Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14493 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33684-2018 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

82, presso lo studio dell’avvocato CARNEVALE LEONIDA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3629/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PELLECCHIA

ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con atto ritualmente notificato, Groupama Assicurazioni s.p.a. conveniva in giudizio F.R., e altri, al fine di ottenere la condanna alla restituzione, a titolo di rivalsa, delle somme anticipatamente versate dalla Compagnia in favore della minore Sara Attuara, e dei suoi genitori, quale danneggiata del sinistro e terza trasportata sul ciclomotore di proprietà della Fiorido e condotto dal figlio B.D..

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 23005/2012, accoglieva la domanda e, per l’effetto, condannava F.R. alla restituzione degli importi in favore Goupama Assicurazioni in quanto il trasporto di un passeggero sul ciclomotore non era consentito dalla legge e non rientrava, pertanto, nella copertura assicurativa.

Avverso detta sentenza, F. proponeva appello, sull’assunto che la condotta confra legem posta in essere dal figlio conducente doveva esimerla dalla responsabilità.

2. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 3629/2018 del 29/05/2018, rigettava l’impugnazione proposta e condannava l’appellante alla refusione delle spese.

Il giudice di seconde cure precisava che “il proprietario che intenda sottrarsi alla presunzione di responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c., comma 3, non può limitarsi a provare che la circolazione sia avvenuta senza il suo consenso, ma deve dimostrare che la stessa abbia avuto luogo ‘contro la sua volontà’ manifestatasi in un concreto ed idoneo comportamento ostativo specificatamente rivolto a vietare la circolazione ed estrinsecatasi in atti e fatti rilevatori della diligenza e delle cautele allo scopo adottate” (cass. n. 22449/2017).

Dunque, nel caso esaminato non si riteneva provata la circostanza che il ciclomotore fosse stato posto in circolazione “contro la volontà della proprietaria”.

Pertanto, non risultava superata la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 3, nè tantomeno, la ricostruzione processuale degli eventi, consentiva di rilevare comportamenti diligenti o l’adozione di cautele nelle modalità del sinistro e ciò valeva, non solo in ordine all’utilizzo irregolare del ciclomotore da parte del Brachetti, ma anche per la presenza della A. a bordo dello stesso.

3. Avverso questa pronuncia, F.R. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4.1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta la falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

La Corte non avrebbe applicato correttamente la disciplina in ordine all’estendibilità della responsabilità al proprietario del mezzo oggetto del sinistro, poichè non avrebbe considerato nel caso di specie un uso contra legem da parte del conducente che lo aveva prelevato ad insaputa dell’affidatario. Pertanto si sarebbe interrotto il nesso causale tra l’atto di affidamento e l’evento prodottosi.

4.2. Con il secondo motivo, parte ricorrente si duole dell’omesso fatto di fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare la responsabilità della passeggera nella causazione dell’incidente, pur essendo stata tale circostanza riproposta nei motivi d’appello.

La Corte non avrebbe considerato che l’incidente non si sarebbe verificato in assenza della A. perchè il conducente avrebbe potuto più facilmente eseguire manovre di emergenza.

5. Il ricorso è inammissibile.

In primo luogo, la struttura del ricorso e le doglianze di cui sopra violano l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Difatti il ricorrente nell’esporre il fatto si limita solo ad una brevissima descrizione delle vicende del primo e secondo grado di giudizio, senza permettere a Codesta Corte di cogliere la questione giuridica controversa e le ratio decidendi della sentenza oggetto del presente giudizio. Non si indicano le ragioni della domanda, le difese svolte dalla ricorrente, le ragioni della sentenza di primo grado e quelle dell’appello. Pertanto, la lettura dei due motivi risulta prospettare questioni che restano così incomprensibili.

Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di legittimità, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di intendere bene il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata. Il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti ed è pertanto inammissibile.

Non solo: i riferimenti alle emergenze del giudizio di merito sono fatti in assoluta inosservanza dell’onere di indicazione specifica dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Ove si potesse, poi, passare all’esame dei motivi essi risulterebbero fermo che non sono scrutinabili per la mancanza di conoscenza del fatto – inammissibili perchè, a prescindere dalla veste formale che richiamavano, erano volti ad ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti processuali limitandosi il ricorrente ad illustrare tesi alternative rispetto a quelle seguite dal Giudice di merito. Questa Corte, in quanto giudice di legittimità, non ha il potere di compiere una rivalutazione dei fatti e degli atti processuali nè un riesame delle prove. Attività, quella richiesta da parte ricorrente, che imporrebbe il controllo della motivazione della sentenza oggetto di impugnazione e che, pertanto, sarebbe contraria ai principi statuiti da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze gemelle n. 8053 e n. 8054 del 2014.

In sostanza i due motivi sollecitano una valutazione della quaestio facti.

6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. L’indefensio dell’intimata rende inutile provvedere sulle spese del presente giudizio.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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