Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14478 del 09/07/2020
Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14478
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11764-2018 proposto da:
S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO
NICOLAI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA FERRO,
rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCA SASSANO;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI POTENZA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 129/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,
depositata il 09/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO
ROSSETTI.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2001 S.F. convenne dinanzi al Tribunale di Potenza il Comune della medesima città, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di una caduta avvenuta allorchè, mentre percorreva una scalinata ricompresa nel demanio comunale, a causa di un grosso chiodo cadde a terra riportando lesioni personali.
2. Tribunale di Potenza con sentenza 17 maggio 2007 n. 503 rigettò la domanda.
La Corte d’appello di Potenza con sentenza 9 marzo 2018 n. 129 rigettò il gravame.
La Corte d’appello ritenne che la parte appellante non aveva impugnato la parte della sentenza di primo grado in cui il tribunale aveva ritenuto che il chiodo sporgente fosse visibile. Ricorre per cassazione S.F. con ricorso fondato su due motivi.
L’amministrazione comunale non si è difesa.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va esaminata per prima, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., la censura prospettata dalla ricorrente a p. 13 del ricorso, con la quale lamenta che erroneamente avrebbe ritenuto non validamente impugnata la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto ben visibile il pericolo da parte della vittima.
1.1. Tale doglianza, da qualificarsi ex officio come denunciante il vizio di mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., è fondata, e rende superfluo l’esame delle ulteriori censure prospettate dalla ricorrente.
In primo grado, infatti, il Tribunale rigettò la domanda ritenendo sussistente la colpa esclusiva della vittima. La Corte d’appello rigettò il gravame, assumendo che la parte appellante non avesse impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui affermava la piena avvistabilità del pericolo.
La suddetta statuizione del giudice di primo grado, tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto della Corte d’appello ea stata impugnata dalla odierna ricorrente, la quale nel gravame sostenne che le fotografie in atti “confermano non solo il carattere obiettivo della non visibilità” del pericolo, ma anche “la sua imprevedibilità”.
2. Il secondo motivo di ricorso, concernente le spese di lite, resta assorbito.
3. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 20 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020