Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14471 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. II, 30/06/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 30/06/2011), n.14471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29678-2005 proposto da:

FINBISENZIO SRL P.IVA (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DEL VIGNOLA 5, presso lo studio dell’avvocato RANUZZI LIVIA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati VERNANDO GIANNI, SAMBO

MARIO;

– ricorrente –

contro

LANIFICIO ROSALINDA S.p.a P.IVA (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SILVIO PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato CARELLO CESARE

ROMANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BOLOGNI

VITTORIO;

– controricorrente –

e contro

SUPERMAGLIA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1423/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 12/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Presidente Dott. TRIOLA Roberto Michele;

udito l’Avvocato LIVIA RANUZZI difensore. della ricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Rosalinda s.p.a. conveniva davanti al Tribunale di Prato la Fin Bisenzio s.r.l., la Supermaglia s.r.l., la Maglificio Capucine s.a.s.

ed esponeva:

– che con contratto preliminare in data 17 marzo 1989 la Fin Bisenzio s.r.l. le aveva promesso in vendita un complesso costituito da alcuni capannoni industriali;

– che nel contratto era specificato che la Fin Bisenzio s.r.l. non era ancora proprietaria dei beni promessi in vendita e che lo sarebbe diventata in seguito all’omologazione del concordato fallimentare della Capucine s.a.s. di Lastrucci Moris, di cui era assuntore;

– che, pur essendo stato emesso in data 6 dicembre 1989 il decreto con quale veniva accertata l’esecuzione del concordato e disposto il trasferimento degli immobili in favore della Fin Bisenzio, quest’ultima, tuttavia, non aveva adempiuto l’obbligazione di stipula del contratto definitivo, e nel frattempo aveva subito l’inizio di una procedura esecutiva riguardante gli immobili promessi in vendita, di una parte dei quali essa società attrice si era resa acquirente all’asta;

– che la residua parte del compendio promesso in vendita e cioè l’immobile distinto dalle particelle 258 e 260 del N.C.T. non era stata invece venduta all’asta perchè successivamente alla chiusura della procedura fallimentare, la Maglificio Capucine s.a.s., ritornata in bonis, con scrittura privata in data 25 giugno 1992 aveva venduto alla Supermaglia s.r.l. il capannone insistente sulle particelle in questione, approfittando del fatto che tale bene risultava accatastato nel N.C.E.U. sotto la particella n. 418 del foglio 230, non menzionata come tale nella trascrizione del titolo d’acquisto a vantaggio della soc. Fin Bisenzio.

Pertanto, sul presupposto che tale ultimo immobile fosse di proprietà della soc. Fin Bisenzio, la società attrice chiedeva che venisse dichiarata la nullità dell’atto in data 25 giugno 1992, e che venisse emessa in suo favore la sentenza ex art. 2932 cod. civ., con condanna della soc. Fin Bisenzio al risarcimento del danno, pari alla differenza tra il prezzo della promessa di vendita ed il maggior prezzo che aveva dovuto pagare per acquistare all’asta parte degli immobili oggetto di tale promessa di vendita.

Per quello che ancora interessa in questa sede, il Tribunale di Prato, con sentenza in data 1 agosto 2000, rigettava la domanda ex art. 2932 cod. civ., per la impossibilità di individuare il prezzo specificamente pattuito per l’immobile con riferimento al quale la sentenza traslativa veniva richiesta.

Contro tale decisione proponeva appello la Lanificio Rosalinda s.p.a..

Con sentenza in data 12 ottobre 2004 la Corte di appello di Firenze accoglieva l’impugnazione, in base alla seguente motivazione:

Quanto alla dedotta risoluzione del preliminare per il mancato verificarsi delle condizioni di cui alla clausola n. 9 dell’atto si osserva che lo scioglimento del contratto era, ivi, previsto, alternativamente, per l’ipotesi che la banca creditrice non desistesse dall’istanza di fallimento proposta nei confronti della promittente alienante, ovvero che non venissero prestate garanzie dalla debitrice per l’adempimento delle obbligazioni contratte con la banca: ora dagli atti risulta l’avvenuto ritiro dell’istanza di fallimento e quindi non si è verificata alcuna risoluzione del con tratto.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la Fin Bisenzio s.r.l., con due motivi.

Resiste con controricorso la Lanificio Rosalinda s. p. a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso si deduce testualmente:

Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

La difesa della Fin Bisenzio srl ha ripetutamente dedotto nei gradi di merito della presente vicenda come esistesse alla clausola n. 9 del preliminare di vendita 17.3.1989, sulle cui pattuizioni sono basate le domande, parzialmente accolte, di controparte, il seguente patto espresso, ritenuto essenziale: che il contratto definitivo sarebbe stato stipulato solo subordinatamente al verificarsi delle seguenti tassative condizioni: a) che la Cassa di Risparmio si fosse obbligata con dichiarazione scritta a non presentare istanza di fallimento nei confronti della Fin Bisenzio srl; b) OMISSIS; c) il mancato verificarsi delle condizioni di cui ai punti precedenti; a) e b) determina la risoluzione di diritto del presente atto senza la necessità di dichiarazione espressa… etc. Orbene la difesa della Fin Bisenzio ha ripetutamente invocato la circostanza che il contratto de quo, senza potersi avvicinare al rogito definitivo, si è risolto di diritto atteso come la Società non è mai riuscita ad ottenere da parte della Cassa di Risparmio l’impegnativa di cui al punto a).

Nè la controparte ha mai dimostrato che simile evento, condizionante il permanere della efficacia della scrittura, sia mai avvenuto e per responsabilità di chi.

Orbene, al Giudicante è stata sollevata la predetta eccezione, alla quale peraltro il medesimo non ha risposto MAI: infatti nella sentenza della Corte d’appello non viene data motivazione circa la infondatezza della predetta eccezione (che anzi, si intuisce che il Giudicante l’avrebbe presa in considerazione, ove ne avesse rilevato in fatto la applicabilità), ma viene fatto riferimento ad una inesistente clausola che avrebbe previsto il ritiro di una istanza di fallimento già esistente. Appare chiaro l’errore interpretativo svolto, in quanto nel contratto non veniva previsto lo scioglimento (risoluzione di diritto) condizionata al ritiro di una istanza fallimentare ancora pendente (l’istanza precedente ed in atti era stata ritirata già il giorno precedente alla stipula del preliminare, come risulta dagli atti), ma all’impegno scritto della banca di non mai più presentarne, elemento questo non raggiunto e determinante quindi la risoluzione di diritto appunto invocata dalla promittente alienante.

Appare chiarissima, dalle proposizioni della sentenza, la presenza di difetti sintomatici di una possibile decisione ingiusta, sussistendo, nell’errore argomentativo denunciato, una adeguata incidenza causale dell’errore non potendo portare la lettura della decisione in confronto alla clausola n. 9 ad identificare un idoneo procedimento logico-giuridico conforme a diritto. Il motivo è fondato.

La clausola alla quale ha fatto riferimento la sentenza impugnata ha il tenore di cui al ricorso e non alla sentenza impugnata.

Appare evidente, quindi, il vizio di motivazione della sentenza impugnata, la quale ha dato per scontato il verificarsi della condizione diversa da quella invocata.

L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo e del terzo motivo, con i. quali si censura la sentenza impugnata in ordine al risarcimento dei danni, e del quarto motivo, espressamente condizionato.

In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, che provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo del ricorso; assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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