Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1448 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19978/2015 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DIEGO SENTER,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA EDLLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTIGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 27/01/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA DI 2^

GRADO di TRENTO del 13/04/2015, depositata il 20/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/11/2016 dal Consigliere Relatore Don. ENRICO MANZON.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Atteso che ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata e ritualmente comunicata la seguente relazione:

“Con sentenza in data 13 aprile 2015 la Commissione tributaria di secondo grado di Trento rigettava l’appello proposto da R.F. avverso la sentenza della Commissione tributaria di primo grado di Trento n. 48/2/13 che aveva respinto il ricorso del medesimo contro l’avviso di accertamento IRPEF, IVA, IRAP 2007. Il giudice di appello rilevava in particolare che il contribuente non avesse adeguatamente assolto all’onere di provare l’inerenza dei costi per prestazioni di terzi, per la genericità delle relative fatture e l’assenza di contratti di sub appalto.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il R. deducendo due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Con due censure sviluppate unitariamente – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-5 – il ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione dell’art. 109 T.U.I.R., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Le censure si palesano sia inammissibili che infondate.

In relazione al dedotto error in judicando in jure va rilevato al contrario che la Commissione tributaria di secondo grado ha fatto corretta applicazione del principio di inerenza di cui all’art. 109, comma 5, T.U.I.R., in particolare attribuendo al contribuente l’onere di comprovare in fatto la sussistenza di tale presupposto generale di deducibilità dei costi (cfr. in questo senso da ultimo Cass., Sez. 5, n. 9818 del 2016).

Vi è poi da osservare che, con tecnica redazionale ai limiti della stessa ammissibilità, il ricorrente critica la sentenza impugnata per l’errata applicazione di tale regola al caso concreto, asserendo appunto che il giudice di appello, così come quello di prime cure, abbia mal valutato sia i fatti posti alla base della ripresa fiscale tramite accertamento induttivo (indeterminatezza delle fatture emesse dai terzi prestatori d’opera, assenza dei contratti relativi, pagamenti per contanti) sia le sue contrededuzioni.

Va su questo profilo di censura ribadito anzitutto che “Mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., configurabile soltanto nell’ipotesi in il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360” (Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013, Rv. 626907).

Orbene, escluso come sopra detto che la decisione della Commissione trentina meriti cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, trattandosi di una “doppia conforme” il vizio della motivazione -peraltro all’evidenza insussistente – non può comunque essere considerato, stante la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c..

Si ritiene pertanto la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 375 c.p.c., per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio e se ne propone il rigetto”.

Il Collegio condivide la relazione depositata.

Il ricorso va dunque rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese secondo generale principio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600,00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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