Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14492 del 07/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 14492 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA

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sul ricorso 13036-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
MALERBA SETTIMIO;
– intimato avverso la sentenza n. 42/38/2010 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO del 12/01/2010,
depositata il 24/03/2010;

Data pubblicazione: 07/06/2013

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/04/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;

è presente il P.G. in persona del Dott. TOMMASO BASILE.

Ric. 2011 n. 13036 sez. MT – ud. 18-04-2013
-2-

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,
letti gli atti depositati

La CTR di Milano ha respinto l’ appello dell’Agenzia delle entrate -appello
proposto contro la sentenza n.113/03/2009 e 199/13/2008 della CTP di Milano che
avevano accolto il ricorso proposto da Malerba Settimio- ed ha così annullato
l’avviso di accertamento con cui sono stati recuperati a tassazione ai fini IVA-IRAPIRPEF ricavi non dichiarati relativi al periodo di imposta 2003, in considerazione
dell’acclarato scostamento del dichiarato rispetto allo studio di settore.
La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando che l’avviso di accertamento
risultava basato sul rilievo che il contribuente aveva dichiarato una percentuale di
ricavi diversa da quella che scaturisce applicando gli studi di settore, così attribuendo
di fatto ad essi la funzione di “presunzione iuris et de iure della fondatezza
dell’accertamento stesso”. Per contro, “dalla documentazione allegata si evince che il
contribuente, in sede di contraddittorio, aveva fornito le cause giustificative dello
scostamento dagli studi di settore ed aveva fornito, altresì, tutta la documentazione
contabile relativa all’anno d’imposta 2003…e da detto esame non risultava emersa
alcuna irregolarità contabile”.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La parte contribuenti non si è difesa.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il terzo motivo di censura (improntato al vizio di insufficiente
motivazione circa un punto decisivo della controversia) l’Agenzia ricorrente si è
doluta del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto raggiunta la prova circa

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Osserva

l’attendibilità dei redditi dichiarati, senza alcuna idonea motivazione di detto
convincimento e per quanto l’Ufficio avesse fornito validi elementi di presunzione (la
particolare esiguità del reddito dichiarato rispetto alle esigenze di vita della famiglia
del contribuente) per avvalorare le risultanze del metodo di accertamento
parametrico.

Ai fini del decidere non è invero possibile prescindere dall’indirizzo interpretativo
adottato ripetutamente da questa Corte ( per tutte Cass Sez. U, Sentenza n. 26635 del
18/12/2009 (Rv. 610691) secondo cui:”La procedura di accertamento tributario
standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore
costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e
concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato
rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per
elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al
contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il
contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna
di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione
dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la
specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la
motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento,
ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello
“standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni
sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona
l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare
tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente
impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è
vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e
dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se
non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.

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Il motivo appare fondato ed accoglibile.

In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto
l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli
“standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il
contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro
probatorio, la mancata risposta all’invito”.

dovuto valutare analiticamente da un canto gli elementi addotti dalla parte
contribuente per giustificare il contestato scostamento dalle medie di settore e d’altro
canto tenere in considerazione gli ulteriori elementi di anomalia che sono stati
indicati dall’Agenzia a conferma delle risultanze dell’indagine ricostruttiva
standardizzata. Al contrario, risulta dalla motivazione della pronuncia impugnata che
il giudice del merito ha motivato il proprio convincimento con considerazioni vaghe e
di puro stile, del tutto elusive delle concrete tematiche poste dalle parti e
peculiarmente dei dati fattuali sui quali l’accertamento risulta fondato ovvero sui
quali sono fondate le contestazioni di parte contribuente.
In definitiva, spetterà perciò al medesimo giudice di appello —in funzione di giudice
di rinvio- tornare a valutare gli argomenti e le fonti di prova addotte dalle parti, alla
luce del principio dianzi trascritto, ai fini del più puntuale vaglio circa la fondatezza
del provvedimento di accertamento.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
manifesta fondatezza.
Roma, 30 gennaio 2013

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.

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Alla luce del predetto insegnamento, ritiene la Corte che il giudice del merito avrebbe

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR
Lombardia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del
presente grado.

Così deciso in Roma il 18 aprile 2013.

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