Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14508 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11880-2018 proposto da:

T.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTAVIANO 9,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE RUSSO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MICHELE URSINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, UFFICIO SCOLASTICO

REGIONALE PER LA PUGLIA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2236/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 10/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

Che:

il Tribunale di Trani, con sentenza 11/4/2014, dichiarò la nullità del termine apposto ai plurimi contratti di lavoro intercorsi tra il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e T.T., docente precaria, rigettando le domande di conversione del rapporto e di riconoscimento ai fini giuridici ed economici della pregressa anzianità lavorativa fino al 31 agosto di ogni anno lavorato e, nel contempo, condannò il Ministero al risarcire i danni derivanti dall’abusivo ricorso ai contratti a termine e a ricostruire agli effetti giuridici ed economici la carriera professionale della ricorrente;

con sentenza del 10 ottobre 2017 la Corte d’Appello di Bari, a seguito di appello interposto del Ministero, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava integralmente la domanda;

rilevava la Corte territoriale che, in conseguenza della stabilizzazione conseguita dalla dipendente, l’amministrazione scolastica andava esente da responsabilità risarcitoria;

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.T., articolato in quattro motivi, illustrati con memoria;

il Ministero si è costituito con controricorso, mentre la Presidenza del Consiglio dei Ministri è rimasta intimata;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

la parte ricorrente ha denunziato:

– con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, omessa pronuncia sull’eccezione rilevabile d’ufficio d’inammissibilità dell’appello, in ragione della mancata ottemperanza dell’appellante agli oneri correlati all’impugnazione;

– con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 132, della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, violazione della clausola 5 della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e dell’accordo quadro ad essa allegato, nonchè dell’obbligo internazionale derivante dall’art. 6 della CEDU, sempre sotto il medesimo profilo, per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza di abusi e rigettato la domanda risarcitoria in ragione della ritenuta efficacia sanante delle misure sopravvenute rispetto alla illiceità pregressa;

– con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte affermato che spetta al lavoratore allegare e provare un uso improprio o distorto del potere di macroorganizzazione delegato dal legislatore al Ministero in ordine alla ricognizione di posti e delle concrete esigenze del servizio;

– con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione delle norme di cui alla Direttiva 1999/70/CE, clausola 4 e al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6, mancato riconoscimento delle risultanti differenze retributive, osservando che la sentenza del Tribunale di Trani, nella parte in cui era stato ordinato al Ministero di ricostruire agli effetti economici e giuridici la carriera della ricorrente, con la corresponsione delle relative differenze retributive, non formava oggetto di impugnazione e erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato integralmente la domanda;

il primo motivo di ricorso è inammissibile, poichè, decidendo nel merito, la corte territoriale ha implicitamente rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello, conformandosi al costante orientamento di questa Corte, in forza del quale “non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame).” (ex plurimis Cass. n. 29191 del 06/12/2017);

il secondo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati in base ai principi che di seguito si richiamano;

questa Corte, con le sentenze pronunciate all’udienza del 18.10.2016 (dalla n. 22552 al n. 22557) e con numerose altre decisioni successive conformi, affrontò le questioni che oggi vengono in rilievo e, dopo avere ricostruito il quadro normativo e dato atto del contenuto delle pronunce rese dalla Corte di Giustizia (sentenza 26 novembre 2014, Mascolo e altri, relativa alle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13, C-418/13), dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 187 del 20.7.2016) e dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 5072 del 15.3.2016), nella sentenza n. 22552/2016 (punti da 118 a 125) affermò, con specifico riferimento al tema in argomento, i principi di diritto che seguono:

A) per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, commi 1 e 11 e in applicazione della Direttiva 1999/70/CE 1999 è illegittima, a far tempo dal 10.07.2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, commi 1 e 11, prima dell’entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi;

B) nelle ipotesi di reiterazione di cui sopra deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica e idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” la stabilizzazione acquisita dai docenti e dal personale ausiliario, tecnico ed amministrativo, attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi – concorsuali”;

C) in detti casi deve affermarsi, in continuità con i principi enunciati dalle SS.UU di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016, che l’avvenuta immissione in ruolo non esclude la proponibilità di domanda per risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dall’immissione in ruolo stessa, con la precisazione che l’onere di allegazione e di prova grava sul lavoratore, in tal caso non beneficiato dalla agevolazione probatoria di cui alla menzionata sentenza;

i principi richiamati sono stati sottoposti a nuovo esame ad opera di questa Corte di legittimità (si veda Cass. n. 3472 del 12/2/2020) a seguito della sentenza dell’8 maggio 2019 – Causa C- 494/17, Rossato, della Corte di Giustizia – investita dalla Corte d’appello di Trento, su rinvio in via pregiudiziale, dell’interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinati;

nella richiamata decisione la Corte di Giustizia ha evidenziato che il quadro normativo che connotava la fattispecie sottoposta al suo esame dalla Corte di Appello di Trento era ben differente da quello tenuto presente nella sentenza Mascolo, in ragione del piano straordinario di assunzioni attuato, con previsione della trasformazione, nel corso dell’anno scolastico 2015/2016, di tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato con docenti “precari” attraverso il progressivo e definitivo esaurimento delle graduatorie e degli elenchi dai quali l’amministrazione attingeva per l’assunzione di docenti a tempo determinato;

la Corte di Giustizia, quindi, ha statuito che la richiamata clausola “deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale che, così come applicata dagli organi giurisdizionali supremi, esclude – per docenti del settore pubblico che hanno beneficiato della trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un effetto retroattivo limitato – qualsiasi diritto al risarcimento pecuniario in ragione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, allorchè una siffatta trasformazione non è nè incerta, nè imprevedibile, nè aleatoria e la limitazione del riconoscimento dell’anzianità maturata in forza della suddetta successione di contratti di lavoro a tempo determinato costituisce una misura proporzionata per sanzionare tale abuso, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare”;

sulla scorta dei rilievi evidenziati dalla Corte di Giustizia, nella recente decisione n. 3472 del 12/2/2020 questa Corte ha riaffermato che l’immissione in ruolo avvenuta in virtù del sistema di avanzamento reso possibile dalle emanate regole sul reclutamento e anche dai piani straordinari e ordinari di assunzione previsti dalle leggi che si sono succedute rispetta i principi di equivalenza e di effettività, perchè il soggetto leso dall’abusivo ricorso ai contratti a termine ha comunque ottenuto il medesimo “bene della vita” per il riconoscimento del quale ha agito in giudizio (sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016, p. n. 85) e perchè ha la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni ulteriori;

è stato ribadito, infatti, che nelle ipotesi di reiterazione di contratti a tempo determinato rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico e ausiliario, per la copertura di posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, l’avvenuta stabilizzazione non preclude la proponibilità della domanda per il risarcimento dei danni diversi e ulteriori rispetto a quelli esclusi dalla immissione nei ruoli, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016 e dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 187 del 2016, con la precisazione che l’onere di allegazione e di prova dei danni ulteriori, che grava sul lavoratore, non beneficiato in caso di stabilizzazione dalla agevolazione probatoria di cui alla citata sentenza delle Sezioni Unite, non risulta insormontabile nè difficoltoso perchè il sistema delle graduatorie ad esaurimento offre al riguardo dati oggettivi (posizione ricoperta nella graduatoria, vacanze di organico, termini previsti, anche se non rispettati, dal T.U. per l’indizione dei concorsi e per le operazioni di immissione);

è stato anche osservato che l’illecito, oltrechè “tendenzialmente riparato” dalla avvenuta stabilizzazione e dalla possibilità di ottenere il risarcimento dei danni ulteriori, deve ritenersi “oggettivamente represso”, avuto riguardo alla definitiva perdita di efficacia delle graduatorie ad esaurimento, effettivamente esaurite (L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 105) per entrambe le categorie di personale (docente e ATA), alla cadenza triennale dei concorsi, da indire su base regionale tenendo conto del fabbisogno espresso dalle istituzioni scolastiche nel piano dell’offerta formativa, alla efficacia egualmente triennale delle graduatorie concorsuali (L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 113), alla previsione (L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 131) di un limite alla reiterazione delle supplenze, che a decorrere dai 10 settembre 2016 non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi, oltre che al limite previsto per la reiterazione delle supplenze;

all’orientamento espresso da Cass. 3472/2020 questa Corte intende dare continuità, ritenendosi le richiamate argomentazioni esaustive anche rispetto ai denunciati rilievi di legittimità costituzionale e richieste di rinvio pregiudiziale, tanto più tenuto conto degli esiti del rinvio disposto dalla Corte d’appello di Trento;

poichè è indiscusso, a seguito di espressa affermazione in tal senso contenuta nel ricorso, che la ricorrente è stata immessa nei ruoli del Ministero, deve ritenersi che la stessa, per tal via, ha ottenuto il bene della vita per il quale ha agito in giudizio, senza che rilevi, per quanto innanzi osservato, la circostanza che la stabilizzazione sia avvenuta per mezzo di interventi diversi da quelli previsti nella L. n. 107 del 2015, e, non avendo allegato danni diversi ed ulteriori rispetto alla mancata conversione del rapporto, correttamente la Corte d’appello ha disposto il rigetto delle domande;

l’ultimo motivo di ricorso è fondato;

occorre, in primo luogo, distinguere (v. Cass. n. 23535 del 18/11/2016, Cass. n. 28635 dell’8/11/2018) la ricostruzione di carriera che si pretende costituire effetto riflesso della domanda di conversione dei contratti a termine in rapporto a tempo indeterminato, la quale resta assorbita nel rigetto di tale ordine di domande, e la diversa pretesa avente a oggetto la ricostruzione di carriera spettante al dipendente reiteratamente assunto a tempo determinato che assuma a proprio fondamento la violazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’Accordo Quadro;

nel caso che ci occupa, la domanda avente ad oggetto il riconoscimento della medesima progressione stipendiale spettante ai docenti di ruolo ed alla condanna al pagamento delle conseguenti differenze retributive era stata accolta dal giudice di primo grado (“condanna… a ricostruire agli effetti giuridici ed economici tutti la carriera professionale dell’odierna ricorrente, con la corresponsione delle risultanti differenze retributive, in uno agli accessori di legge sulle somme dovute”) nè, in ragione di detto accoglimento, era necessario che essa fosse espressamente riproposta in appello dalla parte ivi convenuta;

la sentenza impugnata, nell’escludere anche il diritto al riconoscimento alla progressione economica collegata all’anzianità di servizio maturata nello svolgimento del rapporto di lavoro e termine, si pone quindi in contrasto con il principio di diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868/2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l’anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”;

in accoglimento dell’ultimo motivo, pertanto, la sentenza, in difformità rispetto alla proposta, deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, che farà applicazione del principio sopra riportato, provvedendo anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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