Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14522 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/06/2017, (ud. 16/05/2017, dep.09/06/2017),  n. 14522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3744/2016 R.G. proposto da:

RITMICA ENTERTAINMENT S.R.L., in persona del legale rappresentante

p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Pierpaolo Ristori, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via M.

Colonna, n. 54;

– ricorrente –

contro

COMPAGNIA DELLA RANCIA S.R.L., in persona del legale rappresentante

p.t. M.F.S., rappresentata e difesa dagli Avv.

Giuseppe Lombardi e Alberto Deasti, con domicilio eletto presso lo

studio degli stessi in Roma, via del Plebiscito, n. 102;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 860/15

depositata il 3 agosto 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 maggio

2017 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Ritmica Entertainment S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 3 agosto 2015, con cui la Corte d’appello di Ancona, nel rigettare il gravame da essa interposto avverso la sentenza emessa il 7 marzo 2008 dal Tribunale di Macerata, recante la dichiarazione di risoluzione del contratto di associazione in partecipazione stipulato con la Compagnia della Rancia S.r.l. e la condanna dell’appellante al pagamento della somma di Euro 23.924,97, oltre interessi, l’ha condannata al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado, liquidate in Euro 2.835,00 per la fase di studio, Euro 1.820,00 per la fase introduttiva ed Euro 34.860,00 per la fase decisoria, oltre agli accessori di legge;

che la Compagnia della Rancia ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, anch’esso affidato ad un solo motivo;

che il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, che la motivazione dell’ordinanza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con l’unico motivo d’impugnazione la ricorrente ha denunciato la violazione o la falsa applicazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247 e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, nonchè l’omissione, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver immotivatamente liquidato le spese relative alla fase decisoria in misura superiore al massimo previsto in relazione al valore della controversia, non superiore complessivamente ad Euro 300.000,00;

che le censure proposte dalla ricorrente con l’atto di appello, riguardanti da un lato il rigetto delle domande di accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto di associazione in partecipazione stipulato tra le parti e di risarcimento del danno per l’inadempimento, quantificato dall’attrice in Euro 250.000,00, e dall’altro l’accoglimento della domanda riconvenzionale di pagamento del corrispettivo pattuito, liquidato dal giudice di primo grado in Euro 23.924,97, hanno comportato la devoluzione al giudice d’appello dell’intera controversia, il cui valore, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, deve considerarsi indeterminabile, avuto riguardo alla mancata indicazione del valore della parte di rapporto in contestazione e del cumulo di tale domanda con le altre reciprocamente proposte dalle parti (cfr. Cass., Sez. 3, 17/01/2007, n. 967; Cass., Sez. 2, 31/10/1989, n. 4557; 9/07/ 1987, n. 5983);

che, ciò nonostante, l’importo riconosciuto dalla sentenza impugnata a titolo di compenso per la fase decisoria risulta ugualmente superiore, in misura assai rilevante, a quello massimo previsto dalla tabella A allegata al D.M. n. 55 del 2014, per le prestazioni giudiziali relative a controversie di valore indeterminabile svoltesi dinanzi alla corte d’appello, ivi comprese quelle di elevata complessità, senza che tale liquidazione risulti accompagnata dalla specificazione delle ragioni che giustificano il superamento del predetto limite;

che, infatti, la liquidazione del compenso, pur non essendo vincolata alla osservanza delle soglie numeriche indicate dalle predette tabelle, non aventi portata cogente in virtù del venir meno del principio d’inderogabilità delle tariffe forensi, deve aver luogo sulla base di una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi indicati dal cit. D.M. n. 55, art. 4, da esplicitarsi adeguatamente in motivazione, soprattutto qualora, come nella specie, risulti ampiamente superato l’importo massimo risultante dall’applicazione dei parametri legali;

che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il predetto superamento non può considerarsi frutto di un mero errore materiale o di calcolo, emendabile attraverso la procedura di cui all’art. 287 c.p., potendo ravvisarsi tale errore soltanto nel caso in cui l’importo indicato in un provvedimento costituisca l’effetto di una svista occorsa nella redazione e rilevabile ictu oculi in base all’esame degli atti o il risultato di un’inadeguata applicazione di regole matematiche ad un computo correttamente impostato sulla base di presupposti numerici esatti ed operazioni individuate in modo appropriato (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3, 22/11/2016, n. 23704; 5/08/2002, n. 11712; Cass., Sez. 1, 11/11/2003, n. 16903);

che infatti, nonostante la vistosa sproporzione rispetto agl’importi liquidati per la fase di studio e quella introduttiva, quello accordato per la fase decisoria non costituisce il mero richiamo di un dato numerico rigidamente previsto dalla tariffa, nè il risultato di un mero calcolo matematico, ma l’espressione di una valutazione discrezionale, fondata sui presupposti indicati dal decreto ministeriale, che può legittimamente condurre anche al riconoscimento di un importo superiore alla soglia massima prevista per lo scaglione tariffario al quale è riconducibile la controversia, a condizione, come si è detto, che risultino adeguatamente precisate le relative ragioni;

che nella specie, peraltro, la mancata indicazione degli elementi presi in considerazione ai fini della liquidazione del compenso relativo alla fase decisoria, posta anche in relazione con l’evidente diversità dei criteri adottati per la determinazione dei compensi relativi alle altre fasi processuali, si traduce in una carenza motivazionale di gravità tale da impedire la ricostruzione dell’iter logico-giuridico seguito per giungere alla decisione, in tal modo rendendo configurabile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1;

che la fondatezza delle censure proposte dalla ricorrente, consentendo di escludere la pretestuosità dell’impugnazione, comporta il rigetto della domanda di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c., impropriamente avanzata nella forma del ricorso incidentale, con cui la controricorrente sostiene che l’impugnazione della sentenza d’appello costituisce un abuso dello strumento processuale, tenuto conto dell’intervenuta cessazione della materia del contendere e del giudicato formatosi in ordine alla sussistenza ed all’ammontare del credito controverso, nonchè della disponibilità, da essa manifestata, a ridurre l’importo dovuto in relazione alle censure proposte con il ricorso;

che la sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dallo accoglimento del ricorso principale, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la liquidazione delle spese del giudizio d’appello, che si quantificano complessivamente in Euro 9.515,00 (ivi compresi Euro 2.835,00 per la fase di studio, Euro 1.820,00 per la fase introduttiva ed Euro 4.860,00 per la fase decisoria), oltre agli accessori di legge, avuto riguardo al valore indeterminabile della controversia, all’importanza della stessa per l’attività svolta dalle parti, alla natura della causa ed alla relativa complessità delle questioni trattate;

che l’oggettiva incertezza in ordine alla natura del vizio lamentato con il ricorso principale giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

PQM

 

accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di appello in Euro 9.515,00, oltre agli accessori di legge. Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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