Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14495 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32105/2019 R.G., proposto da:

R.S. CAPODIMONTE S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Calcedonio Porzio, con domicilio in

Napoli, alla Via S. Tommaso D’Aquino n. 33.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro p.t., ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO E ISPETTORATO

TERRITORIALE DEL LAVORO DI NAPOLI, in persona dei rispettivi

rappresentanti legali p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12.

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 4085/2018,

pubblicata in data 12.9.2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

24.3.2021 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con ricorso depositato in data 28.8.2002, la R.S. Capodimonte s.r.l. ha proposto opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione con cui la Direzione provinciale del lavoro aveva ingiunto il pagamento di Euro 9578,18 a titolo di sanzione amministrativa, contestando alla società di non aver inviato la comunicazione di assunzione di 8 lavoratori nel termine di legge, con i relativi dati personali, e di non aver consegnato a sette lavoratori una dichiarazione sottoscritta contenente i dati della registrazione nel libro matricola.

L’opponente ha contestato il provvedimento, producendo in giudizio un verbale di transazione con cui i medesimi lavoratori avevano ammesso di non mai lavorato alle dipendenze della società.

Instaurato il contraddittorio ed esaurita l’istruttoria, all’esito il tribunale ha respinto l’opposizione con sentenza n. 5203/2013.

Su impugnazione della società soccombente, la Corte d’appello ha confermato la prima decisione.

Secondo il giudice distrettuale, il tribunale aveva correttamente desunto la prova della sussistenza del rapporto di lavoro dal verbale acquisito in atti e delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva, giudicate puntuali, dettagliate, scevre da condizionamenti e non smentite dagli altri elementi acquisiti in giudizio.

La pronuncia ha respinto anche il motivo di gravame con cui era stato contestato al tribunale di non aver tenuto conto di tre sentenze che avevano qualificato diversamente il rapporto tra le parti, facendo osservare che dette pronunce erano state ritenute irrilevanti.

Quanto alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, la Corte di merito ha precisato che, oltre al rispetto dell’orario di lavoro, all’erogazione di una retribuzione fissa e alla natura delle mansioni svolte, il primo giudice aveva considerato che la società impartiva ai lavoratori anche ordini e direttive, elementi che confermavano il carattere subordinato dei rapporti di lavoro. Riguardo infine alla mancata assunzione della prova per testi richiesta dalla ricorrente, ha evidenziato che in primo grado, dopo l’escussione di un testimone, la causa era stata rinviata per conclusioni al 28.9.2010, senza che a detta udienza o a quelle successive fosse stata reiterata la richiesta di assunzione delle prove, che quindi dovevano considerarsi rinunciate.

La cassazione della sentenza è chiesta dalla R.C. Capodimonte S.r.l. con ricorso in due motivi.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali resiste con controricorso.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente infondato, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, asserendo che il giudice distrettuale non poteva desumere la prova del rapporto di lavoro dal solo verbale ispettivo, senza escutere la prova per testi. In ogni caso non era stata raggiunta la prova dell’esistenza del rapporto di subordinazione, poichè le dichiarazioni rese in sede ispettiva dovevano trovare conferma in ulteriori elementi processuali.

Il motivo è inammissibile.

E’ anzitutto inconferente la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c.. La Corte distrettuale non ha definito la lite facendo applicazione del criterio formale di riparto dell’onere della prova, ma ha ritenuto sussistente il vincolo di subordinazione sulla base degli elementi acquisiti in istruttoria. L’art. 2697 c.c., è invocabile solo ove il giudice abbia posto detto onere a carico di una parte che non ne era gravata, in base alla scissione della fattispecie in fatti costitutivi e mere eccezioni (Cass. n. 13395/2018; Cass. n. 26769/2018).

La doglianza è poi generica e tutt’altro che puntuale laddove insiste nella necessità di procedere all’assunzione della prova per testi, già ammessi dal tribunale, limitandosi a dedurre che la società aveva reiterato la propria richiesta, senza censurare la correttezza della pronuncia riguardo alla configurabilità di una rinuncia alla prova a causa del fatto che le richieste istruttorie non erano state reiterate nelle ultime due udienze, nel corso delle quali in cui il difensore si era limitato ad insistere per la decisione.

Quanto alle pronunce rese dal Tribunale di Napoli, che avevano escluso la sussistenza del rapporto di lavoro alle dipendenza della ricorrente, la Corte di merito ha precisato che due di esse si riferivano ad un periodo diverso da quello oggetto di causa e che l’altra riguardava verbali di accertamento che erano inopponibili alla Direzione provinciale del lavoro, evidenziando che l’appellante non aveva neppure colto la ratio decidendi della sentenza di primo grado, già pronunciatasi sul punto.

Riguardo al valore probatorio delle dichiarazioni dei lavoratori assunte in sede ispettiva, la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, essendo la pronuncia conforme alla giurisprudenza di legittimità ed il ricorso non offre elementi per mutare orientamento.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, nel giudizio di opposizione avverso l’ordinanza – ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti o di terzi, mentre non è necessaria la querela di falso qualora la parte intenda limitarsi a contestare la verità sostanziale di tali dichiarazioni ovvero la fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante, alle quali non si estende la fede privilegiata del documento.

Ciò non significa, tuttavia, che l’impugnativa dell’opponente renda queste ultime parti del documento prive di ogni efficacia probatoria, dovendo, invece, il giudice del merito prenderle in esame e, facendo uso dei poteri discrezionali di apprezzamento della prova che la legge gli attribuisce, valutarle nel complesso delle risultanze processuali, ivi compresi la concreta formulazione e gli eventuali limiti della contestazione e il contegno processuale dell’opponente (Cass. n. 3350/2001; Cass. n. 11718/2003; Cass. n. 2780/2004).

In particolare, le dichiarazioni rese ai verbalizzanti possono costituire anche la fonte esclusiva del convincimento del giudice, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso di altri elementi renda superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori (v., Cass. n. 11934/2019; Cass. n. 8445/2020).

Legittimamente la sentenza ha dunque valorizzato le sole dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva, dopo averle esaminate criticamente ed averne verificato l’attendibilità per la loro precisione e convergenza l’assenza di condizionamenti, avendo dato motivatamente conto della loro valenza probatoria.

Riguardo infine alla concreta sussistenza degli indici caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato, la doglianza è inammissibile sia laddove ribadisce la necessità che detti requisiti fossero accertati prescindendo dalle dichiarazioni dei lavoratori, oltre che – ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1 – riguardo alla ricorrenza degli indici sintomatici della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Conformemente al costante orientamento di questa Corte, il vincolo di subordinazione appare desunto dall’esercizio del potere direttivo e dell’emissione di ordini e direttive del datore di lavoro, nel contesto di un rapporto che – come è ammesso anche in ricorso (cfr. pag. 10) – era caratterizzato anche dall’osservanza di un orario di lavoro, dalla retribuzione periodica e fissa e dall’inserimento nell’organizzazione produttiva, elementi sicuramente connotativi della subordinazione (cfr. Cass. n. 29640/2018; Cass. n. 8364/2014).

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 1800,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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