Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14476 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11303-2020 proposto da:

S.M.P., elettivamente domiciliata presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e

difesa dall’Avvocato GIANLUCA CLARY;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2639/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 23/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 30/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2006 i coniugi S.- F., esercenti la responsabilità genitoriale dell’allora minorenne S.M.P., convennero in giudizio il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca per sentirlo condannare, in quanto responsabile per cupa in vigilando, al risarcimento dei danni subiti dalla figlia in seguito a una caduta conseguente a un salto avvenuto nell’Istituto scolastico.

Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 843/2015, rigettò la domanda attorea non essendo possibile accertare un culpa in vigilando del personale scolastico e compensò le spese di lite fra le parti.

2. La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 2639/2019, pubblicata il 23 dicembre 2019, ha rigettato l’appello proposto da S.L., S.M.P. e F.P. per la riforma della pronuncia di prime cure.

La Corte d’appello ha ritenuto scarna la descrizione dei fatti di causa così come prospettata dagli appellanti, non idonea a comprendere l’effettiva dinamica dell’infortunio della bambina e non considerando sufficiente, ai fini della qualificazione di attività intrinsecamente pericolosa, la descrizione di un semplice e non meglio precisato “salto” durante l’orario di attività motoria. Pertanto, i giudici di merito hanno escluso la responsabilità o imprudenza del docente in merito all’infortunio, che sarebbe da ricondurre a un fatto accidentale, dovuto al comportamento della bambina.

3. Avverso la suddetta pronuncia propone ricorso per cassazione S.M.P. sulla base di tre motivi illustrati da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in quanto ritiene la sentenza gravata la non osservanza dell’art. 1218 c.c. in ordine all’onere della prova, con manifesta contraddizione con la sentenza riportata a pag. 4, 3695/2016 S.C.” Si duole del mancato rispetto dell’onere probatorio in quanto sul danneggiato incomberebbe solo l’obbligo di provare che il danno sia stato cagionato durante il tempo in cui l’alunno era sottoposto alla vigilanza del personale scolastico e non anche la maggiore precisazione dei fatti di causa.

4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per errata valutazione sia dell’art. 1218 c.c. che dell’art. 2048 c.c. per aver la sentenza gravata dichiarato non provato il nesso di casualità” in quanto il nesso causale non sarebbe mai stato messo in discussione dal Ministero.

4.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omissione del fatto decisivo sul fatto storico d’essersi verificato, l’evento, durante l’orario di lezione”, in quanto la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente considerato che l’evento si sarebbe verificato durante l’orario di lezione e che il Ministero non avrebbe dimostrato di aver adottato ogni misura idonea ad evitarlo.

5. I motivi congiuntamente esaminati sono inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6.

Il Collegio rileva che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione,, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti ed è pertanto inammissibile. Inoltre ha omesso del tutto la descrizione del fatto processuale.

5. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.

6. Infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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