Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14535 del 10/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14535 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 24215-2007 proposto da:
LUPI STEFANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DEI GOZZADINI N. 30, presso lo studio dell’avvocato
PROSPERINI ALBERTO, che lo rappresenta e difende
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
969

DI STEFANO ELENA, LLOYD ADRIATICO ASSICURAZIONI
S.P.A.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 18355/2006 del TRIBUNALE di

1

Data pubblicazione: 10/06/2013

ROMA, depositata il 11/09/2006 R.G.N. 56048/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

24/04/2013

dal

Consigliere

Dott.

FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

,

del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Giudice di pace di Roma, con sentenza del 17 giugno
2003, condannava Elena De Stefano e la s.p.a. Lloyd Adriatico
al pagamento in favore di Stefano Lupi, a titolo di
risarcimento danni conseguenti ad un sinistro stradale, della

spese.
2.

La sentenza veniva appellata dal Lupi e dal suo

difensore

Avv.

Prosperini,

quest’ultimo

in

relazione

all’omessa pronuncia in ordine alla domanda di distrazione in
suo favore delle spese di lite.
Il Tribunale di Roma, con sentenza dell’il settembre 2006,
rigettava l’appello proposto dal Lupi, accoglieva quello
dell’Avv. Prosperini in favore del quale ordinava la
distrazione delle spese liquidate con la sentenza di primo
grado e compensava le spese di secondo grado.
Osservava il Tribunale che l’appello del Lupi era infondato
in quanto il primo giudice aveva esattamente escluso l’importo
dell’IVA dalla somma liquidata per sorte capitale, poiché il
preventivo depositato era inidoneo a dimostrare l’avvenuto
effettivo pagamento della somma richiesta dal riparatore del
mezzo e, conseguentemente, della relativa imposta. L’eventuale
liquidazione dell’IVA, quindi, si sarebbe risolta in un
indebito arricchimento a danno della parte soccombente.
Quanto all’entità delle spese liquidate in primo grado, il
Tribunale rilevava che, non essendo stata depositata la

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somma di euro 1.127,67, oltre Interessi e con il carico delle

relativa nota, la denunziata violazione dei minimi tariffari
era da ritenere priva di dimostrazione; il Giudice di pace,
quindi, aveva correttamente liquidato le spese in via
equitativa in riferimento al valore della domanda accolta, non
sussistendo un obbligo di liquidarle al minimo della tariffa.

spese relativa al giudizio di primo grado avvenuta nel testo
dell’appello, sussistendo altrimenti una violazione dell’art.
345 del codice di procedura civile.
3. Avverso la sentenza del Tribunale di Roma propone
ricorso Stefano Lupi, con atto affidato a quattro motivi e
sostenuto da memoria.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa
sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2056
cod. civ., oltre ad omessa motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
.

Rileva il ricorrente che alla luce della sentenza 14
ottobre 1997, n. 10023, di questa Corte, il risarcimento del
danno comprende anche l’IVA, pur se la riparazione non sia
ancora avvenuta e manchi la relativa fattura, perché l’imposta
deve essere per legge addebitata al committente il lavoro di
riparazione. La violazione di legge si tradurrebbe, secondo il

Né poteva tenersi conto del tardivo inserimento della nota

Lupi, anche in vizio di motivazione, non avendo la sentenza
adeguatamente motivato sulle ragioni di esclusione dell’IVA.
1.2. Il motivo è fondato.
Questa Corte, con la sentenza n. 10023 del 1997 richiamata
nel ricorso, confermata dalla più recente sentenza 27 gennaio

danno patrimoniale si estende agli oneri accessori e
consequenziali, se esso è liquidato in base alle spese da
affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento comprende
anche l’IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta – e a
meno che il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto
al rimborso o alla detrazione dell’IVA versata – perché
l’autoriparatore è tenuto per legge ad addebitarla, a titolo
di rivalsa, al committente (art. 18 del d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633).
La sentenza impugnata non si è attenuta a tale principio e
deve essere, quindi, cassata sul punto.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., in ordine al medesimo punto
oggetto del precedente motivo.
Rileva il ricorrente, al riguardo, di avere a suo tempo
avanzato domanda, in via subordinata, di condanna delle due
convenute al pagamento dell’IVA con una pronuncia
condizionata, ossia una pronuncia che condannasse al pagamento
anche dell’imposta subordinatamente alla presentazione della

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2010, n. 1688, ha affermato che, poiché il risarcimento del

fattura da parte dell’appellante, mentre il Tribunale avrebbe
omesso di pronunciarsi sulla relativa domanda.
2.2. L’esame di tale motivo è assorbito dall’accoglimento
del precedente.
3.1. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi

omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per
il giudizio, oltre a violazione e falsa applicazione degli
artt. l e 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, dell’art. 60,
quarto comma, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, nonché
degli artt. 1 e 4 della tariffa forense allegata al d.m.

5 –kkAic,

ottobre 1994, n. 585.

Si rileva, in proposito, che l’inottemperanza all’obbligo
di deposito della nota spese fa sì che la relativa
determinazione debba avvenire sulla base degli atti del
procedimento; il giudice, pertanto, è tenuto a verificare le
risultanze di causa e a liquidare le spese distinguendo tra
diritti ed onorari. Il fatto controverso sarebbe costituito,
secondo il ricorrente, dalla «questione della dimostrazione
della violazione dei minimi tariffari e dei medesimi
.

dell’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ.,

sottintesi importi fissi ed esborsi su cui si è illogicamente
motivato, indi la risoluzione negativa adottata».
Quanto alla violazione di legge, il ricorrente censura
l’affermazione del Tribunale secondo cui l’omissione della
nota spese non rende obbligatoria l’osservanza dei minimi
tabellari, in mancanza di una norma in tal senso.

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3.2. Anche questo motivo è fondato.
La sentenza d’appello ha dato conto del fatto che il
giudice di primo grado ha liquidato le spese di giudizio in
favore del Lupi in assenza di nota spese, stabilendo una somma
unica, comprensiva di diritti ed onorari. Il Tribunale ha poi

gennaio 2003, n. 554, di questa Corte – che in tal caso il
giudice di merito non ha l’obbligo di liquidarle al minimo
della tariffa, non essendo siffatta prescrizione imposta da
alcuna norma. A suo dire, pertanto, il giudice di primo grado
aveva correttamente proceduto alla liquidazione delle spese in
via equitativa.
Tale decisione va incontro a più di una censura.
L’attenta lettura della motivazione della sentenza ora
citata, innanzitutto, avrebbe consentito al Tribunale di
verificare che in quella pronuncia è stato affermato un
principio esattamente contrario: questa Corte, cioè, investita
di un ricorso nel quale si pretendeva, in assenza di nota
spese, che queste dovessero essere liquidate al minimo, ha
affermato che «nessuna norma impone la liquidazione ai minimi
. in assenza di notula», così riconoscendo che la liquidazione
può anche essere

superiore ai minimi,

ma non certo inferiore

(v. sentenza 23 maggio 2003, n. 8158).
L’ulteriore giurisprudenza, del resto, ha affermato che il
rispetto dei minimi tariffari costituisce un elemento
inderogabile e che, in assenza della nota spese, il giudice è

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aggiunto – fraintendendo il reale contenuto della sentenza 16

tenuto comunque alla liquidazione d’ufficio, determinando i
compensi in base ad una puntuale verifica dell’attività svolta
(sentenze 9 febbraio 2000, n. 1440, 18 giugno 2003, n. 9700, e
13 maggio 2011, n. 10663). La liquidazione globale delle
spese, diritti ed onorari non è consentita, dovendo invece

in grado di controllare se il giudice abbia rispettato i
limiti delle relative tabelle e così darle la possibilità di
denunciare le specifiche violazioni della legge o delle
tariffe (sentenza 8 marzo 2007, n. 5318, nonché sentenza 25
novembre 2011, n. 24890).
Questa Corte ha anche più volte ribadito che

la

liquidazione delle spese processuali, in particolare sotto il
profilo della scelta tra i minimi e i massimi tariffari,
costituisce valutazione discrezionale del giudice di merito,
non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione
dei minimi tariffari, nel qual caso la violazione deve essere
dedotta con riferimento non solo alle singole voci ma anche
agli importi considerati, così da consentire alla Corte il
controllo senza l’esame degli atti, trattandosi di
indicando

error in

(v., fra le altre, le sentenze 4 marzo 2003, n.

3178, 7 agosto 2009, n. 18086, e 4 luglio 2011, n. 14542); il
ricorrente, cioè, non può limitarsi ad una generica denuncia
del principio di inderogabilità, ma ha l’onere di indicare
specificamente ed analiticamente i singoli importi a lui
spettanti (sentenza 19 aprile 2006, n. 9082).

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essere eseguita in modo tale da mettere la parte interessata

‘i\AA 6

L’odierno ricorrente ha provveduto, nel caso in esame, ad
indicare voce per voce le attività da lui svolte e la
controparte, rimasta intimata in questa sede, non ha ritenuto
di contestare alcunché al riguardo.
Ne consegue l’accoglimento del presente motivo.

dell’art. 360, primo comma, nn. 4) e 5), cod. proc. civ.,
falsa applicazione dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ.
oltre ad omessa motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
In tale motivo si censura l’affermazione del Tribunale
secondo cui della nota spese inserita tardivamente nel testo
dell’atto di appello non potrebbe tenersi conto alla stregua
dell’art. 345 del codice di rito. La nota spese, secondo il
ricorrente, non sarebbe un mezzo di prova, bensì un atto di
parte che il giudice deve valutare alla stregua delle
emergenze processuali.
4.2. L’accoglimento del terzo motivo di ricorso esime
questa Corte dall’esame del quarto, che rimane assorbito.
5. In conclusione, il ricorso è accolto e la sentenza
impugnata è cassata.
Il giudizio va rinviato al Tribunale di Roma, in persona di
diverso magistrato, che deciderà attenendosi ai principi sopra
enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese del
presente giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI

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4.1. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi

La Corte,
e

rinvia

accoglie il ricorso,

cassa la sentenza impugnata

al Tribunale di Roma, in persona di diverso

magistrato, che provvederà anche in ordine alla liquidazione
delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza

Sezione Civile, il 24 aprile 2013.

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