Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14517 del 10/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14517 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 20113-2010 proposto da:
SCALAMANDRE’ SILVESTRO SCLSVS72CO2F537G, elettivamente
domiciciliato in ROMA, VIA GAETA 64 SCALA A int. 7,
presso lo studio dell’ avvocato GENOVESE COSIMO, che
lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
1364

contro

SERIT SICILIA S.P.A. – AGENTE DELLA RISCOSSIONE PER LE
NOVE PROVINCE SICILIANE (già denominata MONTEPASCHI
SE.RI.T. S.P.A.) 00833920150;
– intimata –

Data pubblicazione: 10/06/2013

Nonché da:
SERIT SICILIA S.P.A. – AGENTE DELLA RISCOSSIONE PER LE
NOVE PROVINCE SICILIANE (già denominata MONTEPASCHI
SE.RI.T. S.P.A.) 00833920150, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

dell’avvocato IELO ANTONIO INNOCENZO, rappresentata e
difesa dagli avvocati VINCI ENRICO, CANTAVENERA
DOMENICO, giusta delega in atti;
– controricorrente ricorrente incidentale contro

SCALAMANDRE’ SILVESTRO SCLSVS72CO2F537G, elettivamente
domiciciliato in ROMA, VIA GAETA 64 SCALA A int. 7,
presso lo studio dell’ avvocato GENOVESE COSIMO, che
lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controri corrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 625/2010 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 04/05/2010 r.g.n. 1110/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/04/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato GENOVESE COSIMO;
udito l’Avvocato IELO ANTONIO per delega CANTAVENERA
DOMENICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il

in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 87, presso lo studio

rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso

incidentale

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R.G. n. 20113/10
Ud. 16.4.13
Scalamandrè c. SERIT Sicilia S.p.A.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 4.5.10 la Corte d’appello di Messina rigettava il
gravame interposto da Silvestro Scalamandrè contro la pronuncia con cui il
Tribunale di Barcellona P.G. ne aveva respinto la domanda, proposta con ricorso

depositato il 2.5.2007, di accertamento d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato alle dipendenze della SERIT Sicilia S.p.A. (già Montespaschi SERIT
S.p.A.), previa declaratoria di nullità della clausola di apposizione del termine ai
contratti stipulati con detta società, per l’espletamento di mansioni di messo
notificatore, svoltisi dal 16.10 al 20.12.96 e dal 22.3 al 28.5.97.
Statuivano i giudici del merito che tali contratti erano stati legittimamente stipulati
ai sensi dell’art. 23 legge n. 56/87.
Per la cassazione della sentenza ricorre lo Scalamandrè affidandosi a sette motivi.
La SERIT Sicilia S.p.A. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale
articolato in due motivi, di cui uno condizionato, cui lo Scalamandrè resiste con
controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i due ricorsi in quanto aventi ad
oggetto la stessa sentenza.

Il ricorso principale
1.1 – Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 1 legge n. 230/62 e dell’art. 12 disp. prel. c.c., nonché vizio di
motivazione, poiché — contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza nel caso di specie non sussistevano la straordinarietà o l’occasionalità delle
mansioni di messo notificatore cui era stato addetto il ricorrente, né la sua
definibilità temporale, trattandosi di mansioni per il cui espletamento la SERIT
Sicilia S.p.A. faceva ricorso, ininterrottamente fin dal 1994, a contratti a termine;
quanto all’art. 23 legge n. 56/87, le eventuali ipotesi aggiuntive di contratto a
termine potevano essere previste solo dalla contrattazione collettiva e comunque
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Scalamandrè c. SERIT Sicilia S.p.A.

dovevano salvaguardare la normativa, all’epoca vigente, di cui alla legge n. 230/62
così come previsto dal co. 2° dell’art. 25 e dall’ult. co. dell’art. 27 CCNL del 1995.
1.2 – Con il secondo motivo si fanno valere due censure: con la prima si denuncia
violazione dell’art. 23 legge n. 56/87 perché mentre tale norma attribuisce una

delega piena — quanto alla previsione di contratti a termine — alla contrattazione
collettiva nazionale o locale, nel caso di specie i contratti a termine intercorsi fra lo
Scalamandrè e la SERIT Sicilia S.p.A. erano avvenuti in base ad accordi conclusi
dai sindacati direttamente con la società; con la seconda si prospetta violazione
degli artt. 25, 26 e 27 CCNL 12.7.95 con riferimento all’art. 12 disp. prel. c.c. e agli
artt. 1362 e ss. c.c. per avere la Corte territoriale trascurato che la SERIT Sicilia
S.p.A. non aveva allegato né provato di aver rispettato, al momento delle assunzioni
dello Scalamandrè, il limite massimo del 100% del personale in servizio presso
ciascuna concessione; inoltre il ricorrente era stato destinato anche a mansioni di
riscossione coattiva oltre che di notifica e, quindi, a mansioni diverse da quelle per
le quali era stato assunto.
1.3. – Con il terzo motivo si lamenta violazione degli artt. 115, 116, 167 e 183
c.p.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 3 legge n. 230/62 e vizio di motivazione, per
avere la gravata pronuncia affermato che le assunzioni a tempo determinato (fra cui
quella dello Scalamandrè) erano state contenute nei limiti percentuali indicati
dall’art. 27 cit. CCNL, che l’utilizzo del lavoratore era stato coerente allo scopo del
contratto e che comunque la prova contraria sarebbe stata onere del lavoratore
medesimo.
1.4. – Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 1344, 1418 e 1419 c.c.,
dell’art. 12 disp. prel. c.c. e vizio di motivazione, perché, una volta ritenuto che il
lavoratore era stato adibito a mansioni diverse da quelle di assunzione, per ciò solo
la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità del contratto a termine e la
sua conversione in uno a tempo indeterminato.
1.5. – Con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 2067 c.c., degli artt. 1 e
ss. disp. prel. c.c., vizio di motivazione nonché illegittimità dell’accordo 2.4.96 che
fissava il limite massimo di 600 assunti da utilizzare in attività sia di notifica sia di

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esecuzione coattiva, presupposti di fatto — questi — differenti da quelli previsti dagli
artt. 26 e 27 del CCNL e dall’art. 23 legge n. 56/87.
1.6. — Con il sesto motivo si lamenta che i giudici del merito avrebbero dovuto
riconoscere al ricorrente le retribuzioni maturate dal momento in cui il datore di

lavoro aveva ingiustificatamente rifiutato la sua prestazione.
1.7. — Con il settimo ed ultimo motivo si denuncia che la Corte territoriale, ove
avesse accolto l’appello dello Scalamandrè, avrebbe dovuto condannare la SERIT
Sicilia alle spese del doppio grado.

2.1. — Preliminarmente va rilevata l’improcedibilità del ricorso nella parte in cui
denuncia violazioni di un CCNL che non è stato allegato al ricorso medesimo
secondo quanto previsto dall’art. 369 co. 2° n. 4 c.p.c.
Infatti, il mancato deposito, unitamente al ricorso, della contrattazione
collettiva su cui l’impugnazione si basa non consente alla Corte di verificare la
fondatezza della censura e l’erroneità dell’esegesi effettuata dalla gravata sentenza.
A riguardo va data continuità alla nota giurisprudenza di questa S.C. (cfr., ex aliis,
ord. 13.5.10 n. 11614 di questa S.C., nonché sent. n. 2143/2011) secondo cui, per
soddisfare l’onere – imposto dall’art. 369 co. 2° n. 4 c.p.c. (come novellato dal d.lgs.
2.2.06 n. 40) a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione – di depositare i
contratti e gli accordi collettivi, non basta la mera allegazione dell’intero fascicolo
di parte del giudizio di merito in cui tali documenti siano stati depositati, a meno
che in ricorso non se ne indichi la precisa collocazione in atti, il che nel caso in
esame — giova rimarcare – non è avvenuto.

2.2. — Ancora in via preliminare va rilevata l’inammissibilità di tutte le doglianze
in cui si prospetta un vizio di motivazione, atteso che tali censure sostanzialmente
deducono vizi della motivazione in punto di diritto, mentre il vizio spendibile
mediante ricorso per cassazione ex art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c. è solo quello
concernente la motivazione in fatto, giacché quella in diritto può sempre essere
corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione (v. art. 384 ult. co .
c.p.c.), senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire.
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Scalamandrè c. SERIT Sicilia S.p.A.

Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata
sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta
erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben
costruita) la può trasformare in esatta e il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia

sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od
erronea sua applicazione.

3.1. — Il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo del ricorso principale — da
esaminarsi congiuntamente perché connessi — sono infondati.
Sulla scia di Cass. S.U. 2.3.2006 n. 4588 questa S.C. ha più volte statuito che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 legge n. 56/987, del potere di
definire nuovi e diversi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla
legge n. 230/62 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia
per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della
predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a
quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o
di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di
fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro
di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr., e pluribus, Cass. 4.8.2008 n.
21063; cfr., altresì, Cass. 20.4.2006 n. 9245; Cass. 7.3.2005 n. 4862; Cass.
26.7.2004 n. 14011).
Questa S.C. ha, ancora, puntualizzato che le assunzioni disposte ai sensi dell’art.
23 della legge 28.2.87 n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la
possibilità di individuare – oltre alle fattispecie tassativamente previste dall’art. 1
della legge 18.4.62 n.230 e successive modifiche nonché dall’art. 8 bis d.l. 29.1.83
n. 17, convertito, con modificazioni, in legge 15.3.83 n.79 – nuove ipotesi di
apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e
propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere
vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a
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quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a
termine per causali di carattere “oggettivo” e anche – alla stregua delle esigenze
riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente

“soggettivo”, consentendo (in funzione di promozione dell’occupazione o di tutela
delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori.
A sua volta la contrattazione collettiva nazionale o locale può rimettere anche alla
contrattazione collettiva aziendale l’individuazione del presupposto di fatto per la
legittima apposizione del termine al contratto di lavoro, né il rilievo che il
presupposto legittimante l’apposizione del termine, ove previsto dall’accordo
aziendale a ciò autorizzato dalla contrattazione collettiva, sia riferito ad un solo
datore di lavoro e non già ad una pluralità di datori di lavoro si pone in contrasto
con il carattere generale ed astratto della previsione contrattuale o con il disposto
del cit. art. 23, consentendo di identificare tali presupposti ritagliandoli sulla
concreta e variegata realtà aziendale meglio percepibile dal sindacato (cfr., ex aliis,
Cass. 15.3.06 n. 5619; più di recente v. Cass. n. 16599/11).
Proprio perché si tratta di una “delega in bianco”, secondo la citata
giurisprudenza, non si può dubitare della facoltà della contrattazione nazionale o
locale di rimettere anche alla contrattazione aziendale l’individuazione del
presupposto di fatto per la legittima apposizione del termine al contratto di lavoro, il
che è quanto si è verificato nel caso in esame, in cui l’art. 26 CCNL (menzionato
nell’impugnata sentenza), a tanto autorizzato dall’art. 23 cit. legge n. 56/87, a sua
volta ha demandato alla contrattazione aziendale la facoltà di individuare ulteriori
ipotesi di assunzione a termine di personale da adibire alla notifica di atti di
riscossione.
Quanto alla prova della cd. clausola di contingentamento secondo cui le
assunzioni a termine dovevano essere contenute nei limiti percentuali indicati
dall’art. 27 cit. CCNL, l’impugnata sentenza si è limitata a rilevare che la società
aveva dimostrato in via documentale il rispetto della clausola; è chiaro che
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l’affermazione successiva, secondo cui il ricorrente non aveva fornito
dimostrazione contraria, lungi dall’invertire l’onere probatorio ha inteso

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Ucl 16.4.13
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semplicemente constatare che non vi erano motivi di dubitare della prova fornita
dalla SERIT Sicilia.
Ricade, invece, sul lavoratore l’onere della prova di essere stato utilizzato in
mansioni diverse da quelle dedotte nel contratto di lavoro a tempo determinato,

prova che neppure l’odierno ricorrente deduce di aver dato.
Né giova a tal fine lo stralcio della comparsa di risposta della società
controricorrente riportato a pag. 20 del ricorso dello Scalamandrè, poiché da esso
non è dato evincere se la difesa della società si stesse riferendo in generale a varie
assunzioni a termine verificatesi nel periodo considerato o, in particolare, a quelle
dell’odierno ricorrente.

3.2. – I motivi quarto, sesto e settimo sono inammissibili perché non denunciano
violazioni di legge, ma solo delle statuizioni la cui mancanza è perfettamente
coerente con la soluzione adottata dall’impugnata pronuncia circa la legittimità del
termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi fra le parti.
In conclusione, il ricorso principale è da rigettarsi.

Il ricorso incidentale
Il rigetto del ricorso principale assorbe quello incidentale, attraverso il quale la
SERIT Sicilia S.p.A. ha dedotto l’esistenza d’un mutuo consenso alla risoluzione
del rapporto – vista la pluriennale inerzia dello Scalamandrè prima di adire il
giudice – e, comunque, l’avvenuta prescrizione del diritto azionato.

Spese
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza del ricorrente principale.
P.Q.M.
La Corte,
riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale e
condanna lo Scalamandrè a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in

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Ud. 16.4.13
Scalamandrè c. SERIT Sicilia S.p.A.

euro 50,00 per esborsi e in euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge.

Così deciso in Roma, in data 16.4.13.

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