Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14528 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 09/07/2020), n.14528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

E.F., rappr. e dif. dall’avv. Antonio Gregorace,

antoniogregorace.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo

studio dello stesso in Roma, via della Giuliana n. 32, come da

procura spillata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Roma 21.1.2019, cron. 1131/2019,

in R.G. 46878/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 23.6.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. E.F., impugna il decreto Trib. Roma 21.1.2019, cron. 1131/2019, in R.G. 46878/2018 che ne ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale (notificato il 27.6.2018), la quale aveva escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. il tribunale, premesso che il giudizio ha per oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata e ciò assorbendo ogni profilo di eventuale nullità del provvedimento amministrativo, ha così: a) rilevato la non appartenenza delle ragioni di espatrio sensibili ad una situazione persecutoria rilevante sotto il profilo incidente D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 8, mancando connessione con gruppi di appartenenza o affiliazione politica o motivazioni religiose; b) ritenuto l’estraneità di quanto comunque riferito alla qualificazione dei danni gravi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, anche per l’assenza di un riscontro individualizzante, apparendo la fuga dalle possibili conseguenze di un reato connesso alla vendita abusiva di una quota immobiliare anche di proprietà di parenti priva di connessione con i richiamati rischi; c) negato la sussistenza di un conflitto generalizzato nel Paese di provenienza (Gambia); d) negato il diritto alla protezione umanitaria, stante l’insufficiente integrazione sociale e comunque la mancata prova di uno stato di vulnerabilità, null’altro avendo allegato il ricorrente;

3. il ricorso descrive quattro motivi di censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta l’omessa cooperazione del tribunale nella ricerca della prova sui fatti esposti nella domanda e con riguardo all’illegittimità del provvedimento amministrativo; con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione avuto riguardo alle dichiarazioni rese alla commissione e alle allegazioni recate in giudizio circa le condizioni nel Paese d’origine; con il terzo motivo si censura l’omessa concessione della protezione sussidiaria stante la situazione nel Paese di provenienza; con il quarto motivo si contesta la omessa concessione della protezione umanitaria, che s’imporrebbe alla luce dei fatti esposti e con il rischio in caso di rimpatrio, anche deducendo l’omessa attivazione istruttoria officiosa;

2. il primo motivo è inammissibile, posto che esso, cumulando la violazione di legge e la deduzione del vizio di motivazione, ha formulato una critica tanto ampia quanto generica, impedendo di cogliere in modo puntuale quale sia la carenza di applicazione della legge o di sussunzione del fatto che il tribunale avrebbe operato, con riguardo – a seguire i passi più specifici del mezzo – la non cooperazione espletata su “ogni singolo aspetto della vicenda narratà; va così ripetuto che “l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse” (Cass. 26790/2019);

3. i motivi secondo e terzo, da affrontare insieme per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; la valutazione sulla omessa prospettata individualizzazione di pericoli o gravi rischi, quale esplicitamente enunciata dal tribunale in ragione dell’assenza di motivi di persecuzione religiosa o politica e dell’appartenenza del conflitto a vicenda di comune illecito penale in contrapposizione ad aspettative dei parenti vulnerate da fatto del richiedente, non è avversata in modo specifico, nè sono allegate possibili specifiche circostanze di pericoli o gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette di riportare in quali termini eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, così impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo generico effettuato con il ricorso in cassazione – ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione (secondo Cass. s.u. n. 8053/2014); ciò vale per la presunta discriminazione o persecuzione religiosa o politica che avrebbe riguardato l’espatrio del richiedente, circostanza negata dal tribunale e non idoneamente contestata;

4. va altresì ricordato, sul punto, che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, “non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione” (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalle più recenti Cass. n. 9842 del 2019, nonchè Cass. 1532 e 1533 del 2020); il tribunale ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda;

5. così come, si aggiunge, non ha trovato alcuna censura la motivata indicazione di insussistenza, nel Paese di riferimento, di conflitto armato, per gli effetti di tutela D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), stante l’insufficiente prospettazione dei danni a livello dei requisiti di cui alle lett. a) e b) art. cit. e il mero richiamo a fonti diverse da quelle esplicitate dal tribunale;

6. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripresa nel quarto motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal tribunale, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal decreto; l’odierna censura è così inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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