Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14537 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 09/07/2020), n.14537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo A. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1076/2019 proposto da:

D.B., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Marco Ferrero, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 6861/2018 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato

il 05/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

D.B., nato in (OMISSIS), propone ricorso per cassazione con tre mezzi avverso la sentenza del Tribunale di Venezia che ha respinto la domanda di protezione internazionale in tutte le sue forme proposta del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, già denegata dalla Commissione territoriale. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese per timore di essere perseguitato o soggetto a ritorsioni o, addirittura di essere ucciso, per avere rifiutato di sposare la donna prescelta dalla zio, divenuto capo del villaggio dopo la morte del padre.

Il Tribunale ha ritenuto che le ragioni esposte in merito all’allontanamento dal Mali non erano credibili, rimarcando la contraddittorietà e la genericità di quanto riferito.

Ha, quindi, escluso, stante anche la non credibilità del suo racconto, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non ravvisando persecuzioni per motivi di razza, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, e della protezione sussidiaria, non ritenendo che ricorresse, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il rischio grave di morte o di assoggettamento a trattamenti inumani e degradanti, ed osservando che – sulla scorta dell’esame delle fonti accreditate (COI 2016- World Report 2017) e della documentazione rimessa dal ricorrente – la situazione in Mali continuava ad essere critica nella zona a Nord e nel centro del Paese, ma non nella Regione a Sud, dove si trova Bamako, città di provenienza del richiedente, e che, quindi doveva escludersi, in ragione di quanto detto sopra che la sola presenza di civili nel territorio li esponesse ad un pericolo per la vita e la loro incolumità, rilevante ex art. 14, lett. c) della stessa legge; infine, ha negato la protezione umanitaria, non avendo il ricorrente, ritenuto non credibile, dimostrato una situazione personale di vulnerabilità specifica, di guisa che le prospettive di integrazione in Italia, non risultavano decisive.

Il ricorrente ha depositato rinuncia all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008.

A parere del ricorrente il Tribunale – che peraltro aveva proceduto alla sua diretta audizione – avrebbe errato nel ritenere non credibile e contraddittorio il suo racconto sulle ragioni di fuga rimarcando le differenze tra quanto esposto alla Commissione e quanto dichiarato ai giudici, perchè non aveva considerato la documentazione medica che, a suo dire, avrebbe potuto dare conto di una personale condizione di salute tale da inficiare la sua capacità di autodeterminazione nel rendere le dichiarazioni dinanzi alla Commissione.

Il motivo è inammissibile.

Invero, il Tribunale, nell’esaminare le dichiarazioni del richiedente, non suffragate da prove, non solo le ha sottoposte ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma ha proceduto anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. n. 21142 del 07/08/2019), con apprezzamento di fatto censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie la motivazione senz’altro possiede i requisiti del minimo costituzionale ed il ricorrente non ha indicato alcun fatto di cui sia stato omesso l’esame, di guisa che la censura non risponde nemmeno al modello legale del vizio motivazionale e si palesa del tutto generica.

Anche la denuncia di mancato esame delle documentazione medica risulta inammissibile: da un lato, va rilevato che lo stesso ricorrente non riferisce di averla prodotta al Tribunale, come sarebbe stato suo onere, ma solo di averla sottoposta alla Commissione, caducando così la premessa della censura, stante la autonomia della fase amministrativa rispetto a quella giudiziaria; dall’altro la doglianza sul punto è del tutto generica, poichè nulla è detto circa il contenuto di questa documentazione, come sarebbe stato necessario per valutarne la rilevanza, di guisa che l’assunto circa la sua decisività rimane meramente apodittico (cfr. Cass. Sez. U. n. 34469 del 27/12/2019).

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

La censura si appunta sul diniego della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Il ricorrente si duole che il Tribunale non abbia preso in considerazione le informazioni più aggiornate circa la condizione socio/politica del Mali, desumibili dalle COI 2018 depositate nel giudizio di primo grado dalla Commissione territoriale.

Il motivo è inammissibile.

E’ vero che il documento indicato non risulta contemplato nel corpo della motivazione ed il ricorrente se ne duole specificamente.

Tuttavia il ricorrente – a parte una descrizione per citazione del documento che sarebbe stato omesso – non dice in cosa il documento 2018 diverga da quelli 2016 e 2017 e, soprattutto, perchè sia così rilevante, tanto che da quel documento il giudice di merito avrebbe dovuto arrivare ad una diversa soluzione del caso, rispetto a quella data.

Trova pertanto applicazione il principio secondo il quale “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria.” (Cass. n. 26728 del 21/10/2019) ed il motivo risulta inammissibile.

3. Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis. La censura attiene alla domanda di protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile perchè prescinde dall’accerta non credibilità del ricorrente, non illustra le specifiche condizioni di vulnerabilità allegate e non coglie la ratio decidendi, fondata sulla impossibilità di effettuare la comparazione come delineata ex Cass. n. 4455 del 23/02/2018.

4. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva del ricorrente.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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