Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14532 del 15/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 15/07/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 15/07/2016), n.14532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16269/2013 proposto da:

SOCIETA’ DELL’ACQUA PIA ANTICA MARCIA – SAPAM P.A. IN LIQUIDAZIONE

(c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO SAVONAROLA

6, presso l’avvocato SERGIO TORRI, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO

41, presso l’avvocato SALVATORE LUCIO PATTI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati SALVATORE MAZZA, MASSIMO IPPOLITI,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

EREDI DI R.A., FALLIMENTO EUROPA PARTECIPAZIONI S.P.A.,

M.I., F.F., P.P.,

G.F., S.A., PI.FE.,

PI.MA.AM., PI.ID., PI.RA., PI.IV.EN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1193/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato A. DI LELLA, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso; udito, per il controricorrente,

l’Avvocato S. MAZZA che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilita’, in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con separati atti di citazione, notificati negli anni 1994 e 1995, alcuni azionisti della Societa’ dell’Acqua Pia Antica Marcia (SAPAM) s.p.a. impugnavano, dinanzi al Tribunale di Roma, le Delib. assembleare 30 giugno 1994, Delib. assembleare 15 dicembre 1994 e Delib. assembleare 30 giugno 1995, aventi ad oggetto la riduzione del capitale e l’utilizzazione di riserve, ai fini del ripianamento delle perdite di bilancio, nonche’ l’approvazione del bilancio per l’anno 1994 e del consuntivo dei costi di certificazione del bilancio per l’anno 1993. Il Tribunale adito, con sentenza n. 46104/2002 – risolte talune questioni pregiudiziali e preliminari di merito, e riuniti i giudizi – rigettava tutte le domande proposte nei confronti della SAPAM. 2. Avverso la decisione di prime cure proponevano distinti appelli, poi riuniti, R.A., il Fallimento Europa Partecipazioni s.p.a. e D.A.D., che venivano sostanzialmente accolti dalla Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 1193/2013, depositata il 28 febbraio 2013 e notificata il 22 aprile 2013, con la quale per quel che ancora interessa – la Corte territoriale, disposta c.t.u., dichiarava, in via preliminare, la legittimazione del Fallimento Europa Partecipazioni s.p.a. ad agire nel presente giudizio e pronunciava, nel merito, l’annullamento delle delibere impugnate.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso la Societa’ dell’Acqua Pia Antica Marcia (SAPAM) s.p.a. nei confronti di D.A.D., degli eredi di R.A., del Fallimento Europa Partecipazioni s.p.a., di M.I., di F.F., di P.P., di G.F., di S.A., nonche’ di Pi.Fe., Ma.Am., Id., Ra. ed Iv.En., quali eredi di Pi.Gi., affidato a cinque motivi.

4. D.A.D. ha resistito con controricorso e con memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, la SAPAM denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 190 c.p.c. e art. 90 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

1.1. La ricorrente si duole del fatto che i consulenti tecnici di ufficio, nominati dalla Corte di Appello, nel riprendere le operazioni peritali dopo l’interruzione del giudizio dovuta alla morte di una delle parti, non abbiano dato comunicazione della data di convocazione ad uno dei c.t.p. della SAPAM, ing. F.F.M., unico esperto stimatore del collegio di consulenti di parte, essendo i c.t.p. presenti alle operazioni – a detta dell’istante – “due esimi commercialisti”, ma in quanto tali non dotati della necessaria competenza ad assistere alle operazioni di valutazione del patrimonio immobiliare della societa’ da parte dei consulenti d’ufficio. Ne sarebbe derivata, a parere dell’esponente, la nullita’ della consulenza d’ufficio e della sentenza che ne ha recepito le conclusioni.

1.2. La doglianza e’ infondata.

1.2.1. Questa Corte ha, invero, piu’ volte affermato, al riguardo, che il principio del contraddittorio si applica anche alle indagini compiute dal consulente tecnico d’ufficio, ma l’omissione della prescritta comunicazione determina la nullita’ della consulenza solo ove i diritti della difesa siano stati violati in concreto, per non essere state poste le parti in grado di intervenire alle operazioni. E’ bensi’ vero, infatti, che, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., comma 2 e art. 90 disp. att. c.p.c., comma 1, alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, e tuttavia l’omissione (anche di una) di simili comunicazioni induce la nullita’ della consulenza stessa soltanto qualora, con riguardo alle circostanze del caso concreto, essa abbia pregiudicato il diritto di difesa per non essere state le parti anzidette poste in grado di intervenire alle operazioni. Sicche’, la riferita nullita’ non si verifica qualora risulti che le medesime parti, con avviso anche verbale o in qualsiasi altro modo, siano state egualmente in grado di assistere all’indagine o di esplicare in essa le attivita’ ritenute convenienti (cfr., ex plurimis, Cass. 3155/1991; 10971/1994; 5093/2001; 8227/2006; 10054/2010).

1.2.2. Cio’ posto, va rilevato che, nel caso concreto, dall’impugnata sentenza (pp. 33 e 34) si evince che alla prima seduta fissata dal consulenti d’ufficio (11 marzo 2011) erano presenti due dei consulenti di parte della SAPAM, mentre alla seconda (1 aprile 2011) ne erano presenti addirittura tre. Se ne deve dedurre che l’odierna ricorrente, non solo era a conoscenza della data stabilita dai consulenti per l’inizio ed il prosieguo delle operazioni peritali, ma era, altresi’, ben rappresentata da piu’ consulenti di parte. Il fatto che uno solo di essi fosse assente non puo’, pertanto determinare la nullita’ della consulenza e, tanto meno, dell’impugnata sentenza, ben potendo il c.t.p. pretermesso acquisire dagli altri i dati necessari ad elaborare le allegazioni tecniche difensive di sua pertinenza. E, comunque, e’ decisivo il rilievo che la istante non allega alcun elemento dal quale possa inferirsi un effettivo e concreto vulnus per il proprio diritto di difesa, in ipotesi derivato dalla denunciata omissione di comunicazione al predetto c.t.p..

1.3. La censura va, pertanto, rigettata.

2. Con il secondo motivo di ricorso la SAPAM denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2378 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. La ricorrente lamenta che la Corte di Appello non abbia ritenuto, a differenza di quanto aveva deciso il Tribunale, di escludere la legittimazione attiva nel presente giudizio in capo al Fallimento Europa Partecipazioni s.p.a., benche’ gli stessi diritti azionati dalla procedura fallimentare fosse stati azionati dalla Relseo International inc., la quale si sarebbe resa cessionaria – nelle more del giudizio di tutti i diritti inerenti alle azioni SAPAM delle quali era titolare la societa’ fallita, come si rileverebbe dall’atto di intervento in giudizio della Relseo International inc. La SAPAM denuncia, pertanto, la violazione dell’art. 2378 c.c., nella quale sarebbe incorsa l’impugnata sentenza, per avere ritenuto legittimato al giudizio un soggetto, il Fallimento Europa Partecipazioni s.p.a., che non rivestiva la qualita’ di socio.

2.2. Il motivo e’ inammissibile.

2.2.1. Va – difatti – osservato, in proposito, che il ricorrente che intenda censurare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto deve indicare e trascrivere nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, anche i riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti di operativita’ della violazione denunciata (cfr. Cass. nn. 15910/2005; 7846/2006; 27197/2006).

2.2.2. Nel caso di specie, la ricorrente – a fronte dell’affermazione contenuta nella sentenza di appello (p. 32), secondo la quale la Relseo “non e’ titolare di azioni della SAPAM”, giacche’ “l’atto di cessione riguarda non le azioni, ma il credito vantato nei confronti della SAPAM” – non ha ne’ trascritto (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ne’ allegato al ricorso (art. 369 c.p.c., comma 2) tale presunto atto di cessione, onde consentire alla Corte di stabilire sulla base del solo atto introduttivo del presente giudizio, nel rispetto del principio di autosufficienza, se la censura sia, o meno, fondata, non essendo di certo, a tal fine, sufficiente quanto unilateralmente dichiarato dalla Relseo, nel proprio interesse, nella comparsa di intervento in giudizio.

2.3. Il mezzo, poiche’ inammissibile, non puo’, pertanto, essere accolto.

3. Con il terzo motivo di ricorso, la SAPAM denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2423 bis c.c., nn. 1, 2, e 4 e art. 2426 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. La istante deduce che la decisione sarebbe fondata “su elaborati peritali le cui risultanze hanno indotto il giudicante all’errore ed alla violazione di legge”.

3.2. Il motivo e’ inammissibile.

3.2.1. Il vizio di violazione di legge si risolve, invero, in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico, con la correlata necessita’ che la sua denunzia debba avvenire a pena di inammissibilita’, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimita’ (Cass. 10295/2007; 635/2015). Ne consegue che devono ritenersi inammissibili quei motivi che non precisino in alcuna maniera in che cosa consista la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitino ad un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. 15263/2007).

3.2.2. Nel caso concreto, la SAPAM si e’ limitata ad affermare, nell’intestazione del motivo, le violazioni di legge nella quale sarebbe incorso il giudice di appello, senza indicare affatto in quale modo le affermazioni in diritto della decisione impugnata sarebbero state errate, ed in quale passaggio o punto della sentenza di secondo grado tali violazioni sarebbero state – in ipotesi – poste in essere. La censura, come si desume dai riferimenti agli elaborati peritali ed alle conclusioni dei periti in essa contenuti, e’ – in realta’ – mirata a contestare il giudizio di fatto operato dalla Corte di merito, senza che, peraltro, un ipotetico vizio di motivazione, anche a volerlo ritenere implicitamente proposto, cosi’ come formulato, potrebbe considerarsi ammissibile, stante il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile ratione temporis).

4. Con il quarto motivo di ricorso, la SAPAM denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte di Appello abbia emesso condanna della SAPAM anche alle spese processuali in favore del deceduto appellante R.A., sebbene gli eredi non si fossero costituiti dopo la riassunzione del processo conseguente all’interruzione per il decesso del R., ed ancorche’ tali spese fossero state compensate nei confronti di tutte le altre parti che – come gli eredi R. – non si erano costituite dopo la riassunzione del giudizio.

4.2. Il motivo e’ fondato.

4.2.1. Va osservato, invero che, nell’ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti, l’erede puo’ ottenere la condanna della controparte, rimasta soccombente, a rimborsare le spese del giudizio, relativamente sia all’attivita’ processuale svolta dal difensore del defunto fino all’interruzione del processo, sia all’attivita’ processuale conseguente alla sua costituzione in giudizio, solo qualora si sia ritualmente costituito nel processo, a seguito della riassunzione operata nei suoi confronti (Cass. 3396/1997).

4.2.2. Nel caso di specie, pertanto, l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha liquidato le spese processuali del giudizio di appello nei confronti del deceduto R.A., sebbene i suoi eredi non si fossero costituiti a seguito della riassunzione del giudizio, deve reputarsi erronea.

4.3. Il mezzo in esame va, pertanto, accolto.

5. L’accoglimento del quarto motivo di ricorso comporta la cassazione della sentenza di appello in parte qua. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui’ all’art. 384 c.p.c., comma 2, dichiara non dovute le spese processuali a favore degli eredi di R.A..

6. Le spese sostenute del presente grado dal D.A. vanno poste a carico della ricorrente rimasta soccombente nei suoi confronti, nella misura di cui in dispositivo.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il quarto motivo di ricorso, disattesi gli altri; cassa l’impugnata sentenza in parte qua e, decidendo nel merito, dichiara non dovute le spese processuali a favore degli eredi di R.A.; condanna la ricorrente alle spese sostenute dal resistente Domenico D.A. nel presente giudizio, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

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