Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14479 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11828-2018 proposto da:

S.F.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SALARIA 400, presso lo studio dell’avvocato DE LUCA MASSIMILIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE FALCO VITO;

– ricorrente –

contro

TIM SPA DIREZIONE E COORDINAMENTO VIVENDI SAS (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA L. SPALLANZANI 22, presso lo studio dell’avvocato PROTO

MASSIMO, rappresentata e difesa dall’avvocato BOCCHINI ROBERTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1088/2017 del TRIBUNALE di POTENZA, depositata

il 13/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI

MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2007 S.F.U. convenne dinanzi al Giudice di pace di Bella (ufficio giudiziario sito nel circondario del Tribunale di Potenza) la Telecom Italia s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in TIM s.p.a.), chiedendo che fosse dichiarata nulla la clausola del contratto di utenza telefonica da lui stipulato con la società convenuta, la quale poneva a carico dell’utente le spese di spedizione della bolletta.

Il Giudice di pace con sentenza 5 febbraio 2007 n. 78 accolse la domanda, e condannò la Telecom a pagare a S.F.U. la somma di Euro 18,28.

2. Il Tribunale di Potenza, adito dalla società soccombente, con sentenza 13 ottobre 2017 n. 1088 accolse il gravame e rigettò la domanda proposta da S.F.U..

La sentenza d’appello è impugnata per cassazione da S.F.U. con ricorso fondato su un solo motivo.

Ha resistito con controricorso la TIM spa.

Ambedue le parti hanno depositato memoria

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 327 c.p.c. ed R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82.

Sostiene il ricorrente che il Tribunale ha erroneamente ritenuto ammissibile un appello che non lo era, e che si sarebbe invece dovuto ritenere tardivo.

Deduce che la sentenza di primo grado era stata notificata alla TIM – per i fini di cui all’art. 325 c.p.c. – il 6 marzo 2007, mentre l’atto d’appello era stato notificato addirittura un anno dopo, il 15 marzo 2008.

Aggiunge che la notifica della sentenza di primo grado era stata effettuata nella cancelleria del Giudice di pace, ai sensi dell’art. 82 del R.D. 22.1.1934 n. 37, in quanto l’avvocato che aveva difeso la TIM nel giudizio di primo grado, nonostante esercitasse il proprio ufficio extra districtum, aveva eletto domicilio in un luogo diverso da quello in cui aveva sede il giudice adito. Di conseguenza, il difensore della TIM doveva ritenersi domiciliato ex lege presso la cancelleria del giudice adito (Giudice di pace di Bella), ed ivi ritualmente era stata eseguita la notifica della sentenza.

1.1. La TIM ha eccepito l’inammissibilità del ricorso: vuoi a causa dell’omessa esposizione dei fatti di causa; vuoi per la violazione dell’onere di allegazione ed indicazione dei documenti sui quali il ricorso si fonda, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Ambedue tali eccezioni sono infondate.

Quanto alla prima, alle pagine 1 e 2 del ricorso sono indicati i fatti processuali necessari e sufficienti per esaminare la fondatezza della doglianza con cui il ricorrente denuncia la tardività dell’appello.

Quanto alla seconda eccezione, il ricorrente ha ritualmente indicato (a pagina 3 del ricorso) dove si trovi e quale contenuto avesse l’atto su cui il ricorso si fonda, e cioè l’avvenuta notifica della sentenza di primo grado presso la cancelleria del Giudice di pace.

1.2. Nel merito il ricorso è fondato.

Non è in contestazione tra le parti che nel primo grado del presente giudizio la società TIM sia stata difesa dall’avvocato Bocchini Roberto; che questi appartenesse all’Ordine degli Avvocati di Napoli; e che avesse eletto domicilio ai fini del giudizio non nel comune di Bella, ma a Potenza, presso l’avvocato De Bonis Michele.

1.3. Ciò posto in fatto, si rileva in punto di diritto che nel procedimento dinanzi al Giudice di pace l’art. 319 c.p.c., comma 2, prescrive che le parti devono dichiarare la residenza od eleggere domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio del giudice di pace. In mancanza, l’art. 58 disp. att. c.p.c. stabilisce che le notificazioni e le comunicazioni possono essere fatte presso la cancelleria, “salvo contrarie disposizioni di legge”. Nel caso di specie, nessuna elezione di domicilio è avvenuta nel Comune di Bella.

Nè, ad evitare la notifica degli atti presso la Cancelleria, poteva bastare l’elezione di domicilio compiuta dal difensore della TIM presso un avvocato del foro di Potenza, ed in quest’ultima città. Stabilisce infatti il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, comma 1 e 2, che gli avvocati “i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso”; e che “in mancanza della elezione di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria”.

Tale norma è stata ripetutamente interpretata da questa Corte nel senso che il domicilio previsto dal citato R.D. n. 37 del 1934, art. 82, assume rilievo sia ai fini della notifica della sentenza, ai fini dell’art. 325 c.p.c., sia ai fini della notifica dell’impugnazione (Sez. 2 -, Sentenza n. 24956 del 06/12/2016, Rv. 642150 – 01, con riferimento ad una vicenda pressochè identica a quella oggetto del presente giudizio; Sez. 3, Sentenza n. 9298 del 08/06/2012, Rv. 622806 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 8225 del 11/04/2011, Rv. 617879 – 01; Sez. U, Sentenza n. 20845 del 05/10/2007, Rv. 599054 – 01).

Correttamente, pertanto, la parte vittoriosa in primo grado notificò la sentenza del giudice di pace alla TIM presso la cancelleria.

1.4. La rilevata erroneità della sentenza non impone, tuttavia, di cassare con rinvio la sentenza impugnata.

Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito.

Non è in contestazione tra le parti che la notifica della sentenza di primo grado alla TIM, ad istanza della parte vittoriosa, fu eseguita presso la cancelleria del giudice di pace in data 6 marzo 2007.

Nemmeno è in contestazione che l’appello venne invece proposto con atto notificato il 15 marzo 2008, e dunque ben oltre il termine di 30 giorni stabilito dall’art. 325 c.p.c..

La causa va dunque decisa nel merito dichiarando inammissibile per tardività l’appello proposto dalla TIM s.p.a. avverso la sentenza del Giudice di pace di Bella n. 78 del 5 febbraio 2007.

2. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della parte soccombente.

A carico della parte soccombente andranno altresì poste le spese del primo e del secondo grado di giudizio, che spetta a questa Corte liquidare per effetto della decisione nel merito. Tali spese sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello proposto dalla TIM s.p.a.;

(-) condanna TIM s.p.a. alla rifusione in favore di S.F.U. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 420, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. n. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna TIM s.p.a. alla rifusione in favore di S.F.U. delle spese del primo grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 400, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna TIM s.p.a. alla rifusione in favore di S.F.U. delle spese del giudizio di appello, che si liquidano nella somma di Euro 420, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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