Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14531 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 09/07/2020), n.14531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

K.A., rappr. e dif. dall’avv. Cinzia Circosta,

cinciacircosta.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo studio

dello stesso in Roma, via San Leo n. 34, come da procura spillata in

calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Roma 20.2.2019, in R.G.

44152/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 23.6.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. K.A. impugna il decreto Trib. Roma 20.2.2019, in R.G. 44152/2018 che ne ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. il tribunale ha così: a) premesso la non credibilità del narrato del richiedente, giunto in Italia in aprile 2017, in relazione alla decisiva circostanza di data contraddittoria di un “avviso di ricercà emesso solo a novembre 2017, a fronte di una fuga da possibili conseguenze per l’esito mortale e lesivo di un incidente provocato con il proprio taxi in Costa d’Avorio ben prima, nel dicembre 2015, circostanza non chiarita in sede di audizione giudiziale; b) rilevato l’assenza di una situazione persecutoria rilevante sotto il profilo sensibile di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, mancando connessione con gruppi di appartenenza o affiliazione politica; c) ritenuto l’estraneità di quanto comunque riferito alla qualificazione dei danni gravi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, anche per l’assenza di un riscontro individualizzante; d) negato la sussistenza di un conflitto generalizzato nel Paese di provenienza; e) negato il diritto alla protezione umanitaria, stante l’insufficiente integrazione sociale e comunque la mancata prova di uno stato di vulnerabilità;

3. il ricorso descrive cinque motivi di censura, cui resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a), per la valutazione sulla credibilità effettuata dal tribunale; con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), anche come vizio di motivazione, per avere il decreto omesso un esame su base individuale della domanda, così trascurando il motivo dell’espatrio, il fondato timore del sistema giudiziario ivoriano e il fatto che l’avviso contestato in realtà ne seguiva un altro del 2015; con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), avendo il tribunale trascurato il collegamento degli atti di persecuzione con la pregressa attività politica del richiedente, svolta in favore di una parte politica (del Presidente G.) avversa a quella del Presidente O., derivando da ciò anche persecuzione psichica; con il quarto motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), non essendo stato considerato il rischio di tortura o altra pena inumana o degradante, posto che il richiedente non è responsabile dei morti e feriti occasionati dall’incidente stradale e il sistema giudiziario che lo giudicherebbe ancora risente dell’influenza del Presidente O., sostenuto dai francesi; con il quinto motivo si contesta la omessa concessione della protezione umanitaria, che s’imporrebbe alla luce dei fatti esposti e con il rischio di vita in caso di rimpatrio e incarcerazione;

2. il primo motivo è inammissibile, limitandosi esso, al di là della configurazione redazionale, a censurare la motivazione con cui il tribunale ha, sulla base di un quadro giustificativo non convincente già per la Commissione territoriale, escluso la credibilità del narrato; e proprio la ricostruzione motivata dell’apprezzamento del giudice di merito esclude si sia in presenza di motivazione apparente, non risultando perciò superati i limiti ora posti al relativo vizio dalla novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e tratteggiati da Cass. s.u. 8053/2014; nè sussiste violazione del procedimento che la norma invocata prevede per la verifica della genuinità soggettiva, dandosi invero atto che le contraddizioni non sono state ricomposte all’esito dell’audizione giudiziale;

3. i motivi dal secondo al quarto, da affrontare unitariamente per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; va invero ripetuto che “il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso D.Lgs., con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine” (Cass. 15794/2019); peraltro la valutazione sulla omessa prospettata individualizzazione di pericoli o gravi rischi, quale esplicitamente enunciata dal tribunale, non è avversata in modo specifico, nè sono allegate possibili specifiche circostanze di pericoli o gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette di riportare in quali termini eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, così impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo in apparenza effettuato solo con il ricorso in cassazione – ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione; ciò vale per la presunta discriminazione o persecuzione politica che avrebbe riguardato l’espatrio del richiedente, circostanza che appare nuova, in relazione alla sua omessa menzione in decreto e ai limiti citati della censura svolta sul punto, priva di autosufficienza;

4. va invero ricordato, sul punto, che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, “non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione” (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalle più recenti Cass. n. 9842 del 2019, nonchè Cass. 1532 e 1533 del 2020); il tribunale ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda;

5.così come, si aggiunge, non ha trovato alcuna censura la motivata indicazione di insussistenza, nel Paese di riferimento, di conflitto armato, per gli effetti di tutela D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), stante l’insufficiente prospettazione dei danni a livello dei requisiti di cui alle lett. a) e b) art. cit.;

6. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripresa nel quinto motivo e peraltro inammissibilmente richiamata con un documento depositato il 13.12.2019 (non oggetto di previo, provato, contraddittorio), è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal tribunale, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno e soprattutto nel ricorso, tale non potendosi apprezzare il generico rinvio al rischio di vita da incarcerazione connesse al rientro e, prima ancora, incertamente legato all’espatrio (per la esclusa credibilità della stessa circostanza); si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal decreto; l’odierna censura è così inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

7. sul punto, va invero aggiunto che “la ritenuta inattendibilità del richiedente la protezione rende comunque impossibile una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 1088/2020, 780/2019, 25075/2017);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come meglio in dispositivo; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del procedimento, liquidate in Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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