Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14484 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14003-2018 proposto da:

P.S., nella qualità di Presidente e legale rappresentante

dell’Associazione “Pubblica Assistenza Trapani Soccorso ONLUS”,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 4, presso

lo studio dell’avvocato GORI STEFANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SINATRA MAURIZIO GIUSEPPE;

– ricorrente –

POSTE ITALIANE SPA 97103880585, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175,

presso FUNZIONE AFFARI LEGALI, rappresentata e difesa dagli avvocati

PANZOLINI MAURO, CATALDI ROSSANA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2377/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 13/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI

MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2012 l’ente morale “Associazione Pubblica Assistenza Trapani Soccorso ONLUS” (d’ora innanzi, per brevità, “la APAT”), agendo per il tramite del proprio legale rappresentante P.S., convenne dinanzi al tribunale di Trapani la società Poste Italiane s.p.a., esponendo che:

-) nel 2008 ignoti avevano trafugato dalla sede dell’associazione due assegni di conto corrente “non trasferibili”;

-) tali assegni erano stati sottoscritti con firma di traenza apocrifa, e girati con firma altrettanto apocrifa;

-) nonostante l’evidente differenza tra la firma di traenza apposta sui titoli suddetti, rispetto allo specimen in possesso della Poste Italiane, i titoli vennero ugualmente negoziati e pagati in un ufficio postale;

-) in conseguenza dei fatti suddetti la APAT aveva sofferto un danno patrimoniale pari alle somme indebitamente prelevate dal portatore dei titoli, ovvero Euro 50.000;

-) dei suddetti danni doveva rispondere la società Poste Italiane, per non aver rilevato la falsità della firma di traenza e di quella di girata, nonchè per aver negoziato titoli che erano stati trasferiti per mezzo di girata, nonostante fossero stati emessi con la clausola “non trasferibile”.

2. La società Poste Italiane si costituì contrastando la pretesa. Con sentenza 29 aprile 2014 il Tribunale di Trapani rigettò la domanda.

3. La sentenza venne appellata dall’associazione soccombente. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 13 dicembre 2017 n. 2377 rigettò il gravame.

La Corte fondò la suddetta decisione sul rilievo che non era “stato provato o richiesto di provare che l’assegno non sia stato incassato dal rappresentante legale dell’associazione appellante, ma da terza persona non identificata”.

Osservò la Corte d’appello che nel caso di specie i titoli dei quali la APAT lamentava la indebita negoziazione erano stati tratti da quest’ultima a favore di se stessa, con uso del timbro della stessa associazione, e formalmente risultavano incassati dallo stesso soggetto che aveva apposto la firma di traenza qualificandosi, e per tale venendo identificato, come il rappresentante legale, previa esibizione di un documento di riconoscimento il cui numero corrispondeva a quello del documento del vero rappresentante legale, e la cui firma “prima facie è riferibile allo stesso”.

Aggiunse la Corte d’appello che la prova testimoniale articolata dalla associazione appellante era “inconducente”, perchè avente ad oggetto le circostanze di dell’avvenuta negoziazione di un titolo di credito diverso da quello oggetto del contendere, mentre “nessuna prova era stata articolata con specifico riferimento alla negoziazione degli assegni oggetto della domanda”.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla APAT con ricorso fondato su due motivi.

Ha resistito Poste Italiane con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, formalmente invocando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente la Corte d’appello avrebbe rigettato le richieste istruttorie avanzate dall’APAT; che in particolare la prova testimoniale richiesta dalla ricorrente era ammissibile e rilevante; che essa era finalizzata a dimostrare che gli assegni erano stati negoziati da un soggetto diverso dal legale rappresentante della ONLUS; che, se fossero state raccolte quelle prove, esse avrebbero dimostrato che, con l’ordinaria diligenza, gli impiegati della Poste Italiane si sarebbero potuti avvedere ictu oculi della contraffazione del titolo posto all’incasso.

1.1. Il motivo è inammissibile, e comunque sarebbe stato infondato nel merito, ove del merito si fosse potuto discorrere. Il motivo è in primo luogo inammissibile, dal momento che il giudizio sulla rilevanza delle prove richieste dalle parti, rispetto al tema oggetto di giudizio, è una valutazione discrezionale riservata al giudice di merito, e non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizi di motivazione, e nei distretti limiti in cui ciò è ancora consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5.

Tale principio è stato ripetutamente affermato da questa Corte (ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013, Rv. 627523 – 01), e condiviso dalle Sezioni Unite, le quali – ai fini della censurabilità in sede di legittimità degli errori processuali che si assumono commessi dal giudice di merito – hanno distinto tra i vizi del processo che si sostanziano nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore, ed i vizi consistenti nell’esercizio in un modo, piuttosto che un altro, di scelte discrezionali espressamente affidate dalla legge al giudice di merito.

Tali ultime scelte, pur non essendo ovviamente libere nel fine, lasciano tuttavia al giudice stesso un ampio margine nel valutare se e quale attività possa o debba essere svolta: ed è questo per l’appunto il caso delle valutazioni che il giudice è chiamato a compiere in ordine alla rilevanza di mezzi di prova dei quali sia stata chiesta l’ammissione (così, testualmente, Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012, Rv. 622362 – 01, p. 4.1 dei “Motivi della decisione”).

1.2. In ogni caso e ad abundantiam, questa Corte ritiene che corretta fu la decisione del giudice d’appello di non ammettere le prove testimoniali richieste dalla associazione odierna ricorrente.

Nel presente giudizio, infatti, l’oggetto del contendere era se gli impiegati della Poste Italiane potevano o non potevano, con l’uso dell’ordinaria diligenza, avvedersi della falsità della firma di traenza apposta sugli assegni ad essa presentati per la negoziazione.

Su tale questione centrale ai fini del decidere, la Corte d’appello osservò che la firma apposta sugli assegni era prima facie riferibile al legale rappresentante dell’associazione.

Rispetto a questa ratio decidendi nessuna rilevanza potevano avere i cinque capitoli di prova per testimoni richiesti dalla APAT, al fine di dimostrare:

-) che gli impiegati delle Poste avevano informato il legale rappresentante della APAT che vi era stato un abusivo tentativo di negoziazione di un ulteriore assegno, non andato a buon fine (capitoli 1-3);

-) che il legale rappresentante della APAT non aveva la disponibilità dei carnet degli assegni (capitoli 4-5).

Infatti, quand’anche tali circostanze fossero state positivamente dimostrate, esse non avrebbero potuto in alcun modo incidere sul giudizio con cui la Corte d’appello ha ritenuto esente da colpa la condotta dei dipendenti della società convenuta.

2. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 91 c.p.c..

Sostiene che, avendo la Corte d’appello ritenuto corrette le deduzione in diritto svolte dall’associazione appellante, ma sforniti di prova i fatti da essa dedotti, ciò avrebbe dovuto indurre il giudice di secondo grado a compensare le spese di lite.

2.1. Il motivo è manifestamente infondato; la Corte d’appello ha regolato le spese di lite secondo il principio della soccombenza, nè la scelta di compensare o non compensare le spese processuali è sindacabile in sede di legittimità, in quanto rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice di merito.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna Associazione Pubblica Assistenza Trapani Soccorso ONLUS, in persona del legale rappresentante P.S., alla rifusione in favore di Poste Italiane s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 4.300, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014 n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di Associazione Pubblica Assistenza Trapani Soccorso ONLUS, in persona del legale rappresentante P.S., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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