Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14472 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. II, 30/06/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 30/06/2011), n.14472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27894/2005 proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE MAZZINI 73, presso lo studio dell’avvocato DEL VECCHIO

ARNALDO, rappresentato e difeso dall’avvocato C.G. (da

se stesso);

– ricorrente –

contro

CA.RU. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE MAZZINI 106, presso lo studio dell’avvocato VALORI

ANTONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ZOMPI’ FRANCESCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 762/2004 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 27/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato ALLOCCA Giorgio, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato C.G., difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

adito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 16-2-1996 l’avvocato C. G., premesso di essere proprietario in (OMISSIS) di due locali attigui a piano terra, di cui uno adibito a studio legale e l’altro a deposito, entrambi sottostanti l’immobile di proprietà di Ca.

R., assumeva che nel locale adibito a deposito, sottostante ad una terrazza scoperta, si erano verificate infiltrazioni di umidità, e che il Ca. aveva trasformato in bagno un vano del suo immobile, installando la tubazione dello scarico delle acque nell’entradosso del pavimento della terrazza scoperta per farle convogliare in un tubo ubicato nel locale sottostante che, per destinazione del padre di famiglia e quindi del proprietario dell’intero immobile a piano terra ed al primo piano, serviva per far defluire le acque bianche e luride dell’unico originario bagno esistente al piano superiore; l’attore quindi conveniva in giudizio il Ca. dinanzi al Tribunale di Lecce chiedendone la condanna, tra l’altro, alla eliminazione della tubazione installata nell’entradosso del solaio della terrazza scoperta perchè in violazione delle distanze, dell’uso della cosa comune e, comunque, per aggravamento della servitù di scarico delle acque nel tubo posto nel locale al piano terra che l’unico proprietario dell’immobile aveva predisposto per far defluire le acque del bagno del primo piano.

Costituendosi in giudizio il convenuto eccepiva che i tubi di raccolta delle acque piovane esistevano fin da quando i due immobili, attualmente di proprietà delle parti in causa, appartenevano ad un unico proprietario, e che quindi essi erano da considerarsi legittimi ex art. 1062 c.c.; egli si dichiarava comunque disponibile ad eliminare le tubazioni del nuovo bagno.

Con sentenza del 28-9-2001 il Tribunale di Lecce accoglieva le domande attrici ad eccezione di quella relativa alla eliminazione della tubazione posta nell’entradosso del solaio della terrazza.

Proposto gravame da parte del C. cui resisteva il Ca. la Corte di Appello di Lecce con sentenza del 27-12-2004 ha accolto l’impugnazione soltanto per un profilo marginale non rilevante in questa sede, ed ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto un ricorso affidato ad un unico motivo illustrato successivamente da una memoria cui il Ca. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo articolato il ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1031 e 1067 c.c. nonchè insufficiente motivazione, premesso come dato pacifico che l’immobile per cui è causa, composto da un piano terra e da un primo piano, apparteneva originariamente ad un unico proprietario, il quale lo aveva donato “pro indiviso” in parti uguali alle due figlie, e che costoro, deceduto il donante, avevano sciolto la comunione, cosicchè rassegnatala del piano terra aveva venduto detto bene all’esponente il 3-1-1985, e l’assegnataria del primo piano lo aveva alienato al Ca. il 22-7-1994, sostiene che incontestabilmente per destinazione del padre di famiglia lo scarico delle acque luride e bianche del bagno a servizio del primo piano doveva avvenire attraverso la tubazione posta verticalmente nel locale sottostante a piano terra per confluire nella rete pubblica fognante; il C. rileva a tal punto che, avendo il Ca. trasformato in bagno un vano del suo immobile facendo convogliare le acque luride e bianche attraverso una tubazione posta nell’entradosso del solaio che funge da copertura del sottostante locale nella tubazione posta verticalmente nel locale a piano terra e che originariamente serviva per ricevere te acque del bagno posto a servizio del primo piano, egli aveva dato luogo ad un aggravamento della servitù suddetta, posto che la funzione originaria di essa era stata alterata con l’imposizione al fondo servente, senza alcun titolo nè diritto, di un sacrificio più gravoso rispetto a quello originariamente contemplato.

La censura è infondata.

Deve premettersi che, come già esposto, il C., sul presupposto che il Ca. aveva trasformato in bagno un vano del suo immobile ai primo piano installando la tubazione di scarico nell’entradosso del pavimento della terrazza a livello avente altresì funzione di copertura di un vano dell’immobile sottostante, aveva dedotto l’illegittimità dell’installazione di tali tubi sotto un triplice aspetto: a) per violazione della norma sulle modalità d’uso della cosa comune; b) per violazione delle norme sulle distanze; c) per aggravamento di una già esistente servitù di scarico; orbene in tale sede il ricorrente ha censurato la statuizione della Corte territoriale – che ha rigettato l’appello con riferimento a tutti i suddetti profili – soltanto in relazione all’asserito aggravamento della predetta di servitù, onde soltanto entro tali limiti deve essere esaminata la presente controversia.

Ciò posto, si rileva che la sentenza impugnata ha affermato al riguardo che il C. non aveva allegato alcuna circostanza significativa di una situazione di aggravamento della preesistente servitù di scarico, e che anzi dalla relazione depositata dal CTU era emerso che lo scarico esercitato attraverso la tubazione verticale posta nella proprietà del C. “non dà luogo ad inconvenienti”.

Orbene anche in questa sede il ricorrente, in presenza di tale accertamento di fatto sorretto da motivazione sufficiente (seppure stringata) e logica, non adduce alcun elemento apprezzabile in senso contrario, limitandosi a sostenere apoditticamente l’aggravamento della servitù predetta per il convogliamento nella precedente tubazione delle acque luride e bianche conseguenti alla installazione di un secondo bagno nell’immobile di proprietà del Ca., senza peraltro specificare quale pregiudizio in concreto si sia determinato nei locali di sua proprietà in conseguenza di tale fatto.

Tale rilievo è decisivo, atteso che l’aggravamento di una servitù conseguente alla modificazione dello stato dei luoghi o alla sopravvenienza di diverse modalità di esercizio non può ritenersi “in re ipsa”, ma deve essere valutato caso per caso, in relazione al coacervo delle circostanze in concreto esistenti, tenendo conto degli elementi probatori forniti dalle parti, dovendo a tal fine l’indagine del giudice di merito essere rivolta non tanto all’accertamento della maggiore “utilitas” che il fondo dominante possa conseguire dalle innovazioni introdotte dal suo proprietario, quanto ad acclarare se il maggior godimento di cui beneficia il proprietario medesimo comporti o meno una intensificazione dell’onere gravante sul fondo servente (Cass. 27-3-2003 n. 4532; Cass. 29-7-2005 n. 16085), evenienza nella specie esclusa all’esito degli accertamenti svolti dal giudice di merito.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 2000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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