Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14477 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11568-2018 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati MICHELE CASTELLO, VINCENZO RAGO;

– ricorrente –

contro

ITALIANA ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8, presso lo

studio dell’avvocato MILENA LIUZZI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURIZIO CURTI;

– controricorrente –

contro

C.M., CO.AD.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 529/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 19/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.M., Ci.Ro., P.T. e P.P. (quest’ultimo minorenne e rappresentato ex art. 320 c.c., dai genitori P.M. e Ci.Ro.) nel 2000 convennero dinanzi al Tribunale di Matera C.M., Co.Ad. e la società di assicurazioni La Piemontese s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in Italiana Assicurazioni s.p.a.; d’ora in avanti, “la Italiana”), chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza di un sinistro stradale in cui perse la vita Po.Ma.Te., figlia di P.M. e Ci.Ro., e sorella degli altri attori.

2. Con sentenza 20 luglio 2012 n. 204 il Tribunale di Matera accolse la domanda.

La sentenza venne appellata dalle parti vittoriose, le quali censurarono, ritenendola erronea per difetto, la stima del danno compiuta dal Tribunale.

3. Con sentenza 19 ottobre 2017 n. 529 la Corte d’appello di Potenza accolse parzialmente il gravame, accordando agli appellanti una più cospicua liquidazione del danno non patrimoniale, sia pure non nella misura invocata da essi.

4. La sentenza d’appello viene ora impugnata per cassazione dal solo P.M., con ricorso fondato su tre motivi.

Ha resistito con controricorso l’Italiana Assicurazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di dieci norme del codice civile e cinque norme della Costituzione.

Al di là di tali riferimenti normativi, non tutti pertinenti, nell’illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello, nel liquidare il danno non patrimoniale sofferto da P.M., ha applicato le tabelle diffuse dal Tribunale di Milano, ed ha scelto per tutti i congiunti della vittima il valore medio della “forbice” suggerita da tale tabella per la stima del danno non patrimoniale, ad eccezione però dell’odierno ricorrente, al quale è stato accordato un risarcimento inferiore alla misura media.

Espongono che la Corte d’appello ha motivato tale decisione fondandosi sulla circostanza che il padre della minore deceduta “da tempo risiedeva in altro Comune”. Sostiene per contro il ricorrente che, così giudicando, la Corte d’appello avrebbe “erroneamente devalorizzato l’intensità affettiva tra padre e figlia” sulla base soltanto del dato anagrafico di residenza.

Assume non essere ragionevole “ritenere un minus affettivo nel rapporto tra padre e figlia minorenne per il semplice fatto che quest’ultima risulti residente in luogo diverso dal proprio padre”.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Stabilire se la vittima di un fatto illecito abbia sofferto un danno non patrimoniale e quale ne sia stata l’intensità costituiscono infatti altrettanti apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, e non sindacabili in questa sede.

Allo stesso modo, lo stabilire se la morte d’una figlia abbia provocato nei genitori della vittima una sofferenza di pari intensità o di intensità differente, così come lo stabilire se esistesse e quanto intenso fosse il rapporto affettivo tra la vittima e il padre, costituiscono accertamenti di fatto, non valutazioni in punto di diritto.

Il motivo, pertanto, pretende inammissibilmente da questa Corte il riesame di valutazioni di merito, non consentito dall’art. 360 c.p.c..

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi.

Deduce che la Corte d’appello, nel liquidare il danno non patrimoniale sofferto dall’odierno ricorrente per la morte della figlia, avrebbe trascurato di considerare le seguenti circostanze: 1) la coabitazione tra padre e figlia, la quale era dimostrata – al contrario di quanto ritenuto dal Tribunale – da un certificato storico di famiglia allegato al fascicolo di primo grado, dal quale risultava che la vittima ed il proprio padre coabitavano al momento del sinistro;

2) il rapporto di filiazione tra la vittima ed il superstite;

3) la giovane età della vittima;

4) che la vittima era l’unica figlia di sesso femminile dell’odierno ricorrente, “e quindi idonea a costituire un valido aiuto morale e materiale durante l’età senile del padre come notoriamente avviene nei piccoli paesi del Meridione”;

5) la particolare sofferenza patita dal ricorrente durante i tre giorni di coma della giovane figlia.

2.1. La prima delle suddette censure è inammissibile.

Il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere denunciato in cassazione indicando nel ricorso, a pena di inammissibilità, quattro elementi:

a) quale fatto sia stato trascurato;

b) quando sia stato dedotto in giudizio;

c) come sia stato provato;

d) perchè sia decisivo (così le Sezioni Unite di questa Corte, nella nota sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Nel caso di specie il ricorrente assume che la coabitazione tra padre e figlia, al momento della morte i quest’ultima, sarebbe stata dimostrata attraverso un certificato anagrafico, depositato nel primo grado di giudizio.

Tuttavia:

-) agli atti manca il fascicolo di primo grado;

-) è lo stesso ricorrente ad avere dichiarato (cfr. la 2 di copertina del fascicolo d’appello) che il fascicolo di primo grado non era allegato al fascicolo d’ufficio;

-) tale carenza ovviamente non è sanata dalla richiesta alla Corte d’appello di trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 369 c.p.c., dal momento che quel documento, per ammissione dello stesso ricorrente, non era contenuto in quel fascicolo.

Manca, in definitiva, agli atti non solo la prova dell’esistenza del documento da cui risulterebbe la prova del fatto del cui mancato esame il ricorrente si duole, ma sinanche la prova dell’avvenuto rituale deposito di esso.

2.2. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame del rapporto di filiazione e della giovane età della vittima il motivo è infondato, in quanto tali circostanze sono state al contrario prese in esame dal Tribunale, con valutazione confermata dalla Corte d’appello. La circostanza, poi, che esse non siano state valutate in conformità a quanto auspicato dall’odierno ricorrente non può costituire motivo di ricorso per cassazione.

2.3. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame della circostanza rappresentata dal fatto che la vittima era l’unica figlia del ricorrente, dalla quale egli si attendeva assistenza e conforto negli anni della vecchiaia, il motivo è infondato.

La circostanza che il ricorrente assume erroneamente trascurata (il sesso della vittima) è infatti privo di decisività.

Nè, infatti, il ricorso al fatto notorio; nè una massima di esperienza; nè le prove raccolte nel corso del giudizio (del tutto carenti in tal senso) avrebbero consentito al giudice di merito di affermare che solo le figlie, e non i figli, possano accudire i genitori anziani, e che di conseguenza l’odierno ricorrente, pur avendo altri due figli, abbia perduto per effetto della morte dell’unica figlia la ragionevole probabilità di un mutuum adiutorium negli anni a venire.

2.4. Nella parte, infine, in cui lamenta l’omesso esame da parte del fatto decisivo rappresentato dal dolore provato dal padre durante i tre giorni di sopravvivenza della figlia dopo il sinistro, il motivo è inammissibile.

Il ricorso, infatti, non riferisce mai se sin dall’atto di citazione venne correttamente dedotto in punto di fatto che la sopravvivenza quodam tempore della vittima incrementò il danno non patrimoniale sofferto dai suoi genitori, e conseguentemente domandata in iure una adeguata personalizzazione del risarcimento.

Il motivo pertanto è formulato in termini non rispettosi degli oneri dettati dalle Sezioni Unite di questa Corte, già ricordata (n. 8053 del 2014) a carico di chi intenda denunciare in sede di legittimità il vizio di omesso esame del fatto.

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Deduce che la Corte d’appello avrebbe liquidato in misura ridotta rispetto al dovuto le spese legali.

3.1. Il motivo è inammissibile perchè la scelta di aumentare o ridurre la misura dei compensi in funzione della complessità delle questioni trattate o del numero delle parti assistite è una facoltà discrezionale riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna P.M. alla rifusione in favore di Italiana Assicurazioni s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.700, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di P.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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