Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14516 del 10/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 14516 Anno 2015
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA
sul ricorso 14052-2013 proposto da:
CARBONE VITO CRBVTI49E26A662F, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIALE G. MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato
FABRIZIO LOFOCO, che lo rappresenta e difende giusta mandato in
calce al ricorso;

– ricorrente contro
ANNOSCIA ANTONELLA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA PIETRO DELLA VALLE 2, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE MORABITO, rappresentata e difesa dall’avvocato

449-3

Data pubblicazione: 10/07/2015

ANTONIO GUIDA giusta procura speciale a margine del
controricorso;

– con troricorrente nonché contro

– intimato avverso la sentenza n. 459/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,
depositata il 13/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/06/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l’Avvocato Lofoco Fabrizio difensore del ricorrente che si
riporta agli scritti;
udito l’Avvocato Lombardi Walter (delega avvocato Guida) difensore
della controricorrente che si riporta agli scritti.

Ric. 2013 n. 14052 sez. M3 – ud. 10-06-2015
-2-

CENTRO DI EQUITAZIONE L’IPPICO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La domanda proposta da Annoscia Antonella per il risarcimento
dei danni (patrimoniali e non) subiti in esito a un sinistro causato
dal calcio di uno stallone, di proprietà di Carbone Vito, fu accolta
dal Tribunale di Bari che condannò il Carbone al pagamento di

La Corte di Appello di Bari rigettò l’impugnazione proposta dal
Carbone (sentenza del 13 aprile 2012).
2. Avverso la suddetta sentenza, il Carbone propone ricorso per
cassazione con quattro motivi, sostanziandosi il quinto nella
invocazione del favore delle spese in esito al diverso esito della lite
auspicato; deposita memorie.
Resiste con controricorso Annoscia Antonella.
Il Centro di Equitazione “l’Ippico”, regolarmente intimato, non
svolge difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.La Corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza di primo
grado sulla base della argomentazione centrale che, dalle risultanze
istruttorie, non era stato possibile ritenere accertata la specifica
dinamica dell’incidente; conseguente, il mancato assolvimento
dell’onere probatorio gravante, ex art. 2052 c.c., sul proprietario del
cavallo, del caso fortuito, costituito anche dal comportamento del
danneggiato idoneo ad interrompere il nesso causale, nonché la
esclusiva operativa della presunzione di responsabilità del
proprietario dell’animale prevista dalla legge. Tanto, in esito al
riesame delle testimonianze, dalle quali le posizioni dei cavalli
(quello della danneggiata e quello del Carbone) e i comportamenti
dei cavalieri coinvolti (la danneggiata e il manutentore del cavallo
del Carbone) risultavano contrastanti; con la conseguente
mancanza di prova certa in ordine anche solo ad una qualche
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oltre euro 90.000,00, oltre accessori.

interferenza della condotta della danneggiata rispetto alla
improvvisa scalciata del cavallo.
Poi, mancando ogni certezza in ordine a profili di colpa in capo alla
danneggiata, ha. escluso qualunque ipotesi di responsabilità nei
confronti del centro ippico e la possibilità di ipotizzare il concorso

2. Con i primi tre motivi di ricorso, unitariamente considerati per la
loro stretta connessione, il ricorrente denuncia la violazione degli
artt. 2051 e 2052 c.c., nonché l’illogica valutazione delle risultanze
istruttorie in ordine alla sussistenza della prova liberatoria e al
mancato riconoscimento del concorso di colpa nella causazione
dell’evento (art. 1227 c.c.) tra il ricorrente, l’ Annoscia e il Centro di
Equitazione l’ippico in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5
c.p.c.
Si sostiene, in sintesi, che la Corte di merito avrebbe erroneamente
valutato le prove testimoniali, dalle quali emergerebbe, invece, la
prova del comportamento negligente della danneggiata, per essere
stata con il suo cavallo a distanza ravvicinata al cavallo del
ricorrente e dietro lo stesso cavallo (secondo quanto sarebbe stato
ammesso in sede di interrogatorio formale), oltre che del Centro di
equitazione, per aver consentito che la vittima si muovesse da sola
con il cavallo nonostante la sua pacifica inesperienza.
2.1. I motivi sono inammissibili per due ordini di ragioni.
In primo luogo il ricorrente, nella ricostruzione dell’evento, fa
riferimento ad una serie di atti (testimonianze e interrogatorio
formale) limitandosi a richiamarli e a sintetizzarli, senza riprodurli
nel ricorso o allegarli allo stesso e senza indicare la loro specifica
collocazione nei fascicoli processuali, in violazione dell’art. 366,
comma 1 n. 6 c.p.c.

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ai sensi dell’art. 1227 c.c.

Comunque, evidente è anche la prospettazione di una diversa
lettura degli atti processuali e la richiesta alla Corte di una
inammissibile valutazione di merito.
In questo contesto di censura, nessuna valenza autonoma hanno le
denunciate violazioni di legge, atteso che la stessa prospettazione

istruttorie.
In definitiva, le censure chiedono alla Corte di legittimità una
diversa e inammissibile rivalutazione.
3. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’omessa e
insufficiente motivazione in ordine al quanlum debeatur.
Il motivo è privo di pregio.
3.1. La Corte di merito ha ritenuto corrette ed ha confermato le
valutazioni del tribunale in ordine alla percentuale dell’invalidità
riconosciuta (8/9%) ai fini del danno biologico. Il ricorrente si
limita a lamentare che il giudice di secondo grado non avrebbe
considerato il rilievo dell’appellante in ordine alla esorbitanza e
contraddittorietà della percentuale complessiva, comprensiva del
danno estetico lieve e pari al 4/5%.
3.2. Quanto al danno morale, la Corte di appello ne conferma la
misura pari alla metà del danno biologico, in ragione della intensità
della sofferenza, legata, nel pieno della adolescenza della
danneggiata, a lesioni deturpanti. Non può dirsi, quindi, come
sostiene il ricorrente, che il giudice non abbia motivato tenendo
conto delle esigenze del caso concreto.
3.3. Con riferimento al danno emergente da spese sanitarie, la corte
di merito ha messo in evidenza che si tratta di esborsi effettivi,
supportati da documenti giustificativi ritenuti congrui dal
consulente rispetto ad analoghi costi per trattamenti terapeutico di
livello medio-alto e non “oggetto di alcuna impugnazione da parte
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presuppone una diversa valutazione degli esiti delle risultanze

dell’appellante”. Così riferendo all’evidenza la mancata
“impugnazione” alla documentazione e non, come sostiene il
ricorrente, alla mancanza di appello in riferimento alle spese
sanitarie. Peraltro, il giudice di merito ha giustificato il ricorso alle
migliori cure mediche in ragione della componente estetica. Non

Genericamente, poi, il ricorrente sostiene che analoghe censure
motivazionali devono essere riferite anche alla liquidazione delle
spese future. Mentre, la corte di merito ha approfonditamente
motivato anche sulla mancata detrazione degli interessi a scalare
sulla somma anticipata, in ragione del prevedibile aumento dei costi
delle cure oltre che dei costi per i viaggi e i soggiorni fuori sede.
2. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese processuali,
liquidate secondo i parametri vigenti, seguono la soccombenza nei
confronti della controricorrente.
Non avendo l’altro intimato svolto attività difensiva, non
sussistono i presupposti per la pronuncia in ordine alle spese
processuali.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali
del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200,00 di cui 200,00,
per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dichiara la
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato

può ravvisarsi, pertanto, la prospettata deficienza motivazionale.

pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta

Civile – 3, il 10 giugno 2015.

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