Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14534 del 10/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14534 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 24204-2007 proposto da:
VENTIMIGLIA EPIFANIO, elettivamente domiciliato in
ROMA,

VIA DEI GRACCHI 187, presso lo studio

dell’avvocato MAGNANO DI SAN LIO GIOVANNI,
rappresentato e difeso dall’avvocato RIZZUTO GIROLAMO
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
968

contro

COOP. EDIL. LA FAMIGLIA S.R.L.;
– intimato –

sul ricorso 26926-2007 proposto da:

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Data pubblicazione: 10/06/2013

COOPERATIVA EDILIZIA LA FAMIGLIA S.R.L. 02670150828,
in persona del suo amministratore e legale
rappresentante Prof. GIACOMO MULE’, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA AGRI 3, presso lo studio
dell’avvocato MORMINO IGNAZIO, che la rappresenta e

– ricorrente contro

VENTIMIGLIA EPIFANIO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso lo studio
dell’avvocato MAGNANO DI SAN LIO GIOVANNI,
rappresentato e difeso dall’avvocato RIZZUTO GIROLAMO
giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 725/2007 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 16/07/2007 R.G.N.
2052/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/04/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato GIROLAMO RIZZUTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e per
l’inammissibilita’ del ricorso incidentale.

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difende giusta delega in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 23.9.1997 la Cooperativa Edilizia “La
Famiglia” conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Palermo
l’architetto Epifanio Ventimiglia, deducendo che con atto per
notaio Mirto del 5/8/1988 aveva acquistato dalla S.r.l. Società

sito a Palermo/località Castellana/ Contrada Passo di Rigano/ex
fondo Spadafora, esteso mq. 6848, confinante con altro
appezzamento di terreno di proprietà della Cooperativa
“Esperanto”, al fine di realizzare cinque edifici con venti
unità immobiliari da assegnare ai rispettivi soci; che con
successivo atto per Notar Giambalvo del 10/4/1989 aveva ceduto
in permuta mq. 300 di terreno insistente sulla particella 5743
ex 911/b, a confine con la particella 4986, alla società cooperativa “Esperanto”, la quale aveva ceduto alla società
cooperativa attrice mq. 300 di terreno insistente sulla
particella 5744 ex 4986 a confine con la particella 911, e che
le società avevano proceduto alla realizzazione degli edifici
in forza di detti atti di permuta; che, decadute le precedenti
concessioni, richiesto al Comune il rinnovo della concessione
edilizia per il completamento delle unità immobiliari in data
12/8/1996, era risultato che il confine esistente tra i due
appezzamenti non era quello effettivo risultante dagli atti di
provenienza ed in particolare dall’atto di permuta del
10/4/1989 e che l’errata identificazione del confine e la
relativa catastazione erano state effettuate dal convenuto su

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Immobiliare Spadafora un appezzamento di terreno edificabile

incarico della cooperativa “Esperanto”,

la quale aveva

successivamente posizionato gli edifici da realizzare senza
operare un corretto controllo dell’effettivo confine dei
distacchi e della estensione effettiva dei fondi; che a causa
della non corretta identificazione dei confini tra i fondi la

parte del Comune, della nuova concessione, e che inoltre il
negligente operato del convenuto aveva determinato la
realizzazione, da parte della società “Esperanto”, di uno degli
edifici sul terreno che invece risultava di proprietà della
società attrice. Chiedeva, pertanto che il convenuto fosse
condannato al risarcimento dei danni subiti, oltre gli
interessi ed il maggior danno derivante da svalutazione
monetaria. Il convenuto, costituendosi in giudizio, eccepiva
preliminarmente la prescrizione del diritto vantato dalla
società cooperativa attrice, e nel merito contestava la
fondatezza della domanda, chiedendone il rigetto. Espletata
l’istruzione, la causa venne decisa con sentenza in data
10.7/7. 8.2003, con la quale il giudice monocratico del
Tribunale respingeva la domanda e condannava la società attrice
al pagamento delle spese del giudizio e di perizia tecnica di
ufficio. Avverso tale decisione proponeva appello la
Cooperativa Edilizia ed, in esito al giudizio, in cui si
costituiva il Ventimiglia resistendo al gravame, la Corte di
Appello di Palermo con sentenza depositata in data 16 luglio
2007, in parziale riforma della sentenza impugnata, compensava

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società attrice non aveva avuto ancora ottenuto il rilascio, da

le spese del giudizio di primo grado, confermava nel resto la
sentenza, compensava le spese del giudizio di appello. Avverso
la detta sentenza il Ventimiglia ha quindi proposto ricorso per
cassazione articolato in quattro motivi. Resiste con
controricorso la Cooperativa proponendo a sua volta ricorso

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale e
quello incidentale sono stati riuniti, in quanto proposti
avverso la stessa sentenza .
Procedendo all’esame del ricorso principale, va rilevato
che,con la prima doglianza, deducendo la violazione e la
falsa applicazione degli artt.91,112,329 co.2, 346 e 2909 cc,
in relazione al’art.360 n.3 cpc, il ricorrente, premesso che il
Tribunale, facendo buon governo del principio di soccombenza,
aveva posto le spese processuali e di perizia tecnica a carico
della Cooperativa, ha censurato la sentenza impugnata nella
parte in cui la Corte di Appello, pur avendo confermato le
statuizioni di merito, ha ritenuto di disporre una nuova

incidentale, affidato ad un unico motivo.

regolamentazione delle spese di giudizio, anche se in via di
compensazione, in assenza di specifico motivo di impugnativa al
riguardo.
Con la seconda doglianza, svolta per violazione e falsa
applicazione degli artt.112, 339, 342, 346 cpc e 2909 cc, in
relazione al’art.360 n.3 cpc, il ricorrente ha censurato la
sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello, in

5

//A

riforma

della

sentenza

impugnata,

ha

proceduto

alla

compensazione delle spese di primo grado fondando la sua
decisione su ragioni diverse rispetto a quelle sottoposte con
l’atto di appello.
Le due ragioni di doglianza, che vanno esaminate congiuntamente

tra loro, sono, entrambe, infondate. A riguardo, occorre
innanzitutto precisare che, con l’atto di appello, la
Cooperativa edilizia propose tre distinti motivi di
impugnazione: con il terzo, come risulta testualmente dalla
sentenza impugnata, l’appellante si doleva ”

della condanna al

pagamento delle spese di giudizio stante l’asserita fondatezza
delle domande proposte”

(cfr pag. 10 della sentenza).

La precisazione torna utile nella misura in cui serve a
chiarire che, contrariamente a quanto sembra ritenere il
ricorrente, la Cooperativa propose uno specifico motivo di
impugnazione avverso il capo della decisione di primo grado,
con cui il Tribunale l’aveva condannata al pagamento delle
spese processuali.
Ciò posto, giova aggiungere che il motivo di appello non è
altro che uno dei fatti costituitivi della domanda di
impugnazione, soggetta, in quanto tale, all’interpretazione del
giudice di merito, il quale, nell’esercizio del suo potere
discrezionale, non è vincolato dal tenore letterale
dell’appello ma ha, ad un tempo, il diritto ed il dovere di
accertare l’effettiva volontà della parte impugnante.

6

A,

in quanto prospettano motivi di censura intimamente connessi

Ora, nel caso di specie, la Corte di appello, con tutta evidenza,
ha interpretato la
come basata

causa petendi della domanda di impugnazione,

sull’astratta fondatezza della pretesa azionata,

vale

a dire sulla sostanziale fondatezza della domanda nel merito al di

dall’empium remedium della prescrizione

(v. pag.13 della

tener presente nel governo delle spese, ed è appena il caso di
osservare che l’interpretazione del giudice del merito,
risolvendosi in un tipico accertamento di fatto, è censurabile in
sede di legittimità solo sotto il profilo dell’esistenza,
sufficienza e logicità della motivazione, vizio nella specie
insussistente e peraltro neppure dedotto. Ne deriva l’infondatezza
delle censure de quibus.
Passando all’esame della terza doglianza, articolata sotto il
profilo della violazione e/o falsa applicazione degli art.91 e
92 cpc nonché della motivazione omessa e/o insufficiente, va
osservato che il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata
per aver la Corte di Appello disposto la compensazione
integrale delle spese dei due gradi di giudizio sulla base
della astratta fondatezza della pretesa azionata, della
complessità delle questioni e del rigetto della domanda
“fondata esclusivamente sull’empium rimedium della
prescrizione”.
Tale decisione – questa,in sintesi, la ragione di censurasarebbe fondata su fatti ed atti processuali insussistenti ma
erroneamente ritenuti sussistenti nel processo ovvero su

7

m

sentenza), circostanza che il giudice di primo grado avrebbe dovuto

valutazioni errate della Corte, quali la pretesa complessità
delle questioni, e la considerazione dell’istituto della
prescrizione come emplum remedium.
La doglianza è in parte inammissibile, in parte infondata. Ed
invero, è inammissibile nella parte in cui ipotizza che la

processuali insussistenti ma erroneamente ritenuti sussistenti
nel processo. In tal caso, infatti, la Corte sarebbe incorsa in
un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione
per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.
Inoltre, è infondata nella parte in cui contesta la pretesa
erroneità delle valutazioni effettuate dalla Corte,nel disporre
la compensazione delle spese. Infatti, la valutazione
dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle
spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice
di merito, il quale può pronunziare la compensazione delle
spese anche nei confronti della parte totalmente vittoriosa
posto che, in materia, la decisione del giudice di merito può
essere censurata in cassazione solo se le spese sono poste a
carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la
motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare,
per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale oppure
siano state effettuate liquidazioni non rispettose delle
tariffe professionali, ipotesi non ricorrenti nella specie.
Resta da esaminare l’ultima doglianza, anch’essa articolata
sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli

8

I’

Corte avrebbe fondato la sua decisione su fatti ed atti

artt.91 e 92 cpc, secondo cui la Corte territoriale avrebbe
sbagliato per aver posto a carico della parte vittoriosa una
quota di spese processuali afferenti il carico della
liquidazione della CTU anticipata in corso di procedimento in
tutto o in parte da essa parte totalmente vittoriosa.

consulenza tecnica di ufficio rientrano nel concetto di spese
processuali ordinarie, trovando, anch’esse, la loro causa nel
processo. L’ordinanza che pone l’onere della relativa
anticipazione a carico di entrambe le parti in misura eguale
costituisce peraltro un regolamento solo provvisorio delle
spese processuali, che resta affidato in via definitiva alla
sentenza conclusiva del giudizio. Consegue che la decisione del
giudice di appello di disporre la compensazione delle spese
processuali di entrambi i gradi di giudizio afferisce
necessariamente anche alle spese riguardanti la consulenza
tecnica di ufficio disposta in primo grado ed è in linea con
l’ordinanza che poneva l’onere della relativa anticipazione a
carico di entrambe le parti in misura eguale. Ne deriva la
manifesta infondatezza della censura in esame.
Procedendo all’esame del ricorso incidentale, va osservato che
la prima doglianza, svolta per violazione degli artt.2043 e
2947 cc e per insufficiente o contraddittoria motivazione, per
omesso esame di una risultanza processuale decisiva in
relazione all’art.360 nn 3 e 5 cpc, si fonda sulla
considerazione che la Corte di appello, pur riconoscendo

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La censura è infondata. Invero, le spese riguardanti la

fondata la censura da essa formulata con il primo motivo di
appello sui criteri applicabili per la decorrenza della
prescrizione, avrebbe omesso di esaminare una risultanza (il
progetto di variante redatto dal Ventimiglia) che, se valutata,
avrebbe comportato una diversa statuizione sulla data di inizio

Con la seconda doglianza, il ricorrente senza indicare le norme
di legge assuntivamente violate lamenta infine che la Corte di
appello doveva accogliere tutte le domande proposte dalla
Cooperativa edilizia con l’atto introduttivo del giudizio.
Nessuno dei due motivi risulta accompagnato da

quesito di

diritto né da momento di sintesi.
Ora, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal
D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze
pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per
cassazione, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n.
1), 2), 3), 4) c.p.c., devono essere accompagnati, a pena di
inammissibilità – giusta la previsione dell’art. 375 cpc n. 5
– dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, che
si risolva, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, in una
chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al
vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali
per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso
si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto
del gravame (Sez.Un. n. 23732/07).

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del termine di prescrizione.

Qualora invece il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360
c.p.c. n. 5, come insegna questa Corte, la censura di omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un
momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne
circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia

assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza
della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la
motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass.
ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n.4311/2008).
Ciò premesso,posto che la norma di cui all’art. 366 bis citato
non può essere interpretata nel senso che il quesito di diritto
o il momento di sintesi possano desumersi implicitamente dalla
formulazione del motivo di ricorso, poiché una siffatta
interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della
norma in questione, ne consegue che il ricorso in esame, privo
dei requisiti richiesti, deve essere dichiarato inammissibile,
ai sensi dell’art.366 bis c.p.c.
Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, il ricorso
principale, siccome infondato, deve essere rigettato mentre va
invece dichiarato inammissibile il ricorso incidentale. La
reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese
tra le parti.
P.Q.M.

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l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si

La Corte decidendo sui ricorsi riuniti rigetta il ricorso
principale, dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa
tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 24.4.2013

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