Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14513 del 01/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/07/2011, (ud. 20/04/2011, dep. 01/07/2011), n.14513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.D.A.P. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI

DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. CROCE IN

GERUSALEMME 55, presso lo studio dell’avvocato MASSAFRA PAOLA, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.M., M.P., M.F., D.

B., tutti domiciliati in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio

dell’avvocato PEZZALI PAOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato

CHILOVI VASCO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 35/2006 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 01/08/2006 R.G.N. 29/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato MASSAFRA PAOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 3 agosto 2006, la Corte d’Appello di Trento respingeva il gravame svolto dall’INPDAP contro la sentenza di primo grado che aveva accolto le domanda di inquadramento proposte da D. ed altri litisconsorti, con condanna al pagamento delle differenze retributive.

2 La Corte territoriale puntualizzava che:

– D. e le altre litisconsorti, tutte assunte dall’amministrazione delle Poste e Telecomunicazione, poi Ente poste italiane e quindi Poste italiane spa, inquadrate nell’area operativa (ex categoria 5^ posizione di operatore specializzato di esercizio) tutte tranne la M., inquadrata, invece, nella categoria 6^, posizione di dirigente di esercizio, venivano dapprima comandate, quindi trasferite alle dipendenze dell’INDAP, D., G. e M. con inquadramento nella 5^ qualifica funzionale e quindi nell’area professionale B-livello retributivo B1 ( D. e G. dal 1.4.2000; M. dal 1. 1.2001), M., con inquadramento nella 6^ qualifica funzionale, e quindi nell’area professionale B-livello retributivo B2 (dal 1.1.2001);

– le dipendenti lamentavano che, alla stregua del CCNL del personale dipendente delle Amministrazioni pubbliche ricomprese nel comparto degli enti pubblici non economici, avrebbero dovuto essere inquadrate al livello superiore, D., G. e M. nella ex 6^ qualifica funzionale, area professionale B-livello retributivo B2 e M. nella ex 7^ qualifica funzionale, area professionale C- livello retributivo C1, con statuizioni patrimonali accessorie, mentre l’INPDAP riteneva insindacabile, da parte dell’ente, l’inquadramento di cui al D.P.C.M. 1 marzo 2002, cui era solo tenuto a dare esecuzione.

3. A sostegno del decisum, la Corte territoriale:

– ribadiva l’irrilevanza, ai fini della decisione, delle valutazioni operate sia per l’adozione dei provvedimenti di comando che avevano preceduto il trasferimento delle dipendenti dalla società Poste all’INPDAP, sia dei decreti ministeriali autorizzativi del trasferimento, per l’inidoneità di tali valutazioni a pregiudicare il diritto delle interessate a conseguire il corretto inquadramento in modo da soddisfare il requisito dell’equiparazione tra la qualifica professionale acquisita e quella attribuita dall’INDAP, requisito che non poteva subire pregiudizio neanche dalla sottoscrizione dei contratti di assunzione presso l’Istituto;

– procedeva al raffronto tra l’inquadramento presso le Poste e presso l’INPDAP, esaminando le declaratorie in cui erano classificate le dipendenti (la sesta per la M., la quinta per le altre dipendenti);

– delimitava il thema deddendum alla verifica della correttezza dell’inquadramento operato dall’INPDAP, in base al raffronto teorico delle declaratorie contrattuali, in difetto di doglianza di dequalificazione e in considerazione della conseguente irrilevanza della prova in ordine alle mansioni in concreto svolte dalle lavoratici;

– riteneva, infine, che i profili di professionalità emergenti dal CCNL applicabile ai dipendenti INPDAP non consentivano di equiparare alla qualifica professionale delle ricorrenti quella loro attribuita dopo il trasferimento, con riferimento all’area B-livello retributivo Bl per l’ex quinta categoria, e all’area B-livello retributivo B2 per la ex sesta categoria, in quanto caratterizzata da un contenuto più riduttivo.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’INDAP, in persona del legale rappresentante pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, illustrato con memoria. Le intimate hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero, in particolare, dell’art. 102 c.p.c. anche con riferimento all’art. 107 c.p.c. e all’art. 420 c.p.c., comma 9 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Si censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sull’invocato intervento di Poste italiane s.p.a. e della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della Funzione pubblica, formulando il relativo quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se, in applicazione degli artt. 102 e 107 c.p.c., nell’ipotesi in cui nel rito del lavoro il convenuto chiamato a rispondere dei danni sofferti dall’attore chieda che sia chiamato, a sua volta, in causa un terzo per ottenere la declaratoria della sua esclusiva responsabilità e la propria liberazione dalla pretesa dell’attore, la causa vada ritenuta unica ed inscindibile.

6. Il primo motivo di ricorso è infondato. Rileva il Collegio che la domanda svolta concerne il diritto delle ex dipendenti postali all’esatto inquadramento presso l’Amministrazione di destinazione, cosicchè, indipendentemente dal ruolo che, nell’iter complessivo del trasferimento, abbia ricoperto Poste Italiane s.p.a., nessuna richiesta può ritenersi essere stata avanzata verso quest’ultima società, come, del resto, nessuna richiesta è stata svolta nei confronti dell’Amministrazione pubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione pubblica, della quale la ricorrente indica la partecipazione alla procedura di trasferimento.

7. Oggetto del presente giudizio non è una domanda di risarcimento danni, in relazione alla quale potrebbe essere astrattamente declinata dal soggetto destinatario della stessa la propria responsabilità per essere il fatto produttivo del danno ascrivibile ad altro soggetto, cosicchè non può individuarsi la pretesa inscindibilità della domanda in relazione a distinti soggetti coinvolti.

8. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 c.c. e ss. anche in riferimento ai D.P.C.M. 18 ottobre 1999 e D.P.C.M. 7 novembre 2000, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 1, 6, 8, e della L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Si deduce:

a) di aver rispettato, ai fini dell’inquadramento, i criteri dettati dal Dipartimento della Funzione Pubblica, senza possibilità di disattenderli e svolgendo in sostanza un ruolo esecutivo, privo di margini di discrezionalità;

b) tenuto conto del comando delle dipendenti presso l’INPDAP, il raffronto era stato operato tra l’ultima qualificazione funzionale posseduta presso l’INPDAP e la corrispondente area ed il livello retributivo attribuibili con l’immissione nei ruoli;

c) la Corte territoriale aveva erroneamente tenuto conto soltanto della declaratoria generale delle aree di cui al CCNL Poste 1994 – 1997, senza considerare che tale declaratoria comprendeva attitudini professionali e mansioni proprie di tre ex categorie, non tenendo conto delle declaratorie dei profili professionali del personale INPDAP di cui al CCNL integrativo 1999-2001, limitandosi a considerare soltanto quelle generali delle posizioni ordinamentali del personale degli enti pubblici non economici di cui al CCNL 1998- 2001;

d) nei D.P.C.M. e nelle conseguenti delibere dell’Istituto non era prevista la successiva verifica della corrispondenza effettiva dei due inquadramenti, emergendo invece che la categoria di appartenenza di ciascun dipendente veniva ritenuta già dal decreto corrispondente alla qualifica funzionale dei ruoli del personale INPDAP;

e) l’Istituto aveva provveduto a pianificare il programma delle proprie assunzioni adottando le misure necessarie affinchè la spesa per il proprio personale fosse evidente, certa e prevedibile nella sua evoluzione, in modo che le risorse finanziarie fossero compatibili con i documenti di programmazione e bilancio, prevedendo le assunzioni da inquadrare in ciascuna qualifica funzionale;

f) il consenso espresso dal lavoratore aveva carattere negoziale e, incontrandosi con la volontà di assunzione manifestata dalla P.A. nella sua veste di datore di lavoro, produceva un effetto costitutivo del rapporto e delle relative posizioni.

9. Rileva il Collegio l’inammissibilità del motivo per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis.

10. Invero, a norma della prima parte dell’articolo citato, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1) a 4), l’illustrazione di ciascun motivo del ricorso per cassazione deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Considerato che il motivo ricade indubbiamente nell’ambito di operatività della disposizione richiamata, deve rilevarsi che il quesito formulati a conclusione del medesimo risulta chiaramente inidoneo alla luce dei criteri che questa Corte ha già avuto occasione di precisare.

11. In particolare, il quesito di diritto che il ricorrente ha l’onere di formulare ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. è inammissibile se formulato in termini tali da richiedere una previa attività, interpretativa ed integrativa del quesito, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante l’integrazione del quesito con le censure illustrate nel motivo.

12. Si è anche osservato che il ricorrente deve necessariamente procedere all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base della decisione impugnata e che quindi il quesito non può risolversi in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunciata nel motivo o nell’interpello della Corte di cassazione in ordine alla fondatezza della censura illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris, in quanto tale suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr., ex multis, Cass. S.U. 25117/2008).

13. Non soddisfa la predetta prescrizione ,il quesito di diritto elaborato a corredo dell’illustrazione del motivo il cui tenore – “se nell’ipotesi di comando, L. n. 449 del 1997, ex art. 53, comma 10 e di successivo trasferimento ed inquadramento, in applicazione di un DPCM di trasferimento che preveda espressamente la corrispondenza della categoria o livello o qualifica di provenienza e di destinazione del dipendente e del conseguente conforme provvedimento dell’Amministrazione ricevente, vada sottoposta l’equivalenza dei due inquadramenti a successiva verificà – non censura la ratio decidenti, nè propone una regula iuris, e richiede un’inammissibile interpretazione della Corte in ordine alla vaga e generica “successiva verifica”.

14. Inoltre, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, nella specie omessa, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009, 11094/2009, 8897/2008; SU 20603/2007).

15. Con il terzo motivo l’Istituto ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, nonchè vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendo che la Corte territoriale non aveva considerato che l’inquadramento, adottato in base a disposizioni vincolanti, aveva natura di atto autoritativo, onde il dipendente poteva vantare solo posizioni di interesse legittimo; e che, inoltre, il Giudice a quo aveva erroneamente ritenuto di poter disapplicare il D.P.C.M. di inquadramento, senza considerare che, trattandosi di atto direttamente produttivo dell’eventuale lesione della posizione giuridica soggettiva del dipendente, si finiva in tal modo per conoscerne in via principale, senz;a tener conto che, nella specie, non era stato eccepito, nè sussisteva, alcun vizio di legittimità del predetto decreto tale da giustificare l’attribuzione di un inquadramento difforme da quello ivi previsto.

16. Il motivo – con il quale si deduce che il dipendente poteva vantare solo posizioni di interesse legittimo nei confronti del provvedimento di inquadramento, adottato in base a disposizioni vincolanti e aveva natura di atto autoritativo – è inammissibile poichè esso introduce una domanda nuova nel giudizio di cassazione, nè la ricorrente indica l’atto del giudizio di merito con cui avrebbe introdotto la questione.

17. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Si ravvisano giusti motivi per compensare fra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; spese compensate.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2011

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