Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14519 del 10/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 14519 Anno 2015
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA
sul ricorso 21146-2013 proposto da:
GIGLIO CATERINA GRAZIA GGLCRN73C45C565U, in proprio
e nella qualità di legale rappresenante della BLACK JACK SNC di
GILGIO CATERINA & C., elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE GORIZIA 51-B, presso lo studio dell’avvocato FERRUCCIO
ZANNINI, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHET E MILONE
giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente contro
CONDOMINIO VIA DON MINZONI 8 – 10 CESANO
BOSCONE, in persona dell’amministratore pro tempore,

—Te.)

Data pubblicazione: 10/07/2015

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 35/B, presso lo
studio dell’avvocato GABRIELE DI PAOLO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato SABRINA MITA giusta procura
speciale in calce al controricorso;

nonchè contro
VALENTINI NATALINA;
– intimata avverso la sentenza n. 2673/2012 della CORTE D’APPELLO di
MILANO del 4/07/2012, depositata il 24/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/06/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l’Avvocato Michele Milone difensore della ricorrente che si
riporta agli scritti;
udito l’Avvocato Di Paolo Gabriele difensore del controricorrente che
si riporta agli scritti.

Ric. 2013 n. 21146 sez. M3 – ud. 10-06-2015
-2-

– con troricorrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La domanda di risarcimento dei danni che la Black Jack s.n.c. di Giglio
Caterina, nella qualità di titolare dell’esercizio commerciale bar Trattoria
Pizzeria, propose nei confronti di Valentini Natalina (proprietaria dei
locali) e del Condominio di Via Don Minzoni 8, deducendo
l’interruzione dei lavori di ristrutturazione dei locali che avevano
costretto la società a chiudere l’esercizio commerciale, fu rigettata dal
Tribunale di Milano.
La Corte di Appello di Milano rigettò l’impugnazione (sentenza del 24
luglio 2012).
2. Avverso la suddetta sentenza, Giglio Caterina in proprio e nella qualità
di legale rappresentante della Black Jack s.n.c. propone ricorso per
cassazione con tre motivi.
Resiste con controricorso il Condominio di via Don Minzoni.
Valentini Natalina non svolge difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1La Corte di merito, riconosciuto che i lavori per l’agibilità dei locali, cui
erano tenuti la proprietaria e il Condominio, furono avviati, ma non
completati, essendo stati ripresi solo dopo che il locale era stato rilasciato
dalla società conduttrice, e che si erano protratti per lungo tempo (dalla
fine di settembre 2000 alla data del rilascio nel luglio 2001) a causa di una
lunga interruzione, così costringendo alla chiusura dell’esercizio
commerciale, ha rigettato la domanda di danni all’esito della valutazione
delle prove acquisite.
In particolare, ha ritenuto che dalle testimonianze delle parti
contrapposte risultavano le contrapposte tesi in ordine alle ragioni della
sospensione dei lavori; secondo le quali il conduttore poneva ostacoli
allo spostamento dei “banconi”; il proprietario poneva ostacoli al
necessario innalzamento del pavimento, che avrebbe comportato il
rifacimento delle vetrate. Conseguentemente, ha ritenuto carente la
prova, a carico della parte attrice, in ordine alla imputabilità della
sospensione dei lavori al Condominio e alla proprietaria.
Poi, ha ritenuto non rilevante la rinnovata richiesta istruttoria, già negata
dal primo giudice, su un capitolo di prova testimoniale (cap. 29) e la
consulenza tecnica, stante l’oramai mutato stato dei luoghi.
2. Con i primi due motivi di ricorso, unitariamente considerati per la loro
stretta connessione, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.
2697, 2051, 2053 c.c., 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c.,
comma 1, nn. 3 e 5. Si sostiene che dalle risultanze documentali e orali,
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non valutate dalla Corte di merito, emerge la colpa della Valentini e del
Condominio ai fini della prolungata chiusura dell’esercizio (da settembre
2000 fino a luglio 2001).
2.1 I motivi sono inammissibili.
Entrambi, anche quando invocano le norme processuali attinenti alla
prova, si risolvono in una critica alla valutazione che il giudice di merito
ha dato delle prove acquisite, delle quali il ricorrente pretenderebbe un
nuovo e più favorevole esame; esame che è precluso al giudice di
legittimità, non potendo ripercorrersi l’apprezzamento compiuto senza
omissioni e vizi logici dal giudice del merito.
Ed, infatti, si chiede espressamente alla Corte di stabilire se la chiusura
dei locali fu dovuta a colpa della ricorrente o a fatto delle controparti.
Nessun autonomo rilievo hanno, rispetto 2112 decisione impugnata, le
prospettate violazioni delle norme di diritto sostanziale. Rispettato il
principio dell’onere della prova per la mancata prova della imputabilità
della interruzione dei lavori, e a parte l’evidente non conferenza del
richiamo dell’art. 2053 c.c., non rileva neanche l’art. 2051 c.c., pure
indirettamente richiamato nella sentenza impugnata, perché non
collegato alla ratio decidendi.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione in relazione alla mancata ammissione dei
mezzi di prova reiterati in grado d’appello. Si sostiene che dal capitolo 29
delle memorie del ricorrente emerge che dopo la consegna dell’immobile
alla proprietaria, la Sig. Valentini e il Condominio ripresero i lavori di
manutenzione senza lo spostamento dei banconi che mantennero la loro
posizione originaria. Nonché che la consulenza sarebbe stata necessaria
anche per determinare il valore dell’azienda.
3.1 Anche tale motivo è inammissibile.
Con il capitolato testimoniale (riprodotto in ricorso), l’originaria attrice
mirerebbe a provare che i lavori furono ripresi dopo il rilascio dei locali
(circostanza pacifica) e che furono effettuati senza spostare i banconi.
Evidente è la non decisività di quest’ultima circostanza, atteso che le
modalità concrete in cui i lavori si svolsero non si riverbera certo sul
fatto che l’esecuzione degli stessi potesse essere stata ostacolata dalla
decisione sullo spostamento dei banconi.
Ogni rilievo in ordine alla consulenza attinente al valore, resta assorbito
dalla conferma della sentenza di merito che rigetta la domanda.

4.In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese processuali,
liquidate secondo i parametri vigenti, seguono la soccombenza nei
confronti della controricorrente.
Non avendo l’altra intimata svolto attività difensiva, non sussistono
i presupposti per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

LA CORTE DI CASSAZIONE
dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali
del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.800,00 di cui 200,00,
per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dichiara la
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta
Civile – 3, il 10 giugno 2015.

P.Q.M.

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