Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14487 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2644(1-2018 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA Q. VISCONTI

11, presso lo studio dell’avvocato FIORENTINO ANGELA, rappresentata

e difesa dall’avvocato FABOZZI LUCA;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo

studio dell’avvocato FEDELI VALENTINO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FUSCO LORENZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3158/2018 della CORTE D’APPELLO) di NAPOLI,

depositata il 26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PELLECCHIA

ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Nel 2010, F.M. conveniva in giudizio Generali Italia S.p.a, in qualità di impresa designata per la liquidazione dei danni di competenza del F.G.V.S., al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito ad un incidente stradale, avvenuto in Pozzuoli il 22 marzo 2005.

Parte attrice sosteneva che la moto sulla quale era terza trasportata, mentre era in fase di sorpasso, non riusciva a schivare l’auto, rimasta sconosciuta, che sopraggiungeva in direzione opposta.

In seguito a tale incidente F.M. riportava gravi lesioni con conseguente invalidità permanente.

La Società Generali Italia S.p.a si costituiva in giudizio.

Con sentenza n. 7445/2014, il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda attorea e condannava la compagnia al risarcimento del danno morale e biologico per una cifra pari a 752.029,56 curo.

La Generali s.p.a. proponeva appello avverso tale decisione, ritenendo non provata la domanda attorea e chiedendo di dichiarare il concorso del conducente della moto ex art. 2054 c.c. e della terza trasportata ex art. 1227 c.c., per non aver indossato il casco.

2. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 3158/2018, riformava integralmente la decisione di primo grado.

Osservava la Corte che le deposizioni testimoniali acquisite nel corso dell’istruttoria di primo grado non avevano chiarito nè le circostanze nè la dinamica del sinistro nè il preteso coinvolgimento dell’auto c.d. “pirata”, avendo dato una ricostruzione incerta e contraddittoria dei luoghi e della dinamica dell’incidente.

3. Avverso tale sentenza F.M. propone ricorso per cassazione, sulla base di un motivo. Generali resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. Con l’unico motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione dell’artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per vizio di motivazione in assenza di coerenza logico-formale nelle argomentazioni svolte.

La Corte d’appello di Napoli avrebbe errato nel ritenere improbabile il comportamento del teste V.A., il quale guardando allo specchietto retrovisore, avrebbe ottemperato al dispositivo di cui all’art. 148 Cds, con cui si impone al conducente del veicolo di accertarsi “che nessun conducente che segue sulla stessa carreggiata o semicarreggiata, ovvero sulla corsia immediatamente alla propria sinistra, qualora la carreggiata o semicarreggiata siano suddivise in corsie, abbia iniziato il sorpasso”.

Inoltre, la Corte avrebbe errato nel ritenere lacunosa le istanze istruttorie in quanto la domanda attorea sarebbe stata ampiamente provata sia dall’escussione dei testi V.A., C.S. ed M.E. (tutti presenti al momento dell’incidente) ma anche e soprattutto dalla copiosa documentazione prodotta in atti, tra cui la copia del procedimento penale contro ignoti.

5. Il ricorso è inammissibile.

La censura così formulata dal ricorrente è diretta ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, oltrepassando, in questo modo, i limiti propri del sindacato di legittimità.

Infatti, la Corte di cassazione ha più volte affermato che il vizio di motivazione deducibile con il ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 5, non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato al giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, essendo riservati esclusivamente al Giudicante l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e la scelta fra le risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, con l’unico limite di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento od a confutare ogni deduzione difensiva. Al riguardo, si ricorda il principio affermato dalle Sezioni Unite n. 8053-8054/2014 secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile””.

Inoltre si rammenta che in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 11892 del 2016, ripresa da Cass., Sez. Un. 16598 del 2016). Quindi, il motivo si risolve in una sollecitazione alla rivalutazione della quaestio Jà

Invero, non è dato riscontrare vizi dell’iter argomentativo della sentenza di appello, la quale appare coerente in punto di diritto e sul piano logico con i rilievi fattuali posti al suo vaglio.

Come costantemente da questa Corte, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr., tra le più recenti, Cass. civ. Sez. I, 19/06/2019, n. 16497).

In ogni caso il ricorso, ove superasse i limiti dell’inammissibilità, sarebbe infondato perchè contrariamente a quanto affermano i ricorrenti la Corte d’appello ha effettuato una valutazione globale di tutti gli elementi istruttori raccolti.

6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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