprio, rigettava la domanda dell’attore, dichiarava la propria incompetenza e la competenza della sezione specializzata agraria del tribunale di Cagliari limitatamente alla domanda relativa ai miglioramenti, condannava l’attore alle spese di lite.

Interponeva appello M.G..

Resistevano L.D., in proprio e quale erede di Ma.Ce., nonche’ Ma.An., rappresentata dal tutore C.A..

Con sentenza n. 287 dei 10.6/15.7.2011 la corte d’appello di Cagliari accoglieva parzialmente il gravame ed, in parziale riforma del primo dictum, dichiarava la sopravvenuta legittimazione passiva di L.D. quale erede universale di Ma.Ce., confermava in ogni altra sua parte la gravata sentenza e condannava l’appellante alle spese del grado.

Esplicitava la corte distrettuale che il tribunale aveva “affermato correttamente, sulla base di quanto emerso dall’interrogatorio formale e da quello libero di M.G., dalle deposizioni dei testi e dalla documentazione prodotta dalle parti, che nel caso di specie era necessario ai fini dell’usucapione un atto di interversione del possesso e che esso non era stato posto in essere quanto meno fino al momento del rifiuto a restituire i fondi” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 18).

Esplicitava altresi’ che “dal complesso delle dichiarazioni rese nei diversi momenti dall’impugnante (…) emerge che questi ha indubbiamente riconosciuto di avere iniziato a detenere i fondi in virtu’ di un contratto associativo agrario” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 20); che invero gli elementi indicati dal M. erano “quelli tipici del contratto di soccida o comunque di tipo associativo” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 21), sicche’ in nessun altro modo alternativo era “qualificabile il rapporto intercorso fra il M., secondo le sue ammissioni, con le Ma. – L.” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 21); che al contempo l’appellante aveva “ammesso, in sede (…) di interrogatorio formale, che il rapporto associativo era stato modificato, era divenuto differente, senza precisare esattamente i termini della sua modifica” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 21); che nondimeno tale affermazione induceva ad escludere che non fosse esistito “piu’ alcun rapporto con i convenuti per lo sfruttamento, per l’utilizzazione dei terreni” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 21); che del resto l’appellante aveva “parlato di terreni che gli erano stati promessi e (…) fatto riferimento ad un’aspettativa relativa alla futura acquisizione della proprieta’” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 22).

Esplicitava inoltre che era destituito di fondamento il quarto motivo d’appello, con cui era stata censurata la prima statuizione nella parte in cui non aveva pronunciato in ordine alla sollecitata revoca dell’ordinanza con la quale era stata ammessa la prova testimoniale articolata dagli originari convenuti; che conseguentemente le dichiarazioni dall’appellante rese nel corso degli interrogatori trovavano riscontro nelle affermazioni dei testi – di parte appellata – O.F. e L.F.; che d’altra parte l’esistenza di un eventuale contrasto tra l’appellante ed il teste Lisci non era idonea a determinare “incapacita’ a deporre ed art. 246 c.p.c., ma semmai puo’ incidere sulla valutazione di attendibilita’ del testimone da valutare in relazione ai caratteri della sua deposizione” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 26).

Esplicitava ancora che Ma.An. era stata interdetta e stava in giudizio in persona del suo tutore, L.D. senior, sicche’ correttamente il tribunale non aveva tenuto conto della sua mancata comparizione onde rendere formale interrogatorio; che a sua volta il tutore aveva reso il formale interrogatorio, nel corso del quale aveva fatto “riferimento sia a situazioni che lo riguardavano personalmente come procuratore delle sorelle Ma. sia a situazioni che riguardavano la cognata” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 27); che per altro verso le dichiarazioni rese dai testimoni addotti dall’attore erano “per lo piu’ intrinsecamente contraddittorie o in contrasto fra loro, alcune trovano la loro fonte nelle rilevazioni fatte dal medesimo appellante, come tali non considerabili al fine di decidere perche’ provenienti dalla medesima parte alla quale giovano, o sono caratterizzate da estrema genericita’ della circostanza riferita” (cosi’ sentenza d’appello, pagg. 27 – 28).

Esplicitava ulteriormente che “incombeva all’attore provare l’intervenuta interversione del possesso ex art. 1141 c.c. e di avere avuto un rapporto materiale con i fondi quale possessore uti dominus (…) e non quale detentore qualificato” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 30).

Esplicitava, in particolare, che gli atti finalizzati alla realizzazione di opere strumentali e funzionali alla coltivazione dei fondi ben potevano esser considerati come espressione di una detenzione qualificata, quale quella derivante da un rapporto contrattuale agrario; che “i documenti che (…) sarebbero maggiormente significativi per dimostrare il possesso sono stati formati a decorrere dagli anni 80/84, quindi solo circa 16 anni prima dell’instaurazione della causa agraria (1996) e della richiesta di restituzione degli immobili da parte delle convenute e dell’opposizione del rifiuto del M.” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 31); che unicamente a decorrere dal 1981 l’appellante aveva indicato i terreni nella dichiarazione dei redditi; che comunque la valutazione delle deposizioni testimoniali operata dal primo giudice era corretta, giacche’ dal loro complesso non era “desumibile la prova dell’esercizio di un possesso utile ad usucapire per 20 anni, neppure in correlazione con la documentazione prodotta” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 32).

Esplicitava infine in ordine al quinto motivo d’appello – con cui si era censurata la prima statuizione nella parte in cui aveva reputato sussistente la competenza della sezione specializzata agraria limitatamente alla domanda esperita in via subordinata e diretta ad ottenere il rimborso delle spese nonche’ il pagamento dell’indennizzo per i miglioramenti e per le addizioni apportate ai fondi – che il primo giudice, “ritenuta (…) la sussistenza (…) di un contratto agrario non poteva affermare la propria competenza” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 43) ne’ rivestiva valenza la circostanza che l’appellante aveva addotto la sua qualita’ di possessore di buona fede.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.G.; ne ha chiesto sulla scorta di diciotto motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

C.A., quale erede di Ma.An., ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

L.D., L.D. e L.P., quali eredi di L.D. senior (a sua volta erede di Ma.Ce.) del pari hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con vittoria delle spese.

L.G. (quale erede di L.D. senior, a sua volta erede di Ma.Ce.) e F.P. (quale erede di Ma.An.) non hanno svolto difese.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione degli artt. 2710, 2182, 2186 e 1141 c.c., L. n. 11 del 1971, art. 24, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (cosi’ ricorso, pag. 13).

Adduce che l’errore di diritto in cui e’ incorsa la corte d’appello consiste “nell’aver ritenuto che la configurabilita’ nella specie di un contratto di soccida escludesse in re ipsa il possesso dei terreni” (cosi’ ricorso, pag. 14); che difatti la soccida “si limita a disciplinare lo sfruttamento del bestiame in forma associata ma (…) non contempla i terreni” (cosi’ ricorso, pag. 14); che in ogni caso “dal momento nel quale il (ritenuto) rapporto di soccida si e’ interrotto, la mancata restituzione dei fondi, protratta nel tempo, ha determinato, di per se’, l’interversione del possesso non vertendosi in alcun caso di trasformazione (…) del contratto in affitto” (cosi’ ricorso, pag. 16).

Con il secondo motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 17).

Adduce che alla stregua delle circostanze denunciate con il primo motivo si prospetta al contempo il vizio di incongrua motivazione.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione dell’art. 229 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (cosi’ ricorso, pag. 18).

Adduce che la corte di merito, benche’ “riconosce che l’interrogatorio libero non possa rivestire valenza confessoria” (cosi’ ricorso, pag. 20), vi ha nondimeno attribuito “proprio tale valenza” (cosi’ ricorso, pag. 20), ne’ in pari tempo ha indicato “quali fossero gli altri elementi di prova gia’ acquisiti, in base ai quali fosse giustificato il ricorrere agli elementi di convincimento contenuti nell’interrogatorio libero” (cosi’ ricorso, pag. 20).

Con il quarto motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cosi’ ricorso, pag. 21).

Adduce che alla stregua delle circostanze denunciate con il terzo motivo si prospetta al contempo il vizio di omessa, deficitaria ovvero incongrua motivazione.

Con il quinto motivo il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., artt. 2721 e 2724 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (cosi’ ricorso, pag. 45).

Adduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte distrettuale, il capitolo n. 5) dell’avversa prova testimoniale era inammissibile, “in quanto non avente ad oggetto fatti specifici bensi’ generici” (cosi’ ricorso, pag. 48); che “inammissibile era la qualificazione del L. quale procuratore, introdotta nel capo, posto che tale qualificazione non veniva provata attraverso fatti” (cosi’ ricorso, pag. 48); che parimenti erano generici i capitoli n. 6), n. 7), n. 8), n. 9), n. 10) e n. 13) dell’avversa prova; che in sede di interrogatorio formale L.D. aveva riferito che il contratto di affitto era stato stipulato per iscritto e tale circostanza rendeva inammissibili i capitoli n. 6) e n. 7) dell’avversa prova sia in relazione al disposto dell’art. 2721 c.c. sia in relazione al disposto dell’art. 2724 c.c..

Con il sesto motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 54).

Adduce che alla stregua delle circostanze denunciate con il quinto motivo si prospetta in pari tempo il vizio di incongrua motivazione.

Con il settimo motivo il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione degli artt. 2735 e 2721 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (cosi’ ricorso, pag. 55).

Adduce che la corte territoriale ha violato l’art. 2735 c.c., allorche’ ha equiparato le “dichiarazioni della parte al teste che le riferisce in sede di deposizione, con la figura della confessione stragiudiziale” (cosi’ ricorso, pag. 60).

Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria ed omessa motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 61).

Adduce che la sentenza impugnata attribuisce senza motivazione alcuna valenza confessoria ad una proposta di definizione stragiudiziale “nella quale non soltanto manca qualsiasi riconoscimento del diritto di proprieta’ in capo ai convenuti ma, al contrario, si riafferma il diritto ad invocare l’intervenuta usucapione” (cosi’ ricorso, pag. 61).

Con il nono motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria ed omessa motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 62).

Adduce che la corte d’appello in nessun modo ha motivato in ordine all’attendibilita’ del teste L.F. “a fronte dell’ammissione circa la grave inimicizia determinata dal licenziamento in relazione alla (…) insanabile contraddizione tra le riportate contrastanti affermazioni del teste” (cosi’ ricorso, pag. 64).

Con il decimo motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria ed omessa motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 64).

Adduce che sono contraddittori gli assunti sulla cui scorta la corte di merito basa il giudizio di inattendibilita’ dei testi addotti da egli ricorrente.

Con l’undicesimo motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria ed omessa motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 66).

Adduce che la statuizione impugnata ha omesso ogni motivazione in ordine alla circostanza, per nulla contestata, “per la quale le convenute non ebbero mai ad indicare, nelle proprie dichiarazioni dei redditi alcuno dei terreni per i quali oggi e’ causa, mentre i terreni (…) sono sempre stati dichiarati dal M.” (cosi’ ricorso, pag. 67); e cio’ tanto piu’ alla luce delle dichiarazioni rese dal teste S.G..

Con il dodicesimo motivo il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione degli artt. 232 e 357 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (cosi’ ricorso, pag. 68).

Adduce che Diego L. “non ha risposto all’interrogatorio formale nella propria qualita’ di tutore di M.A.” (cosi’ ricorso, pag. 69); che, in particolare, ne’ all’udienza del 29.3.2000, allorquando venne sentito unitamente alla moglie, Ma.Ce., ne’ all’udienza del 14.7.2000, come risulta dal relativo verbale, “ha agito in rappresentanza della M.A.” (cosi’ ricorso, pag. 69); che, conseguentemente, non possono imputarsi alla rappresentata interdetta, M.A., “atti nei quali il tutore non abbia espressamente menzionato la detta propria qualita’ e, dunque, di rappresentante dell’interdetto” (cosi’ ricorso, pag. 69); che le mancate risposte all’interrogatorio, debitamente reputate come tali, avrebbero integrato esplicito riconoscimento sia in ordine all’animus possidendi, sia in ordine alla valenza degli atti di possesso quali utili ai fini dell’usucapione.

Con il tredicesimo motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria ed omessa motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 78).

Adduce che la corte distrettuale non ha specificato la natura del rapporto giuridico in cui l’iniziale rapporto associativo agrario si sarebbe trasformato; che, pur a suppone che l’originario contratto si sia trasformato in un contratto di affitto, “la prova del contratto di affitto deve essere fornita da chi intenda avvalersene provando: i beni oggetto del contratto, la consegna degli stessi; il corrispettivo determinato versato come canone” (cosi’ ricorso, pagg. 82 – 83); che, segnatamente, nessuno dei testi di controparte ha riferito le circostanze anzidette; che “la Corte, pertanto, afferma l’esistenza di un titolo di detenzione dei fondi in lite in difetto della prova su alcun rapporto di affitto tra l’attore ed i convenuti e su questo errato presupposto (…) esclude il possesso uti dominus dell’attore sia la natura di atti di interversione delle opere edilizie poste in essere sui fondi medesimi” (cosi’ ricorso, pag. 92).

Con il quattordicesimo motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria ed omessa motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 124).

Adduce che il riscontro, alla stregua della documentazione prodotta, del decorso di un lasso temporale pari quanto meno a sedici anni non era affatto privo di rilievo, “atteso che la causa (…) ha ad oggetto l’usucapione quindicennale” (cosi’ ricorso, pag. 129).

Con il quindicesimo motivo il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione degli artt. 1141, 1142 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (cosi’ ricorso, pag. 130).

Adduce che il suo rapporto con i fondi non e’ contestato e che la permanenza sui fondi da parte sua “successivamente alla cessazione del rapporto di gestione del bestiame integra possesso valido all’usucapione” (cosi’ ricorso, pag. 130); che conseguentemente sia ad identificare con l’anno 1966 – siccome si desume dalle dichiarazioni rese da Ma.Ce. in sede di interrogatorio formale – sia ad identificare con l’anno 1976 – siccome si desume dalle dichiarazioni rese da L.D. senior in sede di interrogatorio formale – il dies a quo del possesso ad usucapionem, sarebbe spettato alle controparti e non certo ad egli ricorrente la dimostrazione dell’asserito contratto di affitto.

Con il sedicesimo motivo il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione degli artt. 1141, 1142 e 2943 c.c. e dell’art. 1159 bis c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (cosi’ ricorso, pag. 133).

Adduce che il possesso ad usucapionem ha avuto inizio quanto meno sedici anni prima dell’instaurazione della controversia innanzi alla sezione specializzata agraria del tribunale di Cagliari, ne’ risulta che i convenuti abbiano interrotto il corso dell’usucapione; che di conseguenza andava riconosciuto l’intervenuto acquisto per usucapione ai sensi dell’art. 1159 bis c.c., atteso che in tal senso era stata formulata specifica domanda.

Con il diciassettesimo motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria ed omessa motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 136).

Adduce che i quindici anni di cui all’art. 1159 bis c.c., sono interamente decorsi, sia a computarli dal momento in cui “aveva indicato i terreni nelle proprie dichiarazioni dei redditi, vale a dire a decorrere dal 1981” (cosi’ ricorso, pagg. 136 – 137), sia computarli dal momento in cui, negli anni 90, aveva inoltrato al Genio Civile documentazione per la ricerca di acque sotterrane e per la trivellazione del pozzo.

Con il diciottesimo motivo il ricorrente deduce “vizio di motivazione (contraddittoria ed omessa motivazione) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” (cosi’ ricorso, pag. 137).

Adduce che, relativamente al rigetto del quinto motivo di appello – con cui aveva censurato la statuizione di primo grado per omessa pronuncia in ordine alla domanda volta a conseguire il rimborso delle spese nonche’ l’indennizzo per i miglioramenti e le addizioni apportate ai fondi – che “non e’ stata fornita la prova della trasformazione del rapporto agrario di tipo associativo in affitto (…) non avendo alcuno dei testi della parte convenuta confermato il pagamento del canone” (cosi’ ricorso, pagg. 138 – 139); che, percio’, “non vi era ragione o motivo per non istruire la causa con l’accertamento del valore dei miglioramenti eseguiti (…) e riconosciuti dai convenuti” (cosi’ ricorso, pag. 139).

Si premette che pur il primo motivo si specifica e si qualifica in relazione alla previsione del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (si condivide, dunque, la prospettazione dei controricorrenti L. secondo cui “sotto l’apparenza di una censura di diritto, il ricorrente vorrebbe introdurre una rivisitazione nel merito delle risultanze di fatto emerse nell’istruttoria”: cosi’ controricorso L., pag. 6).

Occorre tener conto, da un lato, che M.G., anche col primo motivo, censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso (“la soccida doveva ritenersi conclusa circa venti anni fa. Non avendo i convenuti, sui quali soli incombeva il relativo onere della prova, dimostrato in alcun modo che i terreni de quibus fossero stati concessi (…) in affitto, il Giudice a quo (…)”: cosi’ ricorso, pag. 17).

Occorre tener conto, dall’altro, che e’ propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione).

Si svela pertanto la stretta connessione che intercorre tra il primo ed il secondo motivo, si’ da giustificarne l’esame contestuale.

I medesimi motivi comunque sono immeritevoli di seguito.

Si osserva innanzitutto che il rilievo, tra gli altri, del ricorrente secondo cui la qualificazione del contratto in guisa di soccida e’ arbitraria, poiche’ a tal fine “sarebbe occorsa l’inequivoca prova del conferimento dei fondi quale prestazione del contratto” (cosi’ ricorso, pag. 15), non si correla puntualmente alla ratio decidendi.

Invero la corte d’appello, alla luce degli elementi indicati dallo stesso ricorrente, ha opinato lato sensu per la sussistenza di un contratto agrario di tipo associativo (cfr. sentenza d’appello, pag. 21).

Si osserva in ogni caso quanto segue.

Da un canto, che i passaggi motivazionali salienti (“era necessario ai fini dell’usucapione un atto di interversione del possesso e che esso non era stato posto in essere quanto meno fino al momento del rifiuto a restituire i fondi”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 18; il M. “ha inoltre ammesso, in sede (…) di interrogatorio formale, che il rapporto associativo era stato modificato, era divenuto differente, senza precisare esattamente i termini della sua modifica”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 21; il che induceva ad escludere che non fosse esistito “piu’ alcun rapporto con i convenuti per lo sfruttamento, per l’utilizzazione dei terreni”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 21) risultano in toto ineccepibili, siccome ancorati ad uno scrutinio delle risultanze istruttorie inappuntabile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente esaustivo e congruo sul piano logico.

Dall’altro, che coi motivi in disamina il ricorrente – in fondo – null’altro prospetta se non un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei dati acquisiti (“dal momento nel quale il (ritenuto) rapporto di soccida si e’ interrotto, la mancata restituzione dei fondi, protratta nel tempo, ha determinato, di per se’, l’interversione del possesso non vertendosi in alcun caso di trasformazione (rectius di conversione) del contratto in affitto”: cosi’ ricorso, pag. 16).

I motivi, quindi, involgono gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

I motivi de quibus, pertanto, si risolvono in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e percio’ in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita’ del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

Si giustifica analogamente l’esame congiunto del terzo e del quarto motivo di ricorso. Parimenti i motivi anzidetti non meritano seguito.

Si evidenzia – siccome del resto ha messo in luce anche la corte di merito (cfr. sentenza d’appello, pag. 20) – che le dichiarazioni rese dalla parte nell’interrogatorio libero di cui all’art. 117 c.p.c., pur non essendo un mezzo di prova, possono essere fonte, anche unica, del convincimento del giudice di merito, al quale e’ riservata la valutazione, non censurabile in sede di legittimita’, se congruamente e ragionevolmente motivata, della loro concludenza ed attendibilita’ (cfr. Cass. 26.5.2000, n. 7002; Cass. 3.9.1994, n. 7644). Evidentemente e a fortiori le dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio possono costituire la piattaforma della decisione del giudice del merito, allorche’ siano corroborate da ulteriori elementi di prova (cfr. Cass. sez. lav. 10.1.1990, n. 23).

Si evidenzia su tale scorta nel caso di specie che, contrariamente all’assunto del ricorrente, la corte distrettuale ha condiviso il dictum del primo giudice (“giustamente il primo giudice ha attribuito rilevanza decisiva alle risposte rese dall’appellante nel corso dei due interrogatori”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 18), che aveva, a sua volta, argomentato non solo alla stregua delle risultanze dell’interrogatorio libero, ma pur delle risultanze dell’interrogatorio formale reso da M.G.. Ed, ulteriormente, che la corte territoriale ha suffragato gli esiti degli interrogatori resi dal M. alla stregua innanzitutto delle dichiarazioni dei testi O.F. e L.F. (cfr. sentenza d’appello, pagg. 24 – 26).

Si evidenzia, d’altro canto, in relazione alla prospettazione del ricorrente, secondo cui la corte cagliaritana ha omesso di motivare sulle risposte rese dai convenuti in sede di interrogatorio formale, risposte merce’ le quali le controparti “hanno ammesso i fatti dedotti” (cosi’ ricorso, pag. 44), che, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non e’ tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).

Strettamente correlati sono anche il quinto ed il sesto motivo; il che ne suggerisce il vaglio simultaneo.

I predetti motivi comunque sono destituiti di fondamento.

Si rappresenta, per un verso, che l’accertamento della specificita’ della formulazione dei capitoli di prova involge un giudizio di fatto sottratto al sindacato di legittimita’ quando e’ sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 4.2.1969, n. 356; Cass. 19.2.1997, n. 1513).

In questi termini si rileva che la corte d’appello ha ampiamente e congruamente e, dunque, ineccepibilmente dato conto della infondatezza della censura di inammissibilita’ e genericita’ dei capitoli della prova testimoniale degli originali convenuti (cfr. sentenza d’appello, pagg. 22 – 24).

E cio’ tanto piu’ che’ questa Corte spiega che, al fine della ammissione della prova testimoniale, l’indagine del giudice di merito sui requisiti di specificita’ e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante, va condotta non soltanto alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in correlazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti, nonche’ tenendo conto della facolta’ di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi ai sensi dell’art. 253 c.p.c. (cfr. Cass. 29.2.1995, n. 10272; cfr. Cass. sez. lav. 20.4.1995, n. 4426, secondo cui la disposizione dell’art. 244 c.p.c., sulla necessita’ di un’indicazione specifica dei fatti da provare per testimoni non va intesa in modo rigorosamente formalistico, ma in relazione all’oggetto della prova, cosicche’, qualora questa riguardi un comportamento o un’attivita’ che si frazioni in circostanze molteplici non elencate in modo preciso, e’ sufficiente precisare la natura di detto comportamento o di detta attivita’ (fermo restando che nell’interpretazione del significato e della portata delle deduzioni probatorie occorre tenere presente la loro finalita’, in relazione alla concreta materia del contendere), in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova, attraverso la deduzione e l’accertamento di attivita’ o comportamenti di carattere diverso; d’altra parte, una volta che i fatti sono indicati nei loro estremi essenziali, spetta al difensore e al giudice, durante l’esperimento del mezzo istruttorio, l’eventuale individuazione dei loro dettagli).

Si rappresenta, per altro verso, in ordine alla denunciata violazione degli artt. 2721 e 2724 c.c., in primo luogo che i controricorrenti hanno eccepito la novita’ della deduzione, “formulata per la prima volta in questa sede di legittimita’” (cosi’ controricorso L., pag. 16; cfr. controricorso C., pag. 11); in secondo luogo che la stipulazione per iscritto del contratto di affitto e’ circostanza emersa nel corso dell’interrogatorio di L.D. senior; in terzo luogo che in caso di affitto a coltivatore diretto, ossia a conduttore non “capitalista” (e’ il caso di specie), trova applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 41, a norma del quale (in deroga alla disciplina codicistica, che, all’art. 1350, n. 8), per i contratti di locazione di immobili di durata ultranovennale prescrive in ogni caso, a pena di nullita’, la forma scritta, e, all’art. 2643, n. 8), richiede la trascrizione degli stessi contratti ai fini della opponibilita’ degli stessi ai terzi) i contratti agrari ultranovennali, compresi quelli in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa, sono validi anche se verbali o non trascritti, ed hanno effetto anche riguardo ai terzi (cfr. Cass. 18.5.1999, n. 4804; Cass. 3.4.2015, n. 6839); in quarto luogo che il documento riproducente il testo del contratto di affitto, siccome ha dedotto lo stesso ricorrente (cfr. ricorso, pag. 51), non e’ stato prodotto in giudizio, sicche’ a pieno titolo si fuoriesce dalla previsione dell’art. 2725 c.c..

Immeritevole di seguito e’ il settimo motivo di ricorso.

Il motivo afferisce al passaggio della motivazione con cui la corte di merito ha dato atto che il teste O.F. ha dichiarato di essere a conoscenza, perche’ era stato lo stesso M.G. a riferirglielo, del fatto che costui pagasse un canone annuale alle controparti per la fruizione dei terreni (cfr. sentenza d’appello, pag. 24 – 25).

In proposito e’ sufficiente puntualizzare – al di la’ dell’esplicito riferimento che si rinviene nel passaggio motivazionale de quo agitur alla confessione stragiudiziale, in linea in verita’ col dettato dell’art. 2735 c.c., comma 1, che qualifica tale anche la dichiarazione di fatti a se’ sfavorevoli che la parte abbia reso ad un terzo, nella fattispecie che M.G. ebbe a rendere a O.F. – che in aderenza parimenti alla previsione della seconda parte dell’art. 2735 c.c., comma 1, la corte distrettuale ha senza dubbio liberamente apprezzato la “confessione stragiudiziale” di cui il teste ha dato conto nel quadro innanzitutto delle ulteriori dichiarazioni operate dal medesimo testimone (cfr. Cass. sez. lav. 29.11.1977, n. 5210, secondo cui le dichiarazioni rese da una delle parti a terzi, fuori del giudizio, anche se ad autorita’ qualificate, hanno valore di semplici indizi, liberamente valutabili dal giudice del merito, e non gia’ di confessione stragiudiziale).

Del tutto ingiustificati, d’altronde, sono gli aggiuntivi assunti del ricorrente.

Ovvero, l’assunto secondo cui “la deposizione de qua non poteva in alcun modo integrare una confessione stragiudiziale per violazione del comma secondo dell’art. 2735 c.c.” (cosi’ ricorso, pag. 61).

Al riguardo basta ribadire gli insegnamenti n. 4804/1999 e n. 6839/2015 dapprima citati, sicche’ non si configurava ostacolo alcuno all’ammissione della prova testimoniale.

Ovvero l’assunto secondo cui, in spregio dell’art. 2721 c.c., “la corte ha ritenuto (…) che sia possibile provare per testimoni la pretesa concessione di una rendita vitalizia in cambio del possesso dei terreni” (cosi’ ricorso, pag. 61).

Al riguardo basta porre in risalto che la corte territoriale ha semplicemente puntualizzato – nel piu’ ampio contesto della valutazione del materiale probatorio raccolto – che l’autonoma iniziativa del ricorrente di propone “agli zii la costituzione di una rendita vitalizia in cambio del possesso dei terreni era comunque un espresso riconoscimento del loro diritto di proprieta’” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 25).

Inammissibile e’ l’ottavo motivo di ricorso.

Difatti, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ben avrebbe dovuto il ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro, il compiuto vaglio del proprio assunto, riprodurre integralmente il testo della deposizione testimoniale ove e’ riferimento ad una proposta di definizione stragiudiziale cui la corte cagliaritana avrebbe immotivatamente attribuito valenza di confessione stragiudiziale (al riguardo cfr. Cass. 20.1.2006, n. 1113, secondo cui il ricorso per cassazione – in forza del principio di cosiddetta “autosufficienza” – deve contenere in se’ tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresi’, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito).

In parte qua, percio’, si condivide in toto il rilievo dei controricorrenti L., di cui a pagina 18 del suo controricorso (“non e’ possibile (…) comprendere quali risultanze processuali voglia richiamare e come comproverebbero l’asserito difetto di motivazione della Corte d’Appello”).

Non merita seguito il nono motivo di ricorso.

Si rimarca per un verso che, in tema di prova testimoniale, la valutazione del giudice di merito in ordine all’attendibilita’ dei testimoni escussi si sottrae al controllo di legittimita’ allorche’ sia corredata da motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa vigente (cfr. Cass. 24.5.2013, n. 12988).

Si rimarca per altro verso che la valutazione in ordine all’attendibilita’ di un teste deve avvenire soprattutto in relazione al contenuto della dichiarazione e non aprioristicamente per categorie, in quanto in quest’ultima ipotesi il giudizio sull’attendibilita’ sfocerebbe impropriamente in quello sulla capacita’ a testimoniare in rapporto a categorie di soggetti che sarebbero, di per se’, inidonei a fornire una valida testimonianza, laddove la capacita’ a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilita’ del teste, operando su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicita’ della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilita’ della dichiarazione in relazione alle qualita’ personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite) (cfr. Cass. sez. lav. 21.8.2004, n. 16529).

In questi termini si rimarca, per altro verso ancora, che la corte d’appello ha dato ragione, esaustivamente e congruamente, dell’attendibilita’ delle dichiarazioni testimoniali rese da L.F.; in particolare ha specificato che il L. non aveva controversie in atto con il ricorrente e che “il contenuto delle sue dichiarazioni non e’, poi, intrinsecamente illogico, incoerente o contraddittorio ed anzi si ricollega logicamente a quelle del teste Onidi e dello stesso appellante” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 26).

Infondato e’ il decimo motivo di ricorso.

Alla luce degli insegnamenti dapprima menzionati (il riferimento e’ a Cass. n 12988/2013 e a Cass. n. 16529/2004) si rileva che la corte di merito non solo ha ampiamente e coerentemente enunciato le ragioni per cui non ha inteso privilegiare “le deposizioni degli unici cinque testimoni dell’attore” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 27), debitamente – e tra l’altro – precisando che le relative dichiarazioni “sono per lo piu’ intrinsecamente contraddittorie o in contrasto fra loro, alcune trovano la loro fonte nelle rivelazioni fatte dal medesimo appellante (…) o sono caratterizzate da estrema genericita’ della circostanza riferita” (cosi’ sentenza d’appello, pagg. 27 e 28), ma ha altresi’ atteso al vaglio specifico e puntuale delle dichiarazioni rese dai medesimi testi, ovvero da Li.Ro., Lo.Fr. (recte: Doi), S.G., P.S. e Pu.An. (cfr. sentenza d’appello, pagg. 28 – 30).

Per nulla si giustifica, pertanto, la prospettazione del ricorrente secondo cui sarebbero contraddittorie le affermazioni cui la corte sarda ha ancorato il giudizio di inattendibilita’ dei testi di parte attrice.

Immeritevole di seguito e’ l’undicesimo motivo di ricorso.

Si sottolinea che “la indicazione dei terreni da parte del M. nelle proprie dichiarazioni dei redditi e la mancata dichiarazione dal 1981 in poi da parte delle Ma., degli stessi terreni nelle proprie dichiarazioni dei redditi” (cosi’ ricorso, pag. 66), e’ circostanza che, nel piu’ ampio ambito dell’operata valutazione delle risultanze istruttorie, la corte d’appello ha evidentemente e del tutto legittimamente reputato di non privilegiare.

Si badi che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la sola facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi’, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).

Non merita seguito il dodicesimo motivo di ricorso.

Al riguardo va sicuramente recepito il rilievo dei controricorrenti L., secondo cui L.D. senior “era costituito sia in proprio che quale tutore e rappresentante processuale di Ma.An., cosicche’ le sue risposte all’interrogatorio formale non potevano che essere riferite anche alla convenuta” (cosi’ controricorso L., pag. 19). Al contempo, siccome adducono gli stessi controricorrenti, M.G. avrebbe dovuto dedurre e dimostrare, in ottemperanza al canone di “autosufficienza”, di aver eccepito tempestivamente, nella prima successiva difesa, la nullita’ asseritamente correlata alla circostanza per cui il tutore, L.D. senior, non aveva espressamente menzionato tale sua qualita’. Infatti, questo Giudice del diritto spiega che la regola, dettata dall’art. 157 c.p.c., secondo cui l’obbligo del giudice di esaminare l’eccezione di nullita’ relativa di un atto processuale presuppone che la medesima sia stata dedotta dalla parte, oltre che tempestivamente, con la specificazione delle ragioni d’invalidita’, costituisce un principio generale (cfr. Cass. 22.1.2010, n. 1098). II tredicesimo ed il quindicesimo motivo sono strettamente correlati; se ne giustifica la contemporanea disamina. Si premette che anche il quindicesimo motivo si specifica e si qualifica in relazione alla previsione del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1. Invero pur con tale motivo M.G. censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso (“come si desume dalle risposte rese da M.C. all’interrogatorio formale espletato all’udienza del 29 marzo 2000 (…)”: cosi’ ricorso, pagg. 130 – 131). In ogni caso i motivi de quibus sono destituiti di fondamento. E difatti e’ ben vero che la corte di merito non ha puntualmente qualificato il rapporto agrario in cui l’iniziale verosimile soccida si sarebbe trasformata. Tuttavia, sulla scorta di una esaustiva e congrua “lettura” delle risultanze istruttorie – siccome si e’ premesso in sede di disamina del primo e del secondo motivo – la corte distrettuale ha, da un canto, escluso che, all’esito della modificazione dell’originario rapporto associativo agrario, la disponibilita’ dei fondi da parte del ricorrente si fosse caratterizzata in guisa di vero e proprio possesso debitamente sonetto dall’animus possidendi, tant’e’ che ha opinato nel senso che un atto di interversio possessionis si era avuto unicamente col rifiuto opposto alla richiesta di restituzione dei fondi; ha, dall’altro, affermato che la disponibilita’ dei terreni, successivamente alla modificazione dell’originario rapporto, ben si prestava ad esser intesa in guisa di detenzione qualificata ed autonoma (cfr. sentenza d’appello, pag. 30). In questi termini si reputa quanto segue. Da un lato, che per nulla e’ incompatibile con il disconoscimento di atti di interversione nel possesso l’omessa puntuale qualificazione del titolo della detenzione, detenzione riscontrata siccome protrattasi pur in epoca successiva alla modificazione dell’originario rapporto associativo agrario. Dall’altro, che non si correla specificamente alla ratio decidendi la prospettazione del ricorrente secondo cui “la prova del contratto di affitto deve essere fornita da chi intenda avvalersene” (cosi’ ricorso, pagg. 82 – 83): la corte territoriale, con motivazione irreprensibile, ha dato conto di un perdurante rapporto agrario tra le parti in lite (“affermazione che esclude che da tale momento non esistesse piu’ alcun rapporto con i convenuti per lo sfruttamento, per l’utilizzazione dei terreni”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 21), il che e’ quanto basta ai fini dell’esclusione dell’animus rem sibi habendi. Dall’altro ancora, che la deduzione del ricorrente secondo cui la permanenza sui fondi da parte sua “successivamente alla cessazione del rapporto di gestione del bestiame integra possesso valido all’usucapione” (cosi’ ricorso, pag. 130), si risolve analogamente nella prospettazione di una pretesa migliore e piu’ appagante “lettura” delle risultanze istruttorie e, dunque, in una inammissibile sollecitazione alla revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito nell’ottica di una nuova pronuncia sul fatto. Connessi sono il quattordicesimo, il sedicesimo ed il diciassettesimo motivo; tutti infatti concernono l’usucapione ex art. 1159 bis c.c.. I medesimi motivi comunque sono immeritevoli di seguito. Del pari si premette che anche il sedicesimo motivo si qualifica in relazione alla previsione del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1. Con tale motivo invero il ricorrente similmente censura il giudizio di fatto cui la corte sarda ha provveduto (della fattispecie di cui all’art. 1159 bis c.c. “sussistevano i presupposti provati dal doc. 23”: cosi’ ricorso, pag. 135). Su tale scorta si sottolinea quanto segue. In primo luogo – e pur a prescindere dal rilievo del controricorrente Cara secondo cui l’usucapione ex art. 1159 bis c.c., e’ questione nuova, sulla “quale non si e’ mai svolta tra le parti alcuna discussione” (cosi’ controricorso C., pag. 25) – che la corte di merito ha reputato che interversio possessionis si e’ avuta unicamente col rifiuto opposto alla richiesta di restituzione dei fondi e non gia’ in epoca precedente, sicche’ in parte qua agitur va recepita appieno la deduzione dei controricorrenti L. a tenor della quale “la Corte d’Appello non ha ritenuto di poter applicare l’istituto dell’usucapione speciale disciplinato dall’art. 1159 c.c. poiche’ ha, prima ancora, ritenuto che non fosse stato posto in essere alcun possesso dei fondi, non essendovi stato alcun atto di interversione” (cosi’ controricorso L., pag. 22). In secondo luogo che le censure che i motivi in disamina veicolano – talune peraltro sostanzialmente identiche a quelle gia’ formulate con l’undicesimo mezzo di impugnazione (e’ il caso della censura secondo cui “la Corte non motiva sulla sottolineata non contestazione, da parte dei convenuti, dell’inserimento degli immobili nella propria dichiarazione dei redditi e, soprattutto, sul mancato inserimento nella dichiarazione dei redditi dei convenuti dei medesimi immobili”: cosi’ ricorso, pag. 130) – analogamente si traducono nella prospettazione di una pretesa migliore e piu’ appagante “lettura” delle risultanze istruttorie (e’ il caso delle prospettazione secondo cui “l’edificazione del cavalcafossi non viene argomentata al fine di escluderne la valenza dal punto di vista del possesso utile ai fini dell’usucapione”: cosi’ ricorso, pag. 129). Non merita seguito il diciottesimo motivo di ricorso. Si e’ premesso che la corte distrettuale ha opinato nel senso che l’originario rapporto associativo agrario si e’ in ogni caso modificato in un rapporto del medesimo tipo; e cio’ quantunque non ne abbia operato la puntuale qualificazione. Correttamente percio’ la corte ha confermato il primo dictum nella parte in cui aveva prefigurato la competenza della sezione specializzata agraria in ordine alla domanda volta a conseguire il rimborso delle spese nonche’ l’indennizzo per i miglioramenti e le addizioni apportate ai fondi. Il rigetto del ricorso giustifica la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’. La liquidazione segue come da dispositivo. L.G. (quale erede di L.D. senior, a sua volta erede di Ma.Ce.) e F.P. (quale erede di Ma.An.) non hanno svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso principale, pertanto, nessuna statuizione nei loro confronti va assunta in ordine alle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, M.G., a rimborsare ai controricorrenti L.D., L.D. e L.P. le spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nel complesso in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; condanna il ricorrente, M.G., a rimborsare al controricorrente C.A. le spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nel complesso in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

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