Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14516 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24180-2018 proposto da:

B.A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CORTINA

D’AMPEZZO 251, presso lo studio dell’avvocato MARIA D’ADDABBO,

rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO DI FIORE;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO, ANTONIETTA CORETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 64/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 07/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Perugia, pronunciando sull’appello dell’INPS, in riforma della decisione di primo grado che aveva riconosciuto il diritto all’indennità di maternità di B.A.L. e condannato l’Istituto al relativo pagamento, ha rigettato la domanda della ricorrente;

per quanto di rilievo in questa sede, la Corte di appello ha giudicato tempestiva l’impugnazione; a tale riguardo, ha osservato come il Tribunale avesse emesso la sentenza, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., in modo incompleto, perchè mancante di un’intera pagina (la pag. 5); pertanto, disposta a seguito di procedimento di correzione di errore materiale l’inclusione della pagina che mancava, la Corte territoriale ha calcolato il dies a quo del termine semestrale di impugnazione, ex art. 327 c.p.c., dalla data in cui l’Istituto aveva ricevuto comunicazione del provvedimento di correzione della sentenza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 288 c.p.c., comma 4; ha, infatti, ritenuto che la pagina omessa fosse necessaria per “intendere con compiutezza le ragioni della decisione”;

nel merito, la Corte territoriale ha giudicato prescritto il diritto azionato; sulla premessa che all’adempimento della prestazione oggetto di causa non fossero tenuti, in via solidale, il datore di lavoro e l’INPS e che dunque gli atti interruttivi compiuti nei confronti del primo (id est: del datore di lavoro) non avessero effetti, ex art. 1310 c.c., nei confronti del secondo (id est: l’INPS), ha ritenuto estinto il diritto di B.A.L. all’indennità di maternità, in difetto di una istanza proposta nel termine di legge (un anno, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 22, comma 2 e della L. n. 143 del 1943, art. 6, u.c.); la prestazione riguardava, infatti, il periodo dal 28.4.2009 al 28.9.2009 mentre le domande erano state proposte all’INPS rispettivamente il 14.3.2012 ed il 20.9.2012;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione, B.A.L., articolato in tre motivi; la ricorrente ha, altresì, depositato delibera di ammissione, in via anticipata e provvisoria, al Gratuito Patrocinio a spese dello Stato;

ha resistito, con controricorso, l’INPS;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – è dedotta violazione degli artt. 327,429,430,287 c.p.c. e dell’art. 288 c.p.c., comma 4; il motivo investe la statuizione di tempestività dell’impugnazione; parte ricorrente deduce che il procedimento di correzione non avrebbe dovuto spostare il dies a quo del termine di impugnazione;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 – è dedotta violazione dell’art. 327 c.p.c. e dell’art. 288 c.p.c., comma 4; per la parte ricorrente, la previsione di cui all’art. 288, comma 4, a tenore del quale le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, non opererebbe nel caso di specie in cui il contenuto decisorio della sentenza era sin dall’inizio chiaro ed inequivocabile;

i due motivi vanno trattati congiuntamente perchè intimamente connessi;

entrambi involgono la questione della decorrenza del termine di impugnazione, in presenza di una decisione “incompleta” perchè priva di una pagina;

osserva il Collegio come l’esame del contenuto della pagina (inizialmente omessa), nelle parti trascritte in ricorso, consenta di affermare l’infondatezza delle censure;

lo stesso ricorrente (v. pag. 4 ricorso) dà atto che, nella pagina aggiunta per effetto del provvedimento di correzione, si affermava che “presupposto (…) (del) ragionamento” (id est: della ritenuta responsabilità solidale tra INPS e datore di lavoro), era il convincimento (del Tribunale) “che l’indennità di maternità (avesse) natura retributiva (e non previdenziale)” così giustificandosi la tesi dell’accollo, da parte del datore, della obbligazione dell’INPS;

il segmento motivazionale evidenzia, con chiarezza, un passaggio significativo della ratio decidendi della pronuncia di primo grado;

dunque, solo il testo completo della decisione, come corretto, ha reso comprensibili appieno le ragioni del “decisum”; di conseguenza, correttamente la Corte territoriale ha fissato il termine per la proposizione dell’appello dal provvedimento di correzione;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione dell’art. 1310 c.c., della L. n. 833 del 1978, art. 74 e del D.L. n. 663 del 1979, art. 1, conv. in L. n. 33 del 1980;

è censurata la decisione nella parte in cui afferma che non sussisterebbe responsabilità solidale tra il datore di lavoro e l’INPS in relazione all’adempimento dell’obbligo di corrispondere l’indennità di maternità; secondo la parte ricorrente, la decisione impugnata avrebbe richiamato precedenti della giurisprudenza di legittimità non pertinenti nella fattispecie di causa;

il motivo è infondato;

questa Corte ha affermato che, alla stregua della disciplina sancita dalla L. n. 33 del 1980, art. 1 “l'(…) I.N.P.S. è l’unico soggetto obbligato ad erogare le indennità di malattia e di maternità ai sensi della L. n. 833 del 1978, ex art. 74, mentre il datore di lavoro è tenuto solo ad anticiparle, salvo conguaglio con i contributi e le altre somme dovute all’istituto(…) ” (Cass. n. 1172 del 2015; Cass. n. 669 del 2001);

deriva, quale logico corollario, che non si è in presenza di un’obbligazione con pluralità di debitori e, come ulteriore conseguenza, che non vengono in considerazione gli istituti propri della disciplina delle obbligazioni in solido; in particolare, per quanto qui interessa, la regola stabilita dall’art. 1310 c.c., per cui “gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la prescrizione contro il comune debitore, hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori”;

la sentenza impugnata si è attenuta ai suddetti principi ed è, dunque, esente dai denunciati errori di diritto;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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