Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14486 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 19/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MARCHEIS Chiara Besso – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7928-2020 proposto da:

ATHENA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato

PAOLO MORSOLETTO e dall’Avvocato SABINA CICCOTTI per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1618/2019 del TRIBUNALE DI VICENZA, depositata

il 22/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/3/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che la Athena s.r.l. aveva proposto avverso la pronuncia con la quale il giudice di pace ne aveva, a sua volta, respinto l’opposizione al decreto che le aveva ingiunto il pagamento, in favore di P.A., della somma di Euro 4.750,00, oltre accessori, quale residuo compenso spettante a quest’ultima per l’attività svolta dalla stessa come consulente tecnico d’ufficio.

Il tribunale, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver affermato che: – il consulente tecnico d’ufficio può chiedere il pagamento del compenso a lui spettante anche alle parti nei cui confronti il giudice non abbia addossato le relative spese, promuovendo ordinaria azione di cognizione, che si aggiunge all’azione esecutiva proponibile contro le altre parti in forza del decreto di liquidazione adottato dal giudice ai sensi della L. n. 319 del 1980, art. 11, purchè nel relativo giudizio abbia dedotto e dimostrato l’inadempienza delle parti obbligate; doveva, pertanto, escludersi la sussistenza di un rapporto di litispendenza (eccepita dall’opponente) tra la controversia in esame e il giudizio (n. 7742/13 RG) avente ad oggetto un’opposizione a precetto, vertente sulla possibilità dell’ausiliaria di azionare un titolo esecutivo (e cioè il decreto con il quale il giudice istruttore aveva liquidato il compenso ponendolo provvisoriamente a carico della parte attrice) anche nei confronti di altre parti del processo (“laddove nella causa che qui occupa il provvedimento emesso dal giudice istruttore assume rilievo esclusivamente nella parte relativa alla liquidazione del compenso, come prova dell’esistenza del credito”); ha ritenuto che, nel caso in esame, le azioni proposte dall’appellata per recuperare la somma ad ella dovuta in forza del provvedimento di liquidazione del giudice istruttore (“richieste di pagamento rivolte ai difensori dei soggetti onerati; atto di precetto nei confronti delle stesse; tentativo di pignoramento…”) potevano ritenersi sufficienti per consentire al consulente tecnico d’ufficio, tenuto anche conto del fallimento dichiarato nei confronti della Italrom Eletronic s.r.l. e della Ital Invest s.r.l., di rivolgersi alle altre parti in causa.

La Athena s.r.l. in liquidazione, con ricorso notificato in data 17/2/2020, ha chiesto, per un motivo, la cassazione dell’ordinanza.

P.A. è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con l’unico motivo articolato, la ricorrente, lamentando l’omesso esame della circostanza per cui il consulente tecnico d’ufficio non aveva tentato la preventiva escussione dei soggetti obbligati al pagamento, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che le azioni proposte dall’appellata per recuperare la somma alla stessa dovuta in forza del provvedimento di liquidazione del giudice istruttore potevano ritenersi sufficienti per consentire al consulente tecnico d’ufficio di rivolgersi alle altre parti in causa, omettendo completamente di esaminare i fatti già dedotti in primo grado e ribaditi nell’atto d’appello della società opponente come motivo n. 2, lett. b), vale a dire che, come emerge dai documenti prodotti in giudizio, la consulente non aveva, in realtà, mai “precettato il pagamento del proprio compenso alle parti originariamente gravate” e che, dunque, il dedotto tentativo di recupero del credito nei confronti dei debitori originari (e cioè cioè la Italrom Eletronic s.r.l., la Ital Invest s.r.l. e M.F.) era stato in realtà del tutto inesistente.

1.2. In effetti, ha osservato la ricorrente, la consulente non ha fornito alcuna prova di avere correttamente chiesto il pagamento ai soggetti inizialmente obbligati, come la Italrom Eletronic s.r.l. e la Ital Invest s.r.l., (le quali peraltro, nel 2013, quando fu emesso il decreto di liquidazione, erano ancora attiva) notificando alle stesse il decreto di liquidazione e chiedendo l’insinuazione del credito come liquidato nelle relative procedure concorsuali, avendo, piuttosto, provveduto alla notifica dell’atto di precetto alle società obbligate presso il un soggetto che, essendo stato revocato dalla carica di amministratore di tali società sin dal 2009, era privo di qualunque legittimazione, presso l’indirizzo di quest’ultimo in Italia, nonostante che la sede delle società debitrici risultava in Romania.

1.3. Inoltre, ha aggiunto la ricorrente, il pignoramento mobiliare tentato in Italia nei confronti del M., in forza di precetto incompleto, non poteva che avere esito negativo, trattandosi di soggetto che da oltre trent’anni ha trasferito in Romania tutte le sue attività imprenditoriali.

1.4. In definitiva, la consulente non aveva intrapreso alcun valido e tempestivo tentativo di escussione degli obbligati principali.

1.5. D’altra parte, ha concluso la ricorrente, una volta notificato il decreto di liquidazione, come la P. ha fatto il 30/9/2013, la consulente non avrebbe potuto proporre nei confronti della medesima società opponente il ricorso per decreto ingiuntivo.

2. 1. Il motivo, in tutte le censure in cui è articolato, è infondato.

2.2. Intanto, l’appello che la ricorrente ha proposto a suo tempo, per come incontestatamente esposto nella sentenza impugnata (p. 3 e 4), non risulta aver compreso la questione concernente la dedotta improponibilità della domanda proposta in via monitoria dalla consulente per avere la stessa già notificato il decreto di liquidazione. Ed è noto che, nel giudizio di legittimità, non possono prospettarsi questioni nuove, quand’anche si tratti di questioni di puro diritto, se esse, come quella in esame, presuppongono nuovi ed ulteriori accertamenti di fatto.

2.3. Quanto al resto, la ricorrente, lamentando l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle relative emergenze, hanno ritenuto che la consulente avesse proposto nei confronti dei soggetti tenuti a pagarle il compenso in forza del decreto di liquidazione azioni di recupero tali (“richieste di pagamento rivolte ai difensori dei soggetti onerati; atto di precetto nei confronti delle stesse; tentativo di pignoramento…”) che le consentivano di rivolgersi alle altre parti in causa, come la società Athena, ha, in sostanza, censurato la valutazione delle prove svolta dalla sentenza impugnata.

2.4. La valutazione delle emergenze istruttorie, in effetti, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il consistito, come stabilito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui deduzione risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia: l’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (come, nel caso in esame, è la proposizione da parte del consulente tecnico di iniziative idonee nei confronti dei soggetti tenuti a pagarne il compenso in forza del decreto di liquidazione del giudice) ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).

2.5. Rimane, pertanto, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017).

2.6. In effetti, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.

2.7. Il tribunale, infatti, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto, in fatto, che le azioni proposte dall’appellata per recuperare la somma dovutale in forza del provvedimento di liquidazione del giudice istruttore (“richieste di pagamento rivolte ai difensori dei soggetti onerati; atto di precetto nei confronti delle stesse; tentativo di pignoramento…”) potevano ritenersi sufficienti per consentire al consulente tecnico d’ufficio di proporre la richiesta di pagamento alle altre parti in causa, come la società opponente.

2.8. Ed un volta ritenuto che il consulente aveva dimostrato in giudizio di aver (inutilmente) agito nei confronti dei soggetti obbligati a pagarne il compenso in forza del decreto di liquidazione del giudice, si sottrae, evidentemente, ad ogni censura la sentenza impugnata lì dove il tribunale ha, sul fondamento di tale presupposto, ritenuto che la stessa poteva agire in via ordinaria per chiedere il pagamento del compenso anche alle altre parti del giudizio (principale), come, appunto, la società Athena. Il consulente tecnico d’ufficio, infatti, può chiedere il pagamento del compenso a lui spettante anche alle parti nei cui confronti il giudice non abbia addossato le relative spese, promuovendo ordinaria azione di cognizione, che si aggiunge all’azione esecutiva proponibile contro le altre parti in forza del decreto di liquidazione adottato dal giudice, purchè nel relativo giudizio abbia dedotto e dimostrato l’inadempienza delle parti obbligate (Cass. n. 25971 del 2013).

3. Il motivo articolato in ricorso si rivela, quindi, del tutto infondato. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

4. Nulla per le spese di lite, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimata.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 19 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

 

 

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