Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14485 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 19/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6679-2020 proposto da:

R.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato LUIGI

ANNUNZIATA per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.D., rappresentato e difeso dall’Avvocato ARTURO

ANTONUCCI e dall’Avvocato ENRICO FACCHINI, per procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1520/2019 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA,

depositata il 17/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/3/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, in accoglimento dell’appello di B.D., ha accolto la domanda che lo stesso aveva proposto nei confronti di R.G. ed ha, per l’effetto, condannato quest’ultimo a corrispondere all’attore la somma di Euro 5.243,56, oltre interessi.

La corte, in particolare, per quanto ancora interessa, dopo aver accertato, in fatto, che le parti avevano stipulato un contratto per effetto del quale il B. aveva depositato beni di sua proprietà presso il magazzino del R. con l’autorizzazione di quest’ultimo e che il convenuto, allo scopo di liberare il locale, aveva provveduto ad appropriarsi, a mezzo di distrazione, dei predetti beni, ha ritenuto che lo stesso fosse responsabile, a norma dell’art. 2043 c.c., del fatto lesivo del diritto di proprietà dell’attore, a prescindere dalla sua inerzia circa la liberazione del magazzino nonostante i reiterati solleciti da parte del convenuto, e che fosse, pertanto, obbligato a risarcire i danni arrecati allo stesso, da quantificare, in ragione della natura dei beni dispersi (attrezzature utilizzate da anni), nella somma corrispondente alla metà del loro prezzo d’acquisto.

R.G., con ricorso notificato il 3/2/2020, ha chiesto la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 6/12/2019.

Domenico B. ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato l’omessa pronuncia da parte della corte d’appello sull’eccezione sollevata dall’appellato nella comparsa di risposta con la quale era stata dedotta l’inesistenza della notifica dell’atto d’appello, ricevuta il 17/7/2017 e non suscettibile di sanatoria per conseguimento dello scopo, in quanto eseguita a mezzo pec in formato.doc.p7m., trattandosi di file non previsto da alcuna normativa tecnica in materia di notifica telematica.

2. Il motivo è inammissibile. Il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito e non anche, come nel caso in esame, di eccezioni pregiudiziali di rito (Cass. n. 25154 del 2018). D’altra parte, la costituzione in giudizio dell’appellato e l’articolazione di difese nel merito del gravame proposto da parte dello stesso, presupponendo l’avvenuta conoscenza integrale dell’atto notificato, ha determinato senz’altro la sanatoria del vizio della notifica, ove mai effettivamente esistente, per intervenuto conseguimento dello scopo: l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta, in effetti, la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto, come è risultato nella specie, il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. SU n. 23620 del 2018; Cass. 20625 del 2017; Cass. n. 24568 del 2018).

3. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 132 e 116 c.p.c., circa l’erronea qualificazione dei contratti per cui è causa, nonchè dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione dell’ art. 112 c.p.c., artt. 1453,1168 e 1810 c.c., e la violazione degli artt. 1776 e ss. c.c. e art. 1803 e ss c.c., e art. 116 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, attraverso argomentazioni non sorrette da alcun impianto logico corretto, ha ritenuto che tra le parti era stato stipulato un contratto di comodato e che il convenuto si era indebitamente appropriato dei beni, senza, tuttavia, valutare la possibilità di inquadrare il rapporto in altre fattispecie, come il deposito o la mera cortesia, con la conseguente esclusione della responsabilità ex recepto, essendo, piuttosto, inquadrabile nella responsabilità ex art. 2043 c.c., con la necessaria valutazione del dolo o della colpa. Peraltro, ha aggiunto il ricorrente, la corte d’appello ha provveduto alla quantificazione del danno utilizzando quale criterio di liquidazione dei beni distratti la metà del loro valore ma, tralasciando ogni ulteriore supporto logico a tale quantificazione, ha omesso di considerare la raggiunta prova che si trattava di componentistica di ponteggi e di “beni cianfrusaglia”.

4. Il motivo è del tutto infondato. Il ricorrente, infatti, pur lamentando la violazione di norme di legge sostanziale o processuale, ha finito, in sostanza, per censurare l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle loro asserite emergenze, hanno ritenuto, per un verso, che tra l’attore e il convenuto era stato stipulato un contratto per effetto del quale il B. aveva depositato beni di sua proprietà presso il magazzino del R. con l’autorizzazione di quest’ultimo e che il convenuto, allo scopo di liberare il locale, aveva provveduto ad appropriarsi, a mezzo di distrazione, dei predetti beni, e, per altro verso, che il convenuto fosse per questo responsabile, a norma dell’art. 2043 c.c., del fatto lesivo del diritto di proprietà dell’attore e, quindi, obbligato a risarcire i danni arrecati, da quantificare, in ragione della natura dei beni dispersi (attrezzature utilizzate da anni), nella somma corrispondente alla metà del loro prezzo d’acquisto.

5. La valutazione delle emergenze istruttorie, però, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il consistito, come stabilito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui deduzione risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia: l’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (come, nel caso in esame, il deposito da parte dell’attore di beni di sua proprietà nel magazzino del convenuto e la distrazione degli stessi da parte di quest’ultimo) ancorchè la sentenza non abbia dato conto, in ipotesi, di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).

6. Rimane, pertanto, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017). In effetti, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.

7. La corte, infatti, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto, in fatto, non importa in questa sede se a torto o a ragione, che l’attore aveva depositato beni di sua proprietà nel magazzino del convenuto e che il convenuto aveva provveduto alla loro distrazione, arrecandogli un danno pari ad una somma corrispondente alla metà del loro prezzo d’acquisto. D’altra parte, la responsabilità ex recepto incombe sul depositario non solo nell’ipotesi di deposito a titolo gratuito, che ha natura contrattuale ma anche in quella del deposito di cortesia, nel quale non sussiste, invece, alcun rapporto contrattuale (cfr. Cass. n. 7363 del 2000).

8. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

10. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 19 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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