Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14477 del 10/07/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. U Num. 14477 Anno 2015
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI BLASI ANTONINO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n.ro 654/2015 R.G. proposto da
Avvocato DOMENICO GANGEMI, in giudizio personalmente ai
sensi dell’art. 86 cpc, elettivamente domiciliato nel
proprio studio, in Roma, Via Atto Vannucci n.12,
RICORRENTE
CONTRO
CONSIGLIO ORDINE AVVOCATI di MESSINA con sede a
Messina, in persona del legale rappresentante pro
tempore,
Nonché

INTIMATO

Data pubblicazione: 10/07/2015

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE con sede in Roma, Via
Arenula, 71
Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione,
Roma, Piazza Cavour, 1, in persona dei rispettivi

AVVERSO
la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 154/2014
emessa il 21.06.2014 e depositata il 10.11.2014
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica
Udienza del 23 giugno 2015 dal Consigliere Dott.
Antonino Di Blasi;
Sentito il ricorrente Avvocato Gangemi;
udito il Sostituto Procuratore Generale, in persona del
Dott. Lucio Capasso, che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di un esposto dell’Avvocato Filippo Marcello
Siracusano, pervenuto 1’11 ottobre 2006, innanzi al
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina, si
radicava, a carico dell’Avvocato Domenico Gangemi,
procedimento disciplinare, con la contestazione di
addebiti riconducibili al disposto degli artt. 5, 6, 8,
14, 22 e 60 del Codice Deontologico Forense, nonchè
violativi del dovere, derivante dall’art. 12 del RDL
n.1578/1933, di adempiere al ministero Forense “con
2

legali rappresentanti pro tempore, INTIMATI

dignità e decoro”.
Detto procedimento, nel contraddittorio dell’incolpato,
che si difendeva, giustificando il proprio operato,
veniva definito dal Consiglio adito, con provvedimento

riconosciuta la responsabilità del professionista per
l’addebito di cui all’art. 22 citato, veniva allo
stesso inflitta la sanzione dell’avvertimento.
L’Avvocato Gangemi impugnava il citato provvedimento,
censurandolo sulla base di quattro mezzi, che, però,
venivano rigettati dall’adito Consiglio Nazionale
Forense, con la decisione in epigrafe indicata ed in
questa sede impugnata.
Il medesimo professionista ha, quindi, proposto il
ricorso per cassazione di che trattasi, affidandolo a
più mezzi.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e
le altre parti intimate, non hanno svolto difese in
questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La decisione in questa sede impugnata, è pervenuta alle
rassegnate conclusioni, opinando per l’infondatezza
delle formulate censure.
Il Consiglio Nazionale Forense, ha disatteso il primo
mezzo, con il quale l’incolpato eccepiva la nullità
3

disciplinare del 28 aprile 2010, con il quale,

dell’addebito,

per

mancanza

della

necessaria

specificità, rilevando che, il vizio inficiante
sussiste solo quando vi è assoluta incertezza sui fatti
oggetto di contestazione, mentre nel caso i fatti

equivoci, tant’è che avevano consentito all’incolpato
di approntare le proprie difese.
Il medesimo Consiglio ha, poi, disatteso il secondo
motivo, con il quale l’Avvocato Gangemi, analizzando le
espressioni utilizzate nella lettera inviata al Collega
il 09.10.2006, ne escludeva la lesività rivendicandone
il corretto uso nell’esercizio dell’attività difensiva,
rilevando che l’avere attribuito al Collega una
condotta artificiosa e contraria a principi di
correttezza e lealtà nello svolgimento dell’attività,
costituiva un vulnus per la persona e la figura
professionale del professionista.
Il terzo motivo, con il quale l’Avvocato Gangemi
lamentava il difetto di motivazione, per non avere il
Consiglio dell’Ordine preso in esame ed ammesso i mezzi
istruttori richiesti, è stato, del pari rigettato,
nella considerazione della relativa irrilevanza per
essere già stata acquisita prova documentale, nonché
notando la genericità ed irrilevanza delle articolate
circostanze.
4

addebitati erano sufficientemente specifici e non

Il quarto ed ultimo motivo, concernente l’archiviazione
dell’esposto presentato dall’Avvocato Gangemi contro
l’Avvocato Siracusano, è stato, infine, dichiarato
inammissibile, non risultando contenere censure

La sentenza impugnata e come innanzi motivata è stata
aggredita criticamente dall’Avvocato Gangemi sotto
plurimi profili.
Con il primo si denuncia eccesso di potere sotto il
profilo dello sviamento della causa tipica
dell’interesse pubblico per cui lo stesso è stato
conferito.
Si sostiene l’abnorme uso dei poteri del Consiglio, con
acritica adesione alla tesi prospettata dall’Avvocato
Siracusano.
Il Collegio ritiene che la doglianza sia da dichiarare
inammissibile, per genericità, impingendo nel condiviso
principio, secondo cui “Il giudizio di Cassazione è un
giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi del
ricorso, che assumono una funzione identificativa
condizionata dalla loro formulazione tecnica con
riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal
codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso
deve necessariamente possedere i caratteri della
tassatività e della specificità ed esige una precisa
5

riguardanti la decisione in esame.

enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri
nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cpc”
(Cass. 25332/2014, n. 19959/2014, n. 21165/2013).
Alla stregua di tale principio, il mezzo di che

offre una critica generica della decisione del C.N.F. e
non ne investe specificamente la ratio decidendi, la
quale ha considerato fondato l’addebito mosso al
ricorrente, sul presupposto di avere verificato la
sussistenza

in

atti

della

prova

del

relativo

fondamento.
Peraltro, con la doglianza non vengono esternate le
ragioni per le quali la valutazione degli scritti,
operata dal Giudice del disciplinare, risultando del
tutto inconciliabile con le caratteristiche della
fattispecie, concreterebbe un concreto sviamento di
potere del giudice disciplinare (Cass.SS.UU.
n.15873/2013) ovvero travalicherebbe i limiti della
ragionevolezza (Cass.SS.UU. n.19075/2012).
Con il secondo mezzo, si censura la decisione di
appello ai sensi dell’ art.111 della Costituzione.
Si deduce che la richiesta di ammissione della prova
testimoniale è stata disattesa “senza fornire alcuna
motivazione”, e quindi con abuso del proprio potere
discrezionale

e

che,

d’altronde,
6

l’integrazione

trattasi non risulta scrutinabile, stante che lo stesso

motivazionale operata dal CNF,

non può essere

considerata legittima.
Si deduce, poi, che nelle more del giudizio l’art. 22,
che ha giustificato l’addebito, è stato abrogato

espressamente, previsto l’applicazione delle relative
disposizioni “ai procedimenti disciplinari in corso al
momento della sua entrata in vigore se più favorevoli
per l’incolpato”.
Si deduce, infine, la violazione del secondo comma
dell’art.111 della Costituzione, alla cui stregua il
giudizio si sarebbe dovuto svolgere “nel
contraddittorio delle parti, in condizioni di parità,
davanti a giudice terzo e imparziale”.
Le citate doglianze, delle quali pur si colgono profili
di inammissibilità per la relativa genericità, nella
misura in cui sono sottese a denunciare carenze
motivazionali della decisione impugnata, vanno
esaminate, tenendo conto della data di deposito della
decisione impugnata e, quindi, della normativa vigente
ed applicabile ratione temporis.
Infatti,

le

censure,

pur proposte

con

ricorso

notificato il 18/20 dicembre 2014, non tengono conto
del nuovo testo dell’art.360 n. 5 cpc, quale risultante
in esito alla riforma introdotta dal D.L. 22 giugno
7

dall’art.65 u.i. della Legge n.247/2012, il quale ha,

2012 n.83, convertito con modificazioni dalla Legge 07
agosto 2012 n.134.
In vero, trattandosi di sentenza depositata il 10
novembre 2014, cioè dopo l’entrata in vigore della
precitata novella,

disciplina più stringente,

che ha compresso la

possibilità della denuncia dei vizi di motivazione,
deve ritenersi che l’intervento della Corte di
Cassazione è consentito solo nei casi di “omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti”.
Il cambiamento operato dalla novella è stato, infatti,
netto, dal momento che dal previgente testo del n.ro 5
dell’art.360 cpc, è stato eliminato non solo il
riferimento alla “insufficienza” ed alla
“contraddittorietà”, ma addirittura la stessa parola
“motivazione”.
Si è per ciò ritenuto che la nuova previsione del n.5
dell’art.360 cpc, legittimi solo la censura per , non essendo
più consentita la formulazione di censure per il vizio
di

o

della

motivazione.

a

diverso

opinamento può pervenirsi nella
8

la quale, ha introdotto una

considerazione

che

la

censura potrebbe

trovare

ingresso, dando prevalenza all’aspetto sostanziale più
che a quello letterale e formale della rubrica e quindi
prescindendo dalla inidoneità della formulazione,

introdotta dal Legislatore proprio al fine di ridurre
l’area del sindacato di legittimità sui ,
escludendo in radice la deducibilità di vizi della
logica argomentazione (illogicità o contraddittorietà),
che non si traducano nella totale incomprensibilità
dell’argomentare.
In buona sostanza, ciò che rileva, in base alla nuova
previsione, è solo l’omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di
discussione tra le parti, cioè la pretermissione di
quei dati materiali, già acquisiti e dibattuti nel
processo, aventi portata idonea a determinare
direttamente un diverso esito del giudizio.
I limiti di censura,

connessi al nuovo testo

dell’art.360 n.5 cpc, risultano, peraltro, fissati da
questa Corte che, in recenti pronunce ha avuto modo di
fissare il principio, secondo cui “La riformulazione
dell’art. 360 n.5 cpc, deve essere interpretata come
riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla
motivazione in sede di giudizio di legittimità. Il
9

ostandovi l’evidente prospettiva della novella,

nuovo

testo

dell’art.360

n.5

cpc,

introduce

nell’ordinamento un vizio specifico che concerne
l’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della

oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo. L’omesso esame di elementi istruttori non
integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto
decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia
stato comunque preso in considerazione dal giudice,
benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie” (Cass. SS.UU. n. 19881/2014 n.
8053/2014, n.11025/2014).
Alla stregua delle precedenti considerazioni,

le

censure con le quali vengono denunciate carenze
motivazionali della decisione in esame, vanno
dichiarate inammissibili.
Rileva, altresì, il Collegio che l’impugnata sentenza,
ha preso in considerazione, esaminandoli e valutandoli,
quegli elementi (espressioni utilizzate dall’avvocato
Gangemi nella lettera inviata all’avvocato Siracusano),
ritenuti rilevanti per la decisione del caso concreto
ed all’esito, è pervenuta ad un decisum di segno
opposto a quello prospettato dal ricorrente.
Ciò ha fatto, ritenendo che le espressioni utilizzate
10

sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito

nel

contesto

della

citata

lettera,

sul

piano

deontologico erano a ritenersi rilevanti, stante che
sia l’uso del termine “risibile”, sia pure
l’affermazione “tentativo di stravolgere la situazione

sicuramente offensiva e/o disdicevole”, lasciando
intendere che all’avvocato Siracusano veniva attribuito
“un maldestro comportamento di palese scorrettezza
deputato a paralizzare con una postuma iniziativa di
carattere stragiudiziale”, l’intrapreso procedimento di
sfratto, avviato dall’avvocato Gangemi nei confronti
del cliente dell’avvocato Siracusano.
Rileva, ancora, il Collegio che, per consolidato
orientamento della Corte (Cass. SS.UU. n.27689/2005,
27172/2006, n. 8615/2009, n.28813/2011), anche alla
stregua del pregresso orientamento giurisprudenziale,
in tema di procedimento disciplinare, alle Sezioni
Unite della S.C. non sarebbe stato possibile
sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del
giudice

disciplinare, dovendo la Corte medesima

limitarsi

ad esprimere un giudizio sulla congruita’,

sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici
della motivazione che sorregge la decisione finale.
Le prospettate doglianze, peraltro generiche, non
possono, quindi, trovare utile ingresso, concernendo
11

di fatto e di diritto”, possedevano una “valenza

elementi che il Giudice di merito, nel proprio percorso
decisionale potrebbe avere diversamente valutato,
ovvero non avrebbe considerato, perché ritenute, anche
implicitamente, recessive e/o ininfluenti, rispetto

individuati, ritenuti decisivi ed utilizzati ai fini
decisori.
Ha dedotto il ricorrente che, nel caso, i Giudici di
appello, in violazione dell’art.111 della Costituzione,
non avrebbero assolto l’onere motivazionale, in
relazione alla mancata ammissione della chiesta prova
testimoniale, omettendo l’acquisizione e la valutazione
di elementi rilevanti e decisivi a fini decisori, ma
non ha indicato il medesimo ricorrente le circostanze
fattuali ed i concreti elementi pretermessi, la cui
acquisizione avrebbe determinato un diverso esito del
giudizio e, nemmeno, ha

operato la indispensabile

valutazione comparativa con gli elementi valorizzati
dal CNF e posti a base della decisione impugnata, al
fine di coglierne la prevalenza e l’indispensabile
decisività.
Nel caso, dunque, non solo la motivazione esiste e
risulta congrua ma, oltretutto, il ricorrente, con i
vari profili di censura, pur denunciando formalmente il
difetto di motivazione ex art.111 Costituzione,
12

il

agli elementi probatori, invece, positivamente

quale al VI ° comma prescrive che “Tutti i provvedimenti
giurisdizionali devono essere motivati”, – in buona
sostanza, non svolge argomentazioni critiche idonee ad
incrinare il tessuto argomentativo dell’impugnata

abusivo esercizio del potere discrezionale del CNF
nella mancata ammissione della prova testimoniale, per
avere rigettato, immotivatamente, la richiesta dei
mezzi istruttori.
Rileva, ancora, il Collegio che la decisione impugnata
ha, argomentatamente, disatteso le doglianze formulate
dall’odierno ricorrente, opinando, condivisibilmente,
che la fondatezza dell’addebito trovava riscontro
probatorio in atti, segnatamente, nella “prova
documentale” e nella “lettera posta a base
dell’esposto” (pag.9 terz’ultimo rigo sentenza) e che
ciò determinava “l’assoluta irrilevanza ed ininfluenza
della prova testimoniale”, peraltro, genericamente
richiesta e su circostanze prive di interesse ai fini
del giudizio.
Con il ricorso per Cassazione, l’Avvocato Gangemi ha,
pure, dedotto che il fatto addebitato non sarebbe più
previsto come illecito disciplinare dal codice
deontologico,
giudizio,

entrato in vigore nelle more del

vigente

ed

applicabile,
13

per

espressa

sentenza, limitandosi a prospettare, genericamente, un

previsione di legge, anche alla fattispecie.
Si

deduce

che

deontologico,

l’art.22

del

previgente

codice

sulla cui base è stato formulato

l’addebito ed irrogata la sanzione, sarebbe stato
dall’art.65

deontologico,

u.i.

approvato

del

con

nuovo

Legge

codice

n.247/2012,

contenente l’esplicita previsione di applicazione
“anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento
della sua entrata in vigore, se più favorevole per
l’incolpato”.
Rileva, al riguardo, il Collegio che la normativa
sopravvenuta,

giusta

previsione

del

comma

50 ,

dell’art.65 della Legge n.247 del 31 dicembre 2012,
rimandato all’entrata in vigore dell’emanando codice
deontologico, la cessazione di efficacia delle norme
previgenti,

prevedendone,

espressamente,

l’applicabilità anche ai procedimenti disciplinari in
corso al momento della sua entrata in vigore, .
Rileva, altresì, che il detto codice deontologico è
stato approvato in data 31.01.2014, pubblicato nella
G.U. n.241 del 16.10.2014 ed entrato in vigore il 15
dicembre 2014.
Ciò stante, nel caso, stante l’espressa previsione,
contenuta nella richiamata disposizione di legge (Cass.
14

soppresso

SS.UU.

n.15120/2013),

di

applicazione

delle

disposizioni, ove più favorevoli per l’incolpato, del
nuovo codice deontologico, ai procedimenti disciplinari
in corso alla data della sua entrata in vigore,

occorre indagare nella normativa sopravvenuta, al fine
di verificare se la stessa abbia introdotto
disposizioni, che, come dedotto dal ricorrente, abbiano
escluso la rilevanza disciplinare della condotta
addebitata, o che risultino, comunque, “più favorevoli
per l’incolpato”.
L’indagine conferma la rilevanza disciplinare della
fattispecie, anche alla stregua del nuovo codice
deontologico e, segnatamente, del combinato disposto
degli artt.19, 20 e 42.
Le citate disposizioni, infatti, dopo avere disposto
(art. 19), che “L’avvocato deve mantenere nei confronti
dei colleghi e delle istituzioni forensi un
comportamento ispirato a correttezza e lealtà” ed avere
precisato (art.20) che la violazione di tale dovere
costituisce illecito disciplinare perseguibile nelle
ipotesi previste nei titoli II, III, IV e V, all’art.42
del titolo III citato, ha espressamente previsto, al
comma I ° che “L’avvocato non deve esprimere
apprezzamenti denigratori sull’attività professionale
15

contenuta nell’art.65 precitato, non è dubbio che

di un collega” e sancito, al comma 3 ° , che “La
violazione del dovere dei divieti di cui ai precedenti
commi comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento”.

rilevante e sanzionata con l’avvertimento, sia alla
stregua della normativa previgente sia pure di quella
sopravvenuta ed in atto in vigore, la richiesta
applicazione dello ius superveniens, va disattesa.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Nulla va disposto per le spese del giudizio, in assenza
dei relativi presupposti.
La Corte,
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del dpr n.115 del
2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma l bis dello
stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle
Sezioni Unite Civili, il 23 Giugno 2015.

Risultando, dunque, la fattispecie disciplinarmente

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA