Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14483 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13204-2018 proposto da:

C.M., B.I., in proprio e nella qualità di

genitori esercenti la potestà sulla minore C.F.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli

avvocati ROMANELLI SARA, ROMANELLI GIUSEPPE, SIVOCCIA VALENTINA,

D’ANIELLO MARIA VALERIA;

– ricorrenti –

contro

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

BETTOLO, 52, presso lo studio dell’avvocato BRINDISI LEOPOLDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIAMMARINO STANISLAO;

– controricorrente –

contro

ASL SALERNO, in persona del Direttore Generale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 52, presso

lo studio dell’avvocato BRINDISI LEOPOLDO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIAMMARINO STANISLAO;

– controricorrente –

e contro

UNIPOL ASS.NI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 251/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 22/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI

MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2006 i coniugi C.M. e B.I. convennero dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore LA ASL “Salerno 1” (oggi, ASL Salerno; d’ora innanzi, “la ASL”) e M.V., medico dipendente della suddetta ASL, esponendo che:

-) il 17.5.2014 B.I. diede alla luce C.F., all’esito di un parto cesareo;

-) nell’esecuzione dell’intervento il Dott. M.V. provocò per imperizia una ferita alla guancia sinistra della neonata, guarita con esiti cicatriziali permanenti, estesi per due centimetri.

Sulla base di tali fatti chiesero la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni patiti da loro e dalla neonata.

2. Ambedue i convenuti si costituirono, contrastando la pretesa attorea.

La ASL chiese ed ottenne di chiamare in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la UGF Assicurazioni s.p.a., al quale chiese di essere tenuta indenne in caso di accoglimento della domanda attorea.

3. Con sentenza 4 novembre 2010 n. 1245 il Tribunale di Nocera Inferiore, accertato che C.F. aveva patito in conseguenza dell’errore medico una invalidità permanente stimata dal medico-legale ausiliario dell’Ufficio nella misura del 2-3%, accolse la domanda, liquidando i seguenti importi:

-) Euro 268.594,47 a favore di C.F. (il Tribunale pervenne a tale valutazione ritenendo che spettasse alla minore il risarcimento del danno biologico; l’aumento equitativo del relativo risarcimento; il risarcimento del danno estetico; il risarcimento del danno da perdita di chances);

-) Euro 4.773,53 a favore di B.I..

4. La sentenza venne appellata dalla UGF Assicurazioni in via principale, e da tutte le altre parti in via incidentale.

Con sentenza 22 febbraio 2018 n. 251 la Corte d’appello, per quanto in questa sede ancora rileva, accogliendo sul punto il gravame proposto dalla ASL, ritenne:

-) che non fosse stata dimostrata l’esistenza di alcun danno da perdita di chances a carico di C.F.;

-) che erroneamente il Tribunale aveva accordato alla danneggiata sia il risarcimento del danno biologico, sia il risarcimento del danno estetico, in quanto quest’ultimo non rappresenta una categoria di danno autonoma e diversa rispetto al danno biologico.

Rideterminò di conseguenza il danno non patrimoniale sofferto da C.F. nella minor somma di 10.707,42 Euro, oltre accessori.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da C.M. e B.I., sia in proprio che quali rappresentanti ex art. 320 c.c. della figlia C.F., con ricorso fondato su un motivo ed illustrato da memoria.

Hanno resistito con separati controricorsi, ma di contenuto pedissequo, la ASL Salerno e M.V..

I due controricorrenti hanno altresì depositato una memoria unica per entrambi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo i ricorrenti lamentano (senza formalmente inquadrare la censura in nessuno dei cinque vizi di cui all’art. 360 c.p.c.) la violazione degli artt. 1226,2043,2056 e 2059 c.c., “per erroneità delle somme conteggiate dalla Corte d’appello di Salerno”.

Nella illustrazione del motivo si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha liquidato il danno non patrimoniale sofferto da C.F..

L’esposizione delle ragioni della impugnazione è strutturata come segue:

-) dapprima i ricorrenti sostengono che la sentenza d’appello sarebbe sbagliata, “perchè si discosta dai criteri risarcitori correttamente adottati dal Tribunale di Nocera Inferiore” (così il ricorso, pagina 11, ultimo capoverso);

-) segue la elencazione di una serie di principi generali: quelli secondo cui la lesione dei diritti fondamentali della persona obbliga il responsabile al risarcimento del danno, e quest’ultimo deve avvenire in via equitativa, previo accertamento delle effettive conseguenze concrete del fatto illecito (ibidem, p. 1214);

-) l’illustrazione del motivo prosegue sostenendo (p. 14, ultimo capoverso) che mentre il Tribunale aveva correttamente accordato alla vittima il risarcimento del danno biologico, l’aumento del valore-punto per tenere conto delle specificità del caso; il risarcimento del danno morale (stabilito in 2/3 del danno biologico); il risarcimento del danno estetico; il risarcimento del danno da perdita di chances lavorative, la Corte d’appello aveva errato nel riformare tale liquidazione: sia per essersi discostata dai principi stabiliti da questa Corte tanto in tema di risarcibilità delle conseguenze patrimoniali del pregiudizio estetico, quanto in tema di perdita di chances;

-) la perdita di chances consiste infatti nella mera perdita della possibilità di conseguire un vantaggio futuro e probabile, e nel caso di specie “la menomazione subita dalla piccola C.F., proiettandosi nel futuro, verrà ad incidere su alcune sue chances lavorative che richiedono una bella presenza, come ad esempio il caso di possibili impieghi nelle pubbliche relazioni nel settore privato, nel marketing o, in genere, in tutte quelle situazioni di costante contatto con il pubblico” (ibidem, pagina 15).

1.1. Il motivo, anche a prescindere da qualsiasi rilievo circa la sua ammissibilità (al netto delle formule di stile e delle citazioni di principi generali, infatti, il motivo di censura si risolve in una tautologia, consistente nel sostenere che la sentenza d’appello sarebbe erronea perchè corretta era quella di primo grado), è manifestamente infondato.

1.2. Il giudice di primo grado, al fine di stimare il danno non patrimoniale patito da C.F. nominò un consulente tecnico d’ufficio medico-legale.

Questi, visitata la persona danneggiata, stimò (con valutazione che non risulta contestata dalle parti, e che comunque fu recepita tanto dal Tribunale, quanto dalla Corte d’appello) che C.F., in conseguenza dell’errore del medico, patì postumi permanenti stimabili nella misura del 2-3%.

Sulla scorta di questa valutazione, la Corte d’appello ha ritenuto che:

-) fosse corretta la liquidazione del danno biologico compiuta dal tribunale;

-) fosse corretta la scelta del Tribunale di aumentare il risarcimento del danno alla salute per tenere conto della sofferenza morale soggettiva;

-) fosse corretta la scelta del tribunale di accordare alla vittima il risarcimento del danno patrimoniale consistente nella spesa necessaria per un futuro intervento correttivo di chirurgia plastica.

La Corte d’appello ha invece ritenuto erronea la decisione del Tribunale di:

a) liquidare alla vittima, in aggiunta al risarcimento del danno biologico, una ulteriore somma di denaro a titolo di risarcimento del “danno estetico”, poichè in tal modo il Tribunale aveva duplicato il risarcimento del medesimo pregiudizio;

b) liquidare alla vittima il risarcimento del danno patrimoniale da perdita delle chances lavorative future, per difetto di prova.

1.3. Ambedue le valutazioni appena ricordate sono conformi a diritto.

Per quanto attiene la stima del danno non patrimoniale, la Corte d’appello di Salerno ha puntualmente applicato il principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui il c.d. “danno estetico” non è che un modo diverso di chiamare le lesioni della salute che guariscano con effetti deturpanti od inestetismi (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014, Rv. 633405 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 13765 del 31.5.2018).

Infatti a colui il quale riporti uno sfregio permanente del viso guarito con postumi permanenti, la liquidazione del danno biologico permanente non lascia spazio alcuno per la successiva liquidazione di un preteso “danno estetico”: in questo caso il danno biologico è il danno estetico, e la liquidazione dell’invalidità permanente ristorerà le conseguenze ordinariamente derivanti da quel tipo di postumi (Sez. 3 -, Sentenza n. 20630 del 13/10/2016, in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 17220 del 29.7.2014).

Infatti il grado di invalidità permanente determinato dal consulente sulla base di un parere medico legale, e condiviso dal giudice, esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima, restando preclusa la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, quali il danno alla vita di relazione e alla vita sessuale, e, per l’appunto, il “danno estetico” (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014, Rv. 633405 – 01).

1.4. Per quanto attiene poi, il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chances che C.F. avrebbe patito – secondo la prospettazione attorea – a causa dell’esistenza d’una cicatrice di due centimetri sulla guancia sinistra, il motivo è anche in questo caso in primo luogo inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello non ha infatti negato in astratto la risarcibilità di un simile pregiudizio patrimoniale, ma ha ritenuto in concreto che di esso non vi fosse una prova sufficiente.

Il ricorso, tuttavia, non muove alcuna valida censura a questa valutazione: in particolare non indica da quali atti, fatti, presunzioni, dichiarazioni confessorie, la Corte d’appello avrebbe dovuto trarre il convincimento che C.F., in età adulta, sarebbe stata costretta a rinunciare ad attività lavorative che, in assenza degli esiti cicatriziali, avrebbe verosimilmente svolto.

Nè può mancarsi di rilevare che, avendo il giudice di merito liquidato alla persona danneggiata (con evidente errore a favore di quest’ultima, che tuttavia in questa sede non viene censurato) sia il danno biologico permanente; sia il danno patrimoniale consistente nel costo necessario per rimuovere gli esiti cicatriziali con un intervento chirurgico ad hoc, viene a cadere la concepibilità stessa di un danno da perdita di chances, dal momento che mercè l’ottenuto risarcimento, la vittima potrà emendare il pregiudizio estetico.

Nè i ricorrenti, in alcun punto del ricorso, hanno mai dedotto che quel pregiudizio fosse assolutamente inemendabile anche con ricorso alla chirurgia estetica.

2. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

La circostanza che la ASL di M.V., pur avendo depositato due separati controricorsi, siano stati difesi dal medesimo legale con identici argomenti, giustifica una liquidazione unitaria.

L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna C.M. e B.I. in solido, in proprio nella qualità di cui in epigrafe, alla rifusione in favore di Asl Salerno e M.V. in solido delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014 n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento da parte di C.M. e B.I. in solido, in proprio nella qualità di cui in epigrafe, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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