Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14509 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. DI MAZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24590-2019 proposto da:

T.N., in proprio ed in qualità di titolare della IMPRESA

GE.LO.TRANS, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. MORDINI n.

14, presso lo studio dell’avvocato ANGELO GIUGLIANO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO RIGO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS), in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMMASO SALVINI 55, presso lo

studio dell’avvocato CARLO D’ERRICO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCELLO LAZZATI;

– controricorrente –

contro

M.T.R.V., N.D.G.L.,

P.T.I., T.P.A., PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO

TRIBUNALE MONZA, PROCURA GENERALE REPUBBLICA PRESSO CORTE APPELLO

MILANO, PROCURA GENERALE REPUBBLICA PRESSO CORTE SUPREMA CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3150/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 23 giugno 2015, n. 2659, la Corte di Appello di Milano accolse il reclamo proposto da T.N., quale titolare della ditta individuale (OMISSIS), e ne revocò il fallimento in quanto dichiarato dal Tribunale di Monza il 28 ottobre 2014, oltre l’anno dalla sua cancellazione dal Registro delle imprese, risalente al (OMISSIS). Ritenne non provata la prosecuzione dell’attività di impresa, nemmeno in forza della proposizione di una domanda di concordato preventivo cd. “con riserva” in data (OMISSIS), durante il procedimento prefallimentare a carico della debitrice e nell’imminenza della scadenza del termine annuale ex art. 10 L.Fall.: domanda poi rinunciata dalla stessa debitrice il (OMISSIS), quando il suddetto termine era ormai scaduto.

2. Il ricorso contro questa decisione promosso dalla curatela fallimentare fu accolto da questa Suprema Corte, con ordinanza n. 33349 del 2018, secondo la quale “…”27 completo e assoluto ritiro dell’imprenditore non può dirsi realizzato se nella là se della liquidazione siano state compiute operazioni tali da rivelarsi come manifestazione di un’attività economica, sia pure svolta esclusivamente in funzione della disgregazione” (Cass. n. 15716 del 2000 cit.). Dal richiamato formante giurisprudenziale si evince, dunque, la sufficienza, ai fini della L.Fall. art. 10, comma 2, di un’attività anche di tipo meramente liquidatorio, purchè qualificabile lato sensu economica, quale nel caso di specie può ritenersi la stessa presentazione della domanda di concordato preventivo, trattandosi di procedura che, in quanto diretta alla regolazione consensuale della crisi o dell’insolvenza dell’imprenditore, appare incompatibile con la totale cessazione dell’attività imprenditoriale che è diretta a regolare (cui è invece condizionata la cancellazione dal Registro delle imprese), presupponendo non solo lo status di imprenditore commerciale ma anche l’attualità dell’esercizio dell’impresa. Ebbene, applicando i suddetti principi alla fattispecie concreta, ne risulta che la Corte d’appello ha errato a non ritenere – anche alla luce dell’iniziativa concordataria assunta dalla debitrice – che l’attività imprenditoriale non fosse effettivamente cessata, come sarebbe stato solo a fronte di quel “completo e assoluto ritiro dell’imprenditore” cui fa riferimento la giurisprudenza di questa Corte sopra citata… Ed infatti, le iniziative complessivamente assunte dall’imprenditore individuale (pur cancellato dal Registro delle imprese) rendevano evidente il compimento di operazioni economiche di tipo liquidatorio, dirette alla regolazione concordataria di un’attività di impresa che per ciò stesso era di fatto proseguita”. La sentenza impugnata fu quindi cassata con rinvio, in modo che la Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, decidesse la causa “attenendosi agli enunciati criteri”.

3. Riassunto il giudizio a cura della curatela fallimentare, la corte di appello predetta, con sentenza del 16 luglio 2019, n. 3150, preso atto di quanto sancito dalla Suprema Corte, ha rigettato il reclamo della T., nella suddetta qualità di titolare della ditta individuale (OMISSIS), e ne ha confermato il fallimento.

3.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel giudice di rinvio ha ritenuto prive di rilievo “…le considerazioni mosse dalla difesa della T. secondo cui: 1) la Cassazione non dice nulla sulla pregiudiziale e dirimente questione della nullità della sentenza di primo grado per difetto di allegazione da parte dei creditori e da parte del PM degli elementi dimostranti la continuità dell’attività economica, proprio perchè trattasi di questione che in quanto già trattata dalla Corte d’appello e non impugnata sarebbe da considerarsi passata in giudicato in parte qua; 2) che, in ogni caso, la sentenza impugnata è stata cassata solo con riferimento alle questioni relative alla natura economica o meno delle attività concordatarie, e non nelle restanti, tra cui quella della non rilevabilità d’ufficio della prosecuzione dell’attività ex art. 10 L. Fall., che in questa sede andrebbe riesaminata in senso favorevole alla fallita (non essendo mai stata allegata dalle controparti la prosecuzione oltre l’anno). Il riesame di tali questioni si scontrerebbe, infatti, inevitabilmente, contro il consolidato principio di diritto per cui il giudizio di rinvio “deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate costituiscono il presupposto logico giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicalo implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità “(Cass. n. 7656 del 04/04/2011)”.

4. Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso la T., pure nella indicata qualità, affidandosi ad un motivo. Resiste, con controricorso, la curatela fallimentare, mentre rimangono solo intimati i creditori istanti M.T.R.V., N.D.G.L., P.T.I. e T.P.A..

Risultano depositate memorie ex art. 380-bis c.p.c., di entrambe le parti costituite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il formulato motivo è rubricato “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento all’art. 10 L. Fall., ed all’art. 384 c.p.c.)”. Esso assume che la corte di appello, quale giudice del rinvio ex art. 392 c.p.c., non avrebbe dovuto limitarsi ad applicare il principio di diritto stabilito dalla Corte Suprema con l’ordinanza n. 33349/2018 – secondo il quale il deposito della domanda di concordato preventivo costituisce un’attività economica rilevante ex art. 10 L. Fall., comma 2, – ma avrebbe dovuto verificare se la prosecuzione dell’attività d’impresa anche oltre la formale cancellazione dal Registro (presupposto necessario per l’applicazione dell’art. 10 L. Fall., comma 2) fosse stata, o meno, tempestivamente allegata e dimostrata dai creditori istanti e/o dal Pubblico Ministero, questi essendo gli unici soggetti a tanto legittimati. In difetto, non essendo ammissibile il corrispondente accertamento di ufficio da parte del tribunale, la sentenza dichiarativa di fallimento avrebbe dovuto essere annullata.

2. Giova premettere, allora, che: i) il ricorso per cassazione avverso la decisione pronunciata in sede di rinvio, diretto a denunciare la mancata osservanza del principio di diritto fissato con la pronuncia di annullamento, o il mancato assolvimento dei compiti con essa affidati, implica il potere-dovere della Suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione (cfr. Cass. n. 392 del 2021, in motivazione; Cass. n. 2020 del 1981; Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n. 19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006; Cass. n. 27337 del 2019, in motivazione); ii) come ancora ribadito da Cass. n. 392 del 2021 e Cass. n. 11202 del 2018 (cfr. le rispettive motivazione), il giudice di rinvio non può – anche soltanto implicitamente – rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex aliis, Cass. n. 16171 del 2015).

2.1. In altri termini, il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità (cfr. Cass. n. 7656 del 2011, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 636 del 2019). Ciò perchè il giudizio di rinvio è un “processo chiuso”, in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese nè formulare difese, che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto “ex lege” ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, così da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale (cfr. Cass. n. 26200 del 2014; Cass. n. 18600 del 2015. In senso sostanzialmente conforme si veda anche la più recente Cass. n. 5137 del 2019).

2.2. In definitiva, come opportunamente ribadito da Cass. n. 636 del 2019, allorquando avanti a questa Corte “…si faccia questione della “uni formazione” del giudice del rinvio al principio di diritto enunciato dalla Corte che abbia proceduto alla cassazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e sia perciò in discussione, in rapporto all’entità del petitum concretamente individuata dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di cassazione, “il giudice di legittimità deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può essersi posta in contrasto” (Cass., Sez. I, 19/02/2018, n. 3933; Cass., Sez. 30/ 09/2003, n. 19212; Cass., Sez. IV, 1/09/2004, n. 17564). Dunque le coordinate entro le quali la Corte è qui chiamata a vagliare se la sentenza impugnata abbia ottemperato o meno all’obbligo di “uniformazione” discendente dal citato art. 384 c.p.c., comma 2, ed abbia perciò correttamente tracciato il perimetro del thema decidendum demandatogli dalla sentenza cassatoria sono costituite, da un lato, dalla domanda della parte, intendendosi per tale, in rapporto alla specialità del giudizio di cassazione, l’arco delle istante che, in guisa di censura, vengono veicolate a mezzo dei motivi di ricorso avanti alla Corte onde ottenere la cassazione della sentenza impugnata; dall’altro, dalla questione decisa ovvero dalla censura o dalle censure che tra quelle articolate dalla parte nel ricorso la Corte abbia giudicato fondate ed abbia accolto, cassando la sentenza impugnata e mandando al giudice del rinvio perchè, uniformandosi al principio di diritto enunciato, provveda a regolare la vicenda al suo esame secundum ius”.

2.3. Alla stregua dei principi tutti fin qui riportati, dunque, la doglianza formulata dalla T., anche nella indicata qualità, non è meritevole di accoglimento.

2.3.1. Invero, come agevolmente emerge dalla motivazione dell’ordinanza n. 33349 del 2018 di questa Corte precedentemente riportata, (cfr. 5 2 dei “Fatti di causa”, da intendersi qui, per brevità, interamente riprodotto) il thema decidendum rimesso al giudice di rinvio doveva intendersi necessariamente circoscritto alla sola applicazione, alla concreta fattispecie, del principio per cui il deposito di una domanda di concordato preventivo costituisce un’attività economica rilevante ex art. 10 L. Fall., comma 2. Non era più in discussione, invece, la diversa questione riguardante la possibilità, o meno, da parte del giudice di merito, di verificare di ufficio la esistenza, o meno, di una circostanza rilevante ai fini della menzionata disposizione: tanto perchè sul corrispondente tema doveva considerarsi formato il cd. giudicato interno.

2.3.2. Già in sede di reclamo ex art. 18 L. Fall., infatti, la T. eccepì – e, sul punto, non vi è sostanziale controversia tra le parti pure in questa sede – che il tribunale avesse esercitato un potere d’ufficio non previsto dalla legge, avendo fatto applicazione dell’art. 10 L. Fall., comma 2, (anzichè del primo) in mancanza di specifiche domande in tal senso da parte dei creditori istanti e del Pubblico Ministero (a suo dire, gli unici soggetti legittimati ad eccepire la prosecuzione dell’attività d’impresa individuale (OMISSIS) di T.N. anche dopo la sua cancellazione dal Registro delle Imprese). Questa eccezione, però, fu respinta dalla Corte d’Appello di Milano che, con la sentenza n. 2659/2015, accolse il reclamo per ragioni di merito, estranee all’aspetto processuale predetto: in quella sede, la corte territoriale ritenne, diversamente dal giudice di prime cure, che l’attività d’impresa non fosse affatto proseguita oltre la cancellazione dal Registro delle Imprese e proprio sulla base di questa circostanza escluse la fallibilità della (OMISSIS) e della sua titolare, senza peraltro, mai negare al tribunale il potere di un accertamento d’ufficio sugli aspetti fattuali che costituiscono i presupposti dell’art. 10 L. Fall., comma 2.

2.3.3. La curatela fallimentare riproduce oggi, nel proprio controricorso pag. 6-7), lo specifico passaggio motivazionale di quella sentenza, che si rivela del seguente tenore: “..nella specie, nè i creditori istanti nè il Pubblico Ministero hanno allegato la prosecuzione dell’attività d’impresa dopo la cancellazione, prosecuzione che (Ndr il Tribunale) ha inflitti ritenuto sussistente sulla base di circostanze emergenti dagli atti…. Ne consegue che, anche a voler ritenere che l’omessa eccezione di prosecuzione dell’attività da parte dei soggetti legittimati non precluda al Tribunale, ove la prosecuzione dell’attività risulti comunque agli atti e, quindi, a prescindere dall’iniziativa delle parti, di rilevare la continuazione dell’attività imprenditoriale, in ogni caso, nella specie, non risulta agli atti che la reclamante abbia proseguito l’attività…”. E’ palese, dunque, che, così opinando, quella corte escluse qualsiasi limitazione in capo al tribunale in sede di accertamento dei presupposti di cui all’art. 10 L. Fall., comma 2.

2.3.1. Ciò nonostante, la menzionata sentenza n. 2659/2015 fu impugnata dalla sola Curatela, non risultando essere stata fatto oggetto, sull’affermazione appena riportata, di alcun ricorso incidentale da parte della Tonarvi (cfr. l’ordinanza di questa Corte n. 33349 del 2018, pronunciatasi su quella impugnazione).

2.4. Sul punto, pertanto, doveva considerarsi formato il giudicato (e di tanto da sostanzialmente atto anche la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3150 del 2019, resa in sede di rinvio ed oggi impugnata, laddove ha considerato prive di rilievo “…le considerazioni mosse dalla difesa della T. secondo cui la Cassazione non dice nulla sulla pregiudiziale e dirimente questione della nullità della sentenza di primo grado per difetto di allegazione, da parte dei creditori e da parte del PM, degli elementi dimostranti la continuità dell’attività economica, proprio perchè trattasi di questione che in quanto già trattata dalla Corte d’appello e non impugnata sarebbe da considerarsi passata in giudicato in parte qua”. Cfr. pag. 3), con conseguente non modificabilità della relativa statuizione.

2.4.1. A tanto deve solo aggiungersi che, seppure volesse prescindersi dal giudicato implicito appena descritto, in ogni caso, l’odierna censura della ricorrente circa l’asserita non rilevabilità di ufficio della prosecuzione dell’esercizio d’impresa da parte dell’impresa individuale (OMISSIS) successivamente alla sua cancellazione dal Registro delle imprese involgerebbe questione sulla quale, innegabilmente, questa Corte Suprema si è già implicitamente pronunciata con la citata ordinanza n. 33349 del 2018, ivi avendo indicato al giudice del rinvio un principio di diritto – quello secondo il quale il deposito della domanda di concordato preventivo costituisce un’attività economica rilevante ex art. 10 L. Fall., comma 2 – il cui presupposto logico non poteva che essere stato quello della rilevabilità di ufficio di detta prosecuzione, e, come tale non poteva essere disatteso dal Giudice del rinvio (cfr. la già citata Cass. n. 7656 del 2011, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, la più recente Cass. n. 636 del 2019).

3. Il ricorso, pertanto, deve essere respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza tra le sole parti costituite, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna T.N. “personalmente ed in qualità di titolare dell’impresa individuale (OMISSIS)”, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute dalla curatela controricorrente, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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