Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14491 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 30/06/2011), n.14491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.G., quale titolare della VERBA VOLANT EDITRICE DI

GIANCARLO CAO, rappresentato e difeso dall’Avvocato Massacci Andrea

per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato

in Roma, via Fabio Massimo n. 107, presso lo studio, dell’Avvocato

Filippo Alajmo;

– ricorrente –

contro

GRAFICHE SAINAS di ALBERTO SAINAS & C. s.a.s., in persona del

legale

rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte drappello di Cagliari n. 267/09,

depositata in data 7 agosto 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

LETTIERI Nicola il quale nulla ha osservato.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che C.G., quale titolare della Verba Volant editrice di Cao Giancarlo, ha convenuto in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Cagliari, la Grafiche Sainas di Alberto Sainas & C. s.n.c., assumendo che la stessa non aveva adempiuto al contratto del 21 ottobre e alle obbligazioni assunte con la scrittura integrativa del 21 dicembre 1999, avente ad oggetto la stampa di 1.500 copie del volume “(OMISSIS)”; in particolare, la convenuta non aveva adempiuto all’obbligo di consegnare, entro il termine ritenuto essenziale del 15 gennaio 2000, le copie sostitutive di altre difettose che in parte (n. 300) erano già state consegnate e in parte (n. 300) erano rimaste nella disponibilità della convenuta stessa;

che l’attore ha chiesto inoltre la condanna della convenuta alla restituzione delle pellicole e degli altri materiali predisposti per la stampa e al risarcimento dei danni;

che la Grafiche Sainas di Alberto Sainas & C. s.n.c. si è costituita contestando la domanda e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore al pagamento del corrispettivo pattuito, oltre una indennità per il deposito e la custodia delle copie non ritirate, al pagamento dei costi necessari per lo smontaggio della line di stampa, al pagamento delle copie difettose mai restituite e al risarcimento dei danni;

che l’adito Tribunale, con sentenza n. 782 del 2006, ha rigettato la domanda principale e ha accolto quella riconvenzionale, di condanna dell’attrice al pagamento delle copie ricevute, rigettando le ulteriori domande;

che il Tribunale ha ritenuto provata la consegna di 851 copie e il loro mancato pagamento, nonchè la mancata restituzione delle 351 copie difettose, con conseguente fondatezza dell’eccezione di inadempimento proposta dalla convenuta, prevalente sulla richiesta di risoluzione di diritto proposta dall’attrice, tenuto conto degli interessi delle parti;

che C.G., nella qualità, ha proposto appello, cui ha resistito la Grafiche Sainas di Alberto Sainas & C. s.n.c., la quale ha proposto anche appello incidentale dolendosi della compensazione delle spese;

che la Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 267 del 2009, depositata il 7 agosto 2009, ha rigettato entrambi i gravami;

che per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso C. G. sulla base di cinque motivi; l’intimato non ha svolto attività difensiva;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Rilevato che il relatore designato, nella relazione depositata il 10 novembre 2010 e comunicata alle parti e al Pubblico Ministero, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“… Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1457 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia esaminato la questione principale dedotta con l’atto di appello, concernente la mancata consegna, da parte della convenuta, nel termine essenziale pattuito dalle parti, delle copie sostitutive di quelle difettose.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente denuncia in realtà non un vizio di omessa motivazione ma un vizio di omessa pronuncia su un motivo di gravame che egli assume essere stato la prima censura proposta. Introduce cioè una censura che avrebbe dovuto essere proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e che, non dando conto la sentenza impugnata del motivo di appello del cui mancato esame il ricorrente si duole, avrebbe dovuto essere corredata dalla trascrizione del motivo di appello proposto e non esaminato. La deduzione d’un vizio che ridonda in omessa pronunzia implica, infatti, la necessità d’accertare se il preteso motivo di gravame fosse stato effettivamente proposto ed in quali termini lo fosse stato e, di conseguenza, se esso avesse posseduto quei requisiti di specificità, imposti dall’art. 342 c.p.c., la cui ricorrenza rende obbligatori l’esame del motivo e la pronunzia su di esso da parte del giudice del merito e, quindi, censurabile l’omissione dell’uno e dell’altra, ovvero tali requisiti non avesse posseduto e, quindi, la denunziata omissione risultasse invece inesistente, per non essere stata richiesta alcuna pronunzia, ovvero giustificata, per essere espressione della reiezione implicita d’un motivo inammissibile in quanto non idoneamente proposto (Cass., n. 12475 del 2004; Cass., n. 12952 del 2007). La inammissibilità della censura dedotta in riferimento al mancato esame delle questioni concernenti il denunciato inadempimento della convenuta comporta poi che non possa ulteriormente darsi corso alla restante parte del motivo, con il quale il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia considerato solo la prestazione posta a suo carico senza comparare il suo inadempimento a quello della convenuta.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1183 cod. civ., dolendosi del fatto che la Corte d’appello, pur avendo affermato che la clausola che prevedeva a suo carico l’obbligo di restituzione o, in alternativa, di pagamento delle copie difettose non rese in capo a Verba Volant, stabiliva che la restituzione delle copie non sarebbe potuta avvenire rapidamente, abbia tuttavia omesso di trarre la conclusione della inapplicabilità, nel caso di specie, dell’art. 1183 c.c., comma 1.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce ancora violazione dell’art. 1183 cod. civ., per non avere la Corte d’appello considerato che la Grafiche Sainas non aveva preteso l’esecuzione immediata dell’obbligo di restituzione delle copie difettose ovvero del pagamento del corrispettivo.

Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione con la quale la Corte d’appello ha, da un lato, affermato che la clausola contrattuale relativa alla restituzione era stata male interpretata dal Tribunale, e, dall’altro, ritenuto che la prestazione fosse tuttavia immediatamente esigibile.

Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 1183 cod. civ. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che la convenuta Grafiche Sainas non aveva mai effettuato la richiesta di adempimento, essendosi limitata a comunicare di rimanere in attesa della restituzione delle copie difettose. Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in considerazione della connessione delle censure proposte, sono infondati.

La Corte d’appello ha ritenuto convincente la decisione del primo giudice in ordine alla insussistenza della necessità, per la convenuta, di ricorrere al giudice ai sensi dell’art. 1183 cod. civ., essendo sufficiente una semplice richiesta. Ha aggiunto poi ulteriori argomenti a sostegno di tale soluzione e ha altresì rilevato come dalla interpretazione della clausola contrattuale sostenuta dalla appellante non sarebbe certamente derivata una soluzione favorevole alla sua tesi, giacchè comunque sulla base della medesima clausola la stessa appellante avrebbe dovuto pagare le copie difettose non restituite. Ha infine osservato che la deduzione dell’appellante circa le difficoltà incontrate in ordine al reperimento delle copie difettose che avrebbero dovuto essere restituite alla Grafiche Sainas era nuova, avendo nell’atto introduttivo l’attrice giustificato le difficoltà nella restituzione con riferimento all’assenza di proprio personale che potesse essere destinato a ricevere le copie in questione. A fronte di tale motivazione, le censure del ricorrente, considerate sia singolarmente che nel loro complesso, non appaiono idonee ad evidenziare errori o vizi suscettibili di essere censurati in sede di legittimità. E’ infatti chiaro che la decisione impugnata scaturisce dall’esame delle obbligazioni delle parti quale risultante dal tenore degli accordi dalle stesse sottoscritti e della documentazione in atti. In tale contesto, nel mentre il ricorrente non denuncia violazione di canoni ermeneutici ma solo la violazione di una norma sostanziale, occorre dire che le deduzioni del ricorrente si sostanziano nel diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, sulla base delle quali la Corte d’appello ha potuto affermare che vi era stata richiesta, da parte della convenuta, dell’adempimento dell’obbligo di restituzione assunto dal ricorrente.

Non è infatti sufficiente il richiamo contenuto nel ricorso alla lettera del 10 gennaio 2000 per affermare che la Grafiche Sainas non avesse chiesto l’esecuzione della prestazione, essendo evidente che il documento stesso è suscettibile di diverse interpretazioni, e quindi anche come richiesta della prestazione stessa. In sostanza, le censure del ricorrente postulano una interpretazione dei testi contrattuali e dei documenti prodotti diversa da quella offerta dal giudice del merito nell’esercizio di un potere ad esso riservato, non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione di canoni ermeneutici (nella specie non denunciata) o per vizio di motivazione, nella specie non sussistente.

Sussistono quindi le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Considerato che il Collegio condivide la proposta di decisione ora richiamata;

che non appaiono idonee ad indurre a diversa conclusione le osservazioni svolte dal ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 3;

che, quanto alle conclusioni relative al primo motivo di ricorso, è appena il caso di rilevare che le diverse deduzioni o la trascrizione delle conclusioni dell’atto di appello non possono essere prese in considerazione, atteso che le memorie depositate dalle parti nel giudizio di legittimità hanno la funzione di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli originariamente generici e, quindi, inammissibili o di riprodurre atti non trascritti nel ricorso (Cass. n. 7237 del 2006; Cass. n. 7260 del 2005);

che, in ogni caso, sempre quanto al primo motivo, il Collegio ritiene opportuno evidenziare che, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, l’omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, deve essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le tante, Cass. n. 24856 del 2006; Cass. n. 3190 del 2006; Cass. n. 12366 del 1999);

che, perchè, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria e ineludibile, e, dall’ altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi;

che, infatti, ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 cod. proc. civ., ciò che configura un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione, che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. n. 6361 del 2007; Cass., S.U., n. 15781 del 2005);

che, dunque, solo successivamente, una volta dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso il giudice del merito al riguardo, omettendo di pronunziarsi, possono essere utilmente dedotte le questioni che l’accertamento d’errore siffatto presuppongano -nella specie la violazione dell’art. 1457 c.c. e l’omessa valutazione delle circostanze indicate – dacchè queste non possono essere prese in considerazione ove manchi una specifica prospettazione dell’eventuale vizio che inficerebbe sul punto ab origine l’impugnata sentenza, costituendo l’omissione della decisione sulla questione riproposta con il ricorso il presupposto logico-giuridico perchè la questione stessa possa essere esaminata, non nel giudizio di legittimità, ma nel giudizio di rinvio cui l’accertamento dell’omissione darebbe adito;

che nel motivo in esame sono fatti, per contro, solo generici riferimenti alle censure assuntivamente mosse alla sentenza di primo grado e nessun puntuale riferimento ai precisi termini della loro deduzione con l’atto d’appello, che, come già evidenziato, dovevano essere testualmente riportati, sicchè una censura d’omessa pronunzia – pur ove la si potesse desumere per implicito dal contesto, ciò che non è comunque consentito – risulta del tutto inadeguata all’onere di specificità sopra richiamato, imposto dall’ art. 366 c.p.c., n. 4 in relazione al principio d’autosufficienza del ricorso e, pertanto, sotto il profilo in esame, evidentemente inammissibile;

che le considerazioni in tal senso espresse con la relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ. non hanno trovato alcuna replica nella memoria depositata dal ricorrente con la quale – a parte la riproduzione, peraltro tardiva e insufficiente – della conclusioni dell’atto d’appello – si insiste nelle ragioni già svolte con il motivo senza cogliere il senso della ritenuta inammissibilità dello stesso;

che, con riferimento alle argomentazioni relative ai motivi concernenti la denunciata violazione dell’art. 1183 cod. civ., appare evidente come il ricorrente si dolga della interpretazione data dalla Corte d’appello alla intera vicenda contrattuale intercorsa tra le parti e come quindi detti vizi si risolvano in una non consentita richiesta di difforme valutazione degli atti di autonomia privata piuttosto che nella evidenziazione della violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale o nella indicazione di specifiche lacune o di specifici errori nella motivazione addotta dal giudice di merito a fondamento della propria decisione;

che, peraltro, posto che l’intera difesa ruota attorno alla tesi per cui una diversa lettura del contratto originario e degli atti successivi e un’adeguata valutazione dei comportamenti delle parti avrebbero condotto ad una soluzione della controversia in senso favorevole all’esponente, questi avrebbe dovuto prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, in relazione a specifiche censure d’erronea interpretazione o applicazione delle convenzioni o dichiarazioni negli atti stessi contenute con puntuale riferimento ai criteri legali d’ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso il giudice del merito al riguardo, avrebbe potuto procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori questioni di erronea o inesatta applicazione delle invocate norme;

che, infatti, la disamina di tali questioni presuppone l’intervenuto accertamento dell’errore sulla interpretazione della volontà negoziale e non può, pertanto , aver luogo ove manchi tale previo accertamento del vizio che infici sul punto ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo tale interpretazione il presupposto logico- giuridico delle conclusioni alle quali il giudice del merito è poi pervenuto sulla base di essa;

che se pur è vero che il ricorrente ha inteso in qualche modo censurare la valutazione degli atti in discorso effettuata dal giudice a quo e ha, all’uopo, svolto argomenti in senso contrario, tuttavia, quand’anche vi si volesse ravvisare una, sia pure irrituale, denunzia d’errore interpretativo, questa sarebbe, comunque, inidoneamente formulata ed insuscettibile d’accoglimento;

che l’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 ss. cod. civ., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi;

che, dunque, per far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicato sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti;

che, di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui il giudice di merito sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera e apodittica contrapposizione d’una difforme interpre-tazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e plurimis, da ultimo, Cass. n. 15381 del 2004; Cass. n. 13839 del 2004);

che, inoltre, è necessario rilevare, sia pur solo ad abundantiam, come nei motivi in esame, con i quali s’imputa di fatto alla corte territoriale l’erronea interpretazione degli atti inter partes, non sia ritualmente riportato il testo, non di ciascuno di essi (se non per uno stralcio dalla lettera 10 gennaio 2000 che, isolato dal contesto, assume scarso rilievo), ma del complessivo accordo nel quale sono inseriti e in riferimento al quale soltanto può evincersene il significato effettivo, la correttezza o meno della cui interpretazione si richiede a questa Corte di valutare, ciò che costituisce un’ulteriore ragione d’inammissibilità del motivo, giacchè, in violazione dell’espresso disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 3 e n. 4, non vi si riportano proprio quegli elementi di fatto in considerazione dei quali la richiesta valutazione, sia della conformità a diritto dell’interpretazione operatane dalla corte territoriale, sia della coerenza e sufficienza delle argomentazioni motivazionali sviluppate a sostegno della detta interpretazione, avrebbe dovuto essere effettuata, in tal guisa non ponendosi il giudice di legittimità in condizione di svolgere il suo compito istituzionale (e plurlbus, Cass. n. 2394 del 2004; Cass. n. 13012 del 2003);

che, del resto, l’impossibilità di rapportare le svolte censure in tema d’interpretazione della volontà negoziale delle parti all’esatto dato testuale nel quale quella volontà si è tradotta, ovviamente non surrogabile dalla lettura soggettiva datane dalla parte, comporta anche una violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4 sotto il diverso profilo del difetto di specificità del motivo;

che, in mancanza d’un’adeguata impugnazione, nei sensi indicati, dei giudizi espressi dalla corte territoriale in ordine all’atto ed al rapporto con lo stesso regolato, resta quindi ineccepibile il consequenziale riconoscimento da parte dello stesso giudice della ricorrenza nella specie del presupposto di fatto legittimante la conferma dell’accoglimento dell’originaria domanda riconvenzionale, giudizio operato in conformità ai fondamentali criteri legali d’interpretazione dettati dall’art. 1362 c.c., commi 1 e 2 e nell’ambito dei poteri discrezionali del giudice del merito, a fronte del quale, in quanto obiettivamente immune da censure ipotizzabili in forza dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le conseguenze previste dalle norme stesse;

che, anche sotto il trattato profilo, già evidenziato nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., la memoria del ricorrente non volge alcuna puntuale replica;

che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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