Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14472 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34454/2018 R.G. proposto da:

G.T., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Tortora;

– ricorrente –

contro

SARA Assicurazioni S.p.a., rappresentata e difesa dagli Avv.ti

Francesco Paolo Bonito e Giuseppe Bonito, con domicilio eletto in

Roma, via Muzio clementi, n. 48, presso lo studio dell’Avv.

Pieremilio Sammarco;

– controricorrente –

e nei confronti di:

D.E.;

– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Nola, n. 783/2018, depositata il

24 aprile 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 febbraio

2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. G.T. propone ricorso per cassazione, con unico mezzo, nei confronti della SARA Assicurazioni S.p.a. (che resiste con controricorso) e di D.E. (che rimane intimata), avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Nola ha confermato la decisione di primo grado che ne aveva rigettato la domanda di risarcimento danni da sinistro stradale.

2. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c..

Lamenta che il Tribunale non ha correttamente valutato il materiale istruttorio, avendo fondato il proprio convincimento esclusivamente sulle conclusioni rassegnate dal c.t.u., che aveva ritenuto il danno subito dalla vettura di esso ricorrente non compatibile con la dinamica prospettata in domanda, nonchè con lo stato dei luoghi, a sua volta basandosi sulle condizioni dei luoghi rilevate al momento dell’accesso peritale, non considerando che in realtà queste erano mutate rispetto a quelle esistenti al momento dell’incidente (come emerso nel giudizio penale promosso nei suoi confronti per l’ipotizzato reato di calunnia ai danni dello stesso consulente tecnico).

Lamenta che il giudice a quo, pur dando atto di tale circostanza, non la valuta adeguatamente ed omette di illustrare la ragione per la quale ha nondimeno ritenuto le conclusioni del c.t.u. più meritevoli di attenzione rispetto al resto del materiale istruttorio (modulo Cai e prova testimoniale).

2. Il ricorso si espone ad un preliminare ed assorbente rilievo di inammissibilità, per palese inosservanza del requisito di contenuto-forma prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Risulta, infatti, inadeguata e sostanzialmente carente l’esposizione sommaria dei fatti, ivi richiesta a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, allo scopo di garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U. 18/05/2006, n. 11653).

La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. 20/02/2003, n. 2602).

Stante tale funzione, per soddisfare detto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso di specie il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali requisiti contenutistici.

La parte dedicata alla detta necessaria esposizione si risolve, infatti, nella mera trascrizione di ampio stralcio della sentenza impugnata, dalla quale però non è comunque possibile desumere alcuno degli elementi suindicati.

Invero, ancorchè – come ha ritenuto, ribadendo un consolidato orientamento, Cass. Sez. U. 11/04/2012, n. 5698 – il requisito in discorso possa essere osservato dal ricorrente in cassazione anche attraverso la riproduzione della sentenza impugnata, ciò può tuttavia affermarsi a condizione che la sentenza impugnata contenga a sua volta un’esposizione chiara del fatto sostanziale e processuale (v. in tal senso Cass. 16/09/2013, n. 21137).

Nel caso di specie tanto non accade, perchè la sentenza impugnata non consta di una parte dedicata all’esposizione del fatto, particolarmente sub specie di “svolgimento del processo”, ma, dopo l’intestazione, procede subito con l’enunciazione, sotto il titolo “motivi in fatto e in diritto della decisione”, della motivazione.

La relativa illustrazione, d’altro canto, inizia con un riferimento alla citazione d’appello, senza alcuna indicazione del pregresso svolgimento processuale di primo grado, e procede subito dopo con l’esame di alcune eccezioni preliminari e l’esposizione delle ragioni per le quali si perviene al rigetto dei motivi d’appello, dei quali però non viene fornita – se non in minima parte, con riferimento al quarto motivo di gravame – alcuna nemmeno sintetica indicazione, con la conseguenza che vengono date sostanzialmente per presupposte – e non sono dunque illustrate – le questioni, sostanziali e di rito, agitate nel corso dello svolgimento del processo.

3. Stante tale preliminare e, come detto, assorbente rilievo è appena il caso di evidenziare che, comunque, l’unico motivo di ricorso prospetta di per sè plurime ragioni di inammissibilità.

3.1. E’ palese anzitutto l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione degli atti e documenti richiamati, imposto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il ricorrente si limita invero a richiamare la sentenza penale, il modulo Cai e la dichiarazione testimoniale su cui poggia le svolte argomentazioni critiche, senza debitamente riprodurne il contenuto nel ricorso – per la parte che interessa in questa sede – ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701).

3.2. E’ peraltro evidente che le censure svolte si volgono ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dal giudice a quo, e sono pertanto da considerare del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse -ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

3.3. Ciò posto, è appena il caso di rilevare che la critica di fondo, secondo cui la valutazione di inattendibilità della prospettazione dell’appellante sarebbe condizionata dalla erronea descrizione dei luoghi teatro del sinistro da parte del c.t.u., non si confronta con quanto in proposito osservato in sentenza (v. pag. 5, secondo capoverso), là dove si osserva che il consulente in realtà aveva anche escluso “con congrua motivazione” che il danno del veicolo dell’odierno ricorrente fosse compatibile con la dinamica dallo stesso descritta nell’atto introduttivo.

3.4. La violazione dell’art. 116 c.p.c., non è infine dedotta nel solo modo in cui la giurisprudenza di questa Corte ne ammette la deducibilità.

Occorre rammentare al riguardo che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione di detta norma (la quale sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non certo secondo la prospettazione evocata in ricorso (la quale si risolve, come detto, nella proposta di una diversa lettura delle risultanze istruttorie), ma solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892).

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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