Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14523 del 16/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 16/06/2010), n.14523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33828-2006 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

DARDANELLI 15, presso lo studio dell’avvocato AMADIO FRANCESCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BERNARDINETTI PAOLO, giusta

delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MONTELEONE SABINO in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA IPPOLITO NIEVO, 61, presso lo

studio dell’avvocato BERNETTI MARIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato CASCIANI GIUSEPPE, delega in atti;

– resistente con separato atto di nomina –

avverso la sentenza n. 273/2005 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 28/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato BERNARDINETTI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO WLADIMIRO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. C.V. propone ricorso per Cassazione nei confronti del Comune di Monteleone Sabino (che ha depositato procura) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento e liquidazione ICI per gli anni 93/98, la C.T.R. Lazio accogliendo l’appello del Comune, riformava la sentenza di primo grado (che, secondo la sentenza impugnata, aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente rilevando che l’immobile era stato classificato in catasto in parte come rurale e che occorreva pertanto rideterminare l’imposta sulla base del reddito attribuito alla parte di esso censita come urbana). In particolare, i giudici d’appello rilevavano: che, considerata la doppia sospensione del periodo feriale, l’appello, in quanto spedito in data 15-09-03 avverso sentenza depositata il 16-06-02, doveva ritenersi tempestivo;

che “la documentazione può essere esibita anche nel corso del procedimento”, non potendo la mancata costituzione in primo grado precludere al Comune la prova della destinazione dell’immobile ad attività commerciale con autorizzazioni rilasciate dalla stessa amministrazione comunale; che, infine, ciò che rileva ai fini ICI è l’effettiva destinazione dell’immobile, non la sua classificazione catastale.

2. Col primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 327 c.p.c. oltre che vizio di motivazione, la ricorrente afferma che erroneamente i giudici della C.T.R. avevano ritenuto tempestivo l’appello spedito il 15-09-03 avverso sentenza depositata il 16-01-02, applicando alla fattispecie un illegittimo ed erroneo doppio termine feriale.

La censura è infondata, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene), al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, (che va calcolato “ex nominatione dierum”, prescindendo cioè dal numero dei giorni da cui è composto ogni singolo mese o anno, ex art. 155 c.p.c., comma 2), devono aggiungersi 46 giorni ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 1, e L. n. 742 del 1969, art. 1, comma 1, non dovendosi tenere conto dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno per effetto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (v. tra le altre cass. n. 6748 del 2005), sempre che la data cosi calcolata non cada proprio durante lo stesso periodo feriale, nel qual caso, in base al principio secondo cui “dies a quo non computatur in termine”, esso decorre dal 16 settembre, dovendo inoltre rilevarsi che, poichè il periodo feriale è da ritenersi, ai fini de quibus, “neutro”, e deve perciò poter essere rispettato interamente, si verifica il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui dopo una prima sospensione il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale (v. tra le altre cass. n. 24816 del 2005).

Col terzo motivo di ricorso (da esaminare prioritariamente per ragioni logiche), deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, oltre che vizio di motivazione, la ricorrente rileva che il citato art. 5 in relazione ai fabbricati iscritti a catasto, come pacificamente quelli oggetto di accertamento stabilisce che il valore della base imponibile è costituito da quello che risulta applicando l’ammontare delle rendite di cui al catasto, pertanto il Comune poteva soltanto impugnare la classificazione attribuita dall’UTE agli immobili, o, in mancanza, per ciascun atto di imposizione tributaria doveva necessariamente assumere le rendite quali risultanti in catasto al primo gennaio dell’anno di imposizione (e nella specie non avrebbe dovuto chiedere nessuna imposta perchè il fabbricato rurale in questione non era produttivo di alcun reddito).

La censura è fondata.

Premesso che nella sentenza impugnata (non censurata sul punto) si da per presupposta una iscrizione al catasto dei fabbricati de quibus (in contrasto con l’effettiva destinazione dei medesimi), occorre considerare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene) l’immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come “rurale”, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. in K. n. 133 del 1994, non è soggetto all’imposta, ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23 bis, conv. in L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a); qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI, e, allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta (v. S.U. n. 18565 del 2009).

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato e il terzo accolto, con assorbimento del secondo (col quale si censura la sentenza impugnata per avere i giudici della C.T.R. acquisito in appello documentazione nuova, attestante l’adibizione dell’immobile de quo ad attività commerciali) attesa l’irrilevanza ai fini ICI, per quanto affermato in relazione al terzo motivo, di una eventuale situazione di fatto in contrasto con le risultanze catastali.

La sentenza deve essere pertanto cassata in relazione al motivo accolto, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito col rigetto dell’appello del Comune. Atteso le sviluppo processuale dell’intera vicenda si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità e di quello d’appello.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta l’appello del Comune e compensa le spese del giudizio d’appello e del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2010

 

 

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